L’attimo fuggente
di Simona Maria Frigerio
San Miniato, la splendida piazza Duomo fa da scenario al nuovo lavoro teatrale scritto, diretto e interpretato da Silvia Frasson, incorniciando la sua narrativa tra la Cattedrale di Santa Maria Assunta e di San Genesio e il Palazzo Vescovile.
Al centro una storia di morte ma anche di vita, di dolore e speranza, di coincidenze e fatalità. È un fiume in piena Frasson quando si scapicolla in bicicletta lungo i dorsi collinari per tuffarsi in un lago gelato: sentiamo la brezza frizzante marzolina sferzarci la pelle in quella rincorsa verso la sfida, l’acqua serrarci lo stomaco quando ci circonda con la sua fredda limpidezza. L’incipit del racconto colpisce immediatamente la fantasia ed è facile entrare nei vari personaggi, nei quali Silvia s’infila come in una vecchia vestaglia o in un luccicante décolleté. Basta un tic, un retropensiero, uno sguardo furtivo nell’intimità perché lei riesca a cogliere un’esistenza che, nel suo compiersi, permette al racconto di svincolarsi dal contingente per accogliere (come in un film di Robert Altman) le molteplici sfumature della vita.
Ed è decisamente di taglio cinematografico e polivocale questo monologo che, attraverso una morte e un trapianto d’organo, regala una nuova opportunità di vita. Ogni personaggio, tratteggiato con cura e precisione, nel proprio ruolo di protagonista o comprimario, partecipa raccontando anche un po’ di sé perché, in fondo, gli altri esistono solo nel momento in cui sono percepiti dalla nostra coscienza e, sebbene si sappia che tutto continua a scorrere anche aldilà di noi, d’altro canto nulla esiste al di fuori di noi e del nostro sguardo sul mondo.
Alcuni momenti di questo racconto, che copre poche ore di vita eppure tali da cambiare per sempre l’esistenza di tutti i personaggi coinvolti, restano impressi per intensità e intuizione – i sedicenni che si scapicollano in bici di cui scrivevamo, ma anche la donna che trova le compatibilità tra donatore e ricevente; carattere, quest’ultimo, particolarmente riuscito, che rompe con esattezza il ritmo tragico per permettere allo spettatore di riprendere fiato ma che trasla altresì, sulla scena, la realtà della vita, il suo essere a volte quasi comica persino nei momenti tragici – o viceversa. Meno convincente, al contrario, l’infermiera – che risente di forzature da fiction tv, ivi compreso il lieto fine.
A tratti si sente, va detto, un che di eccessivamente letterario. L’azione sulla scena evocata esclusivamente dalla parola tende a farsi didascalica. Soprattutto nel finale, quando un rumore di elicottero o una sirena basterebbe a evocare il trambusto delle sale operatorie per l’espianto e il trapianto dell’organo, o del suo tragitto tra donatore e ricevente. La descrizione delle procedure si fa ridondante e non aggiunge nulla alla consapevolezza di ciò che accade e dell’importanza del tema. In fondo, basta lo splash finale di Celeste per capire tutto – la morte, la vita, il valore di una morte che ridona la vita.
Lo spettacolo è andato in scena:
LXXIV Festival del Teatro San Miniato
piazza Duomo
San Miniato (PI)
venerdì 17 luglio, ore 21.30
La vita salva
di e con Silvia Frasson
(prima assoluta)
con il Patrocinio di Aido
In copertina: San Miniato, il palcoscenico in piazza Duomo. Foto di Simona Maria Frigerio.