giovedì, Luglio 04, 2024

Società

1989

Il giorno che cadde il Muro di Berlino

di Guido Tognola

Nel 1989, cadeva il Muro di Berlino e al contempo iniziava a sgretolarsi la vera volontà del pensiero critico; 1992 Fukuyama pubblicava “Fine della storia e l’ultimo uomo”, nel quale sosteneva, grazie all’affermazione definitiva della “democrazia liberale”, la fine della lotta fra “padrone e schiavo” e con essa la conseguente realizzazione definitiva delle aspirazioni umane di libertà e uguaglianza.

Effettivamente Fukuyama aveva ragione, ma più che per l’affermazione della democrazia liberale, fu per l’implosione di uno dei sistemi alternativi e contrapposti, in particolare quello comunista come conosciuto.

Ma a più di 30 anni da quella pubblicazione, forse, sarebbe opportuno riflettere su quanto realmente accaduto in quell’istante ad oggi, e come noi “occidentali, intoccabili e presunti signori del Mondo”, avremmo dovuto perlomeno interrogarci se non fosse stato il caso di una piccola aggiunta a completezza di quel titolo: “Fine della storia e l’ultimo uomo; tramonto della democrazia.”

Il politologo Francis Fukuyama
Foto:2015 Gobierno de Chile – CC BY 4.0

Democrazia, per anni avulsa ad alcune correnti di pensiero liberale, che ritenevano l’esercizio politico riservato ad élites specifiche e, oltretutto, assai poco universaliste (un uomo, un voto) come oggi, invece, vorrebbero farci credere (si pensi solo al voto femminile, in Svizzera riconosciuto solo dal 1971).

Unico modello ritenuto praticabile, in quanto vincente, quello delle Democrazie Liberali, e personalmente aggiungerei “Sociali” (“welfariane”), conosciuto soprattutto durante quel periodo di contrapposizione indotto dalla “Guerra fredda” ed intriso di quella forma “romantica”, se non beffarda, di “Capitalismo dal volto umano”, oggi divenuto chimera, se non addirittura “bestialità”.

Ben presto il Tutto si è tramutato nel mondo che conosciamo oggi, dove la democrazia viene semplicemente scambiata per alcune sue prerogative intrinseche, non necessariamente, veramente qualificanti: il diritto di voto e della, presunta, libertà d’espressione.

“Democrazie liberiste”, sempre più “democrature”, ahimè anche alle nostre latitudini, dove, parafrasando Canfora, corpi intermedi, mercato liberista, miliardari, lobby, ecc., hanno il sopravvento sugli eletti a suffragio universale (?), che perlopiù rappresentano una semplice maggioranza di una minoranza non sempre “libera” nella propria espressione. Dove la logica della massimizzazione del profitto, e non solo, ha il sopravvento su Diritti Umani, Internazionali e Costituzionali. Dove il mondo delle idee scompare in quello del presumere, del fare di hitleriana memoria.

Ed ecco che, “Democrazia” assurge a semplice formalismo, dove la giustizia, le leggi, le istituzioni stesse, che dovrebbero garantirle, vengono semplicemente espropriate, manipolate da branchi affamati, avidi di potere per pochi nel presunto nome dei molti e nell’ignoranza indotta dei troppi.

Ed ecco che, improvvisamente, anche la libertà d’espressione e di giustizia vengono semplicemente cancellate, come le stesse carte che le vorrebbero ribadire, dal trita-documenti di turno, falò contemporaneo dei tempi che furono.

Ed ecco che la punizione collettiva, non solo nei confronti di popoli inermi divenuti martiri loro malgrado, rappresenta una delle dinamiche di un mondo sempre più perso ed ipocrita, minando quel resto di fondamenta di un pensiero diversamente o fondamentalmente democratico, libero, laico, umanista.

Oggi chiedere, se non giustizia, almeno l’applicazione uniformata e applicata indistintamente a Tutti e a prescindere, delle norme del diritto a tutti i livelli, sulla base di quei minimi codici nazionali ed internazionali, che dovrebbero essere a tutela dalla bestialità dell’umano e ultimo baluardo di speranza per un mondo migliore di quel domani sempre più incerto, diventa quasi bestemmiare.

Purtroppo il rivendicarlo, il rivendicare quei principi cardine nonché fondamentali di libertà, uguaglianza, laicità e giustizia diventa immediatamente fonte del giudizio inverso, come se i morti, bambini, donne, anziani avessero un peso diverso sulla nostra coscienza, solo perché “popolo eletto” o meno, senza che ci si renda conto che i creatori d’odio non sono i popoli, bensì gli uomini, o almeno alcuni di loro, con tutto quello che ne consegue e il non poterlo rivendicare, perché loro, vittime di ieri, carnefici di oggi, equivale a stigmatizzare qualsiasi forma di Democrazia a prescindere.

Sabato, 1 giugno 2024 – Anno IV – n°22/2024

In copertina: foto di Ben Scripps/Pixabay

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