Si può ancora celebrare la Festa dei lavoratori?
di Laura Sestini
Secondo gli indici ISTAT l’occupazione, nel primo trimestre 2021, è diminuita dell’1,1% rispetto all’ultimo trimestre del 2020, con di 254 mila unità in meno di posti di lavoro.
Come si può leggere nel sito: “Nel primo trimestre 2021 aumentano sia le persone in cerca di occupazione (+2,4%, pari a +59mila) sia gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+1,0%, pari a +134mila unità). Le ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione – registrate dall’inizio dell’emergenza sanitaria fino a gennaio 2021 – hanno determinato un crollo tendenziale dell’occupazione (-2,5% pari a -565mila unità). La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (-353mila) e autonomi (-212mila) e tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 1,1 punti percentuali. Rispetto a marzo dello scorso anno, le persone in cerca di lavoro risultano fortemente in crescita (+35,4%, pari a +652mila unità), a causa dell’eccezionale crollo della disoccupazione che aveva caratterizzato l’inizio dell’emergenza sanitaria; d’altra parte, diminuiscono gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-2,1%, pari a -306mila), che a marzo 2020 avevano registrato, invece, una crescita straordinaria (fonte: https://www.istat.it/it/lavoro-e-retribuzioni).”
In totale, da febbraio 2020 i posti di lavoro ‘svaniti’ in mezzo alla pandemia e ai lockdown risultano oltre 900 mila, un numero importante che potremmo paragonare all’intera cittadinanza dell’Umbria – 870.165 abitanti – oppure sommando Basilicata e Molise insieme – 853.770 abitanti (fonte: https://www.tuttitalia.it/regioni/popolazione/ ) e tutto ciò, nonostante permanga il blocco dei licenziamenti, prorogato al 30 giugno, per le aziende che beneficiano della cassa integrazione, mentre la cassa in deroga e gli assegni ordinari si protrarranno fino a fine ottobre 2021 per interi settori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali Covid-19, unitamente al divieto di licenziamento.
La stessa direttrice dell’Istituto Istat – Linda Laura Sabbadini – afferma che il momento – per l’occupazione – è effettivamente duro.
Come consueto le categorie più deboli rimangono i giovani – con il 33% di tasso di disoccupazione – e le donne, mentre i maggiormente occupati risultano i lavoratori uomini ‘maturi’.
Il futuro non è quindi roseo, almeno focalizzandolo a medio termine.
La pandemia ha soprattutto stravolto le modalità del lavoro in numerosi settori che, necessitando preferibilmente la presenza fisica, al contrario ha catapultato a capofitto in smart working, milioni di lavoratori – spesso nativi analogici – che non poco hanno dovuto faticare per raccapezzarsi con piattaforme di videoconferenza e documenti digitali in condivisione. Pensiamo alla DaD – didattica a distanza – o anche ai dipendenti pubblici dei Comuni. I più disagiati comunque sono stati certamente gli insegnanti di ogni ordine e grado – uniti nella sventura ai loro allievi – dalla scuola primaria all’università.
Alcune categorie di lavoratori smart – vocabolo che tradotto dall’inglese significa brillante/intelligente – nate con la pandemia, senz’altro hanno dovuto attingere a molta intelligenza creativa, ma spesso hanno peccato di brillantezza, loro malgrado, ritrovandosi in breve tempo a dover imparare molta tecnica digitale e di navigazione in Internet.
Secondi alcuni sondaggi – seppur i lavoratori finiti in smart working siano stati denigrati e bollati come impiegati in ciabatte, o finanche in pigiama e calunniati di svolgere le proprie mansioni in tempi diluiti, non realistici, come in vacanza – molti di questi – quasi il 60% – è soddisfatto dell’evoluzione lavorativa da svolgere a casa propria in modalità remota, percentuale che giunge fino al 91% nei lavoratori del pubblico impiego.
Una precisa caratteristica che è emersa sul lavoro in tempi di pandemia, è il liberismo sfrenato; emblema negativo di questo sistema sono stati i riders, che a ottobre 2020, in piena pandemia sono entrati in sciopero per rivendicare i diritti di tutela minima dello stressante lavoro di food delivery da un capo all’altro delle città – Milano in testa. Si sono presi intanto delle piccole vittorie, ma le trattative per un contratto nazionale riconosciuto sono tuttora in corso.
Se i lavoratori a cottimo come i riders, da lungo tempo ricevono compensi da fame, nella sponda opposta gli imprenditori – loro datori di lavoro – si arricchiscono con questa manna inaspettata – che per taluni è risultata la pandemia – e l’abbinamento ad essa dei numerosi lockdown, che hanno segregato in casa decine di milioni di cittadini.
Dove si è potuto, la speculazione economica – e lo sfruttamento del lavoro – ha regnato sovrana, tematica che ha toccato il suo punto massimo, a nostro avviso, con la questione dei vaccini in produzione, da distribuire ai vari Paesi e che peraltro non giungevano neanche a destinazione nei tempi e nei numeri messi a contratto.
Insomma c’è ha chi scommesso il tutto per tutto sulla potenzialità economica della pandemia, espediente finanziario destinato – però – solo a selezionate e scaltre élite.
La lotta dei ciclo-fattorini non riguarda soltanto il loro settore delle consegne a domicilio ma è uno dei tanti segmenti del futuro modello del lavoro, sempre più automatizzato e digitalizzato, le cui tempistiche e dinamiche sono scelte dalle aziende, a discapito dei diritti dei lavoratori. Tra i modelli di lavoro di automazione avanzata può essere inserita Amazon – su cui ultimamente le polemiche non sono mancate – e la velocità delle attività da svolgere a cui sono obbligati i dipendenti della multinazionale statunitense – che ha poli logistici ovunque nel mondo.
I lavoratori vengono utilizzati come soggetti/oggetti di transizione tra umani e robot, meccanismo a cui i non possono sottrarsi; mentre il ricatto tacito delle aziende, a danno della necessità di trovare lavoro per i non occupati, è sempre incluso nei meccanismi liberisti, fortemente accentuatisi con la pandemia.
Quindi, se lo smart working sarà certo un’alternativa per molti lavoratori pubblici e privati – modalità futura ancora tutta da contrattualizzare ed organizzare – in altri casi, l’automazione e la digitalizzazione non è sintomo di miglioramento per diritti del lavoratore – metodo che influenzerà negativamente persino sulla salute psicofisica dell’individuo.
Quale lavoro – quindi – ci prospetterà la futura era ‘5G’ – della connessione iperveloce? Ci tratterà ancora da umani, o saremo equiparati alla potenza pianificata dei robot?
Sabato, 1 maggio 2021 – n°14/2021
In copertina: immagine grafica di Pottenwebart