Rumore per non ascoltare, non ascoltare per essere assenti
di Giorgio Scroffernecher
«Fate silenzio, imbecilli!»
L’anziano, saggio e canuto signore, pronuncia questa frase con una sorprendente energia liberatoria e, al contempo, sferra un poderoso pugno sullo scranno mandando in pezzi il vecchio legname. Volano i dieci fogli del suo discorso ufficiale già interrotto tre volte alla nona riga da rumorosi applausi. Poi, mentre i fogli si posano come farfalle sul pavimento, si fa un silenzio teso, mai udito prima. Per minuti. Quindi, l’uomo in piedi nel punto più alto dell’emiciclo fa un segno col dorso della mano a chi si stava premurando di raccogliere i fogli. Si guarda intorno, abbassa gli occhi e rialzandoli sulla folla onorevole, riprende a parlare senza leggere, d’un fiato fino alla fine. Ora sono gli onorevoli ad aver gli occhi bassi, senza fiato fino alla fine. Qualcuno sembra singhiozzare…
Questa fantasia mi ha posseduto durante il discorso di Sergio Mattarella al Parlamento, interrotto da 55 convinti applausi, come ad esortare qualcuno – non loro? – a fare quanto sollecitato dal ‘nuovo’ Presidente. E mi ha riportato la memoria a un fatto molto simile accaduto molti anni fa.
Era il 14 novembre 2002, Papa Wojtyla da due anni – dal Giubileo delle Carceri del 2000 – faceva molte pressioni – senza esito alcuno – perché il Parlamento approvasse un provvedimento di clemenza per rimediare parzialmente alle sofferenze di molti detenuti sovraffollati in tante carceri italiane visitate ripetutamente dallo stesso Papa Giovanni Paolo II; così, frustrato nei riscontri, decise di andare fisicamente in Parlamento a sostenere le sue nobili ragioni in faccia a chi poteva decidere. L’anziano Pontefice, come in questi giorni l’anziano Presidente, disse cose buone, giuste, inoppugnabili ma… venne continuamente interrotto da fragorosi e interminabili applausi di consenso. L’appassionato discorso di Wojtyla fu seguito dal nulla assoluto: nessun provvedimento di clemenza fu approvato; l’iniziativa del Parlamento si limitò a un timido indultino proposto dal centrosinistra, che comunque fu bocciato.
Anche l’espressione dei due uomini durante gli applausi è stata molto simile. Un fumetto avrebbe scritto “Panowie ci mnie bawią” per il primo, “Questi mi prendono per il culo” per il secondo.
In tutta la vicenda quirinalizia sono mancate le iniziative e l’esercizio della nobile arte della politica, ma, soprattutto, è mancata del tutto la capacità di ascolto già molto prima della cerimonia d’insediamento. La mancanza d’ascolto reciproco è il segno distintivo universale, non solo della classe politica. Un altro Papa, Francesco, il 24 gennaio in occasione della 56° Giornata Mondiale delle Comunicazioni si è rivolto ai giornalisti e al mondo della comunicazione, ovvero a chi per mestiere dice, esortandoli all’ascolto per fare meglio il loro mestiere: «Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica. L’ascolto, infatti, non riguarda solo il senso dell’udito, ma tutta la persona. La vera sede dell’ascolto è il cuore».
La mancanza di ascolto svuota di peso la parola dell’altro, come bene dice Massimo Recalcati a commento della inevitabile rielezione di Mattarella: «Quando giustamente si descrive questa ultima imbarazzante pagina della nostra storia repubblicana come un manifesto della crisi della politica, dobbiamo innanzitutto ricondurre questa crisi alla crisi più profonda della parola. Ma il tatticismo politico non esclude forse a priori l’esercizio etico della parola? Il raggiungimento dei propri fini non piega la parola al suo uso più strumentale?»
I rappresentanti politici sono espressione di chi li ha mandati a propria rappresentanza con il voto.
Quindi, inutile mettere solo in capo a loro la loro stessa pochezza. Forse li abbiamo scelti senza ascoltare con attenzione e profondità le loro promesse in campagna elettorale.
Quindi, gandhianamente, cominciamo noi stessi, noi tutti, a esercitare il talento dell’ascolto.
Per rafforzare l’incoraggiamento e anche per far sorridere gli amici che hanno voluto leggermi fino a qui, sul tema offro un’illuminante storiella di Osho Rajneesh tratta dal libro “Crea il tuo destino. Le intuizioni che cambiano la vita”.
«Alcune persone si erano riunite nella sala d’attesa di un’azienda, una di loro doveva essere scelta per un posto di operatore telegrafico. Tutti i candidati erano impegnati a chiacchierare tra di loro di inezie; a un certo punto, dall’apparecchio telegrafico posto in un angolo della sala vennero dei ticchettii, ma tutti erano così coinvolti nelle loro chiacchiere a voce talmente alta da non sentite quei deboli segnali: nessuno ci badò! Solo un giovane, seduto discosto da quella massa di gente si alzò prontamente ed entrò in quell’ufficio. Nessuno del gruppo si accorse; se ne resero conto solo quando, con un sorriso, ne uscì con in mano la lettera d’assunzione. L’intero gruppo ammutolì e, furiosi, tutti chiesero a quel giovane: “Ragazzo, come sei riuscito a entrare prima di tutti gli altri? Com’è possibile che il posto ti sia stato assegnato, senza che nessuno di noi sia stato valutato? Cos’è questa prepotenza? Perché questa ingiustizia?”. Al che il giovane scoppiò a ridere e disse: “Chiunque di voi avrebbe potuto ottenere questo posto. Non avete sentito il messaggio che il telegrafo stava trasmettendo?”. All’unisono urlarono: “Quale messaggio?” Al che il giovane disse loro: “I suoni trasmessi dicevano con chiarezza: ‘Io ho bisogno di una persona che sia sempre attenta e presente. La lettera di assunzione è qui pronta per chi sente questo messaggio ed entra in ufficio prima degli altri!»
Sabato, 5 febbraio 2022 – n° 6/2022
In copertina: Foto: Couleur/Pixabay