Cronache di ingiustizie italiane
di Elio Sgandurra
Questa è una storia così assurda che neppure la fantasia di Pirandello avrebbe potuto concepire. Eppure è una storia vera, durata più di trent’anni, che ha per protagoniste due anziane sorelle di Palermo che non hanno mai ceduto alla prepotenza della mafia.
Il loro Calvario – così si può descrivere quanto hanno subìto – viene raccontato da un libro inchiesta scritto da “Pif”, alias Pier Francesco Diliberto, regista del bel film ‘La mafia uccide solo d’estate‘, e dal giornalista Marco Lillo, vicedirettore del Fatto Quotidiano. Il titolo è ‘Io posso, due donne sole contro la Mafia’ (Feltrinelli).
Le due sorelle – Maria Rosa e Savina Pilliu – di padre sardo trasferitosi nel 1943 a Palermo, sono proprietarie di due palazzine poste ai margini del Parco della Favorita. Accanto alle loro proprietà c’è un terreno che appartiene a Rosario Spatola, un ricco imprenditore edile legato alla mafia. Nel 1979 è stato il primo imputato eccellente del procuratore Giovanni Falcone che lo definiva ‘un tipico esempio della figura dell’imprenditore mafioso’. Siamo negli anni del “sacco di Palermo”, dell’edilizia selvaggia che ha cementificato gran parte della capitale siciliana a scapito del verde e di tante costruzioni storiche. Su quel terreno Spatola vuole costruire un palazzone e gli fa comodo anche l’area su cui sorgono le due casette delle sorelle Pilliu. A quel tempo è ancora in vita il loro padre, il quale non accetta di venderle all’imprenditore.
Nel frattempo Spatola viene arrestato e il terreno – attraverso alcuni giri – arriva nelle mani di un altro imprenditore – Pietro Lo Sicco. Anche costui intende acquistare la proprietà delle sorelle Pilliu, ottenendone risposta negativa. Dopo una serie di pressioni di tipo mafioso, risultate inutili, decide di fare a modo suo. Con atto notarile dichiara la sua proprietà sul terreno edificabile ricevuto da Spatola, facendo aggiungere anche le aree appartenenti alle sorelle, a loro insaputa. Il Comune concede la concessione edilizia e incominciano i lavori per la costruzione del palazzone.
La proprietà delle due povere donne viene invasa da automezzi, da materiale edilizio e le due casette subiscono gravi danni alle strutture. Quando una delle sorelle protesta con Lo Sicco per il sopruso, si sente rispondere: ‘Vattene da qua perché è tutta roba mia’.
E’ il 1990 e le due donne si rivolgono alla Magistratura, ottenendo giustizia 30 anni dopo. Nel frattempo Lo Sicco nel 2000 viene condannato per altri motivi – con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Lo Stato gli sequestra tutti i beni compreso il palazzo in questione ormai costruito.
La vicenda dovrebbe avere un lieto fine e invece il Calvario per le sorelle Pilliu continua. Con la vittoria nella causa conto Lo Sicco avrebbero dovuto ottenere il risarcimento di 780 mila Euro deciso da Tribunale, ma non lo avranno mai perché i beni dell’imprenditore sono stati sequestrati. Però su quella somma, in realtà inesistente, l’Agenzia delle Entrate pretende il pagamento di una tassa del 3% pari a 23 mila Euro.
Accade in Italia dove tra Mafia e Stato, a subire sono soltanto gli innocenti.
Sabato, 5 giugno 2021 – n°19/2021
In copertina: Il Parco della Favorita a Palermo – Foto Comune di Palermo