75 anni portati male
di Ettore Vittorini
La Repubblica italiana ha compiuto 75 anni e non li porta bene, anzi male: è piena di acciacchi che si trascinerà ancora per tanti anni. E’ una diagnosi che si adatta molto al nostro Paese rinato il 2 giugno del 1946 in seguito al referendum istituzionale. Gli italiani – per la prima volta il voto fu esteso anche alle donne – dovevano scegliere tra la vecchia monarchia e la repubblica e vinse la seconda con uno scarto di voti preoccupante: 12.718.641 della nuova Istituzione contro i 10.718.502 della vecchia monarchia, rappresentata da Casa Savoia. Andò a votare l’89,90 per cento della popolazione e le schede bianche furono 1.509.735, un numero che esprimeva gli indecisi, gli indifferenti e anche gruppi di nostalgici della repubblichetta mussoliniana di Salò. E quei voti nulli servirono ai savoiardi per contestare duramente l’esito – dovuto ai brogli, secondo loro – che venne però confermato dalla Corte di Cassazione, dove furono ricontate tutte le schede.
La Repubblica fu proclamata ufficialmente il 18 dello stesso mese e il re Umberto II – che aveva ottenuto il trono dopo l’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III – se ne andò in esilio a Cascais, in Portogallo.
Sul “Corriere della Sera” di allora, il direttore Mario Borsa, nel commentare i risultati del referendum, scrisse sull’Italia che rinasceva: ‘Sono nate le fondamenta di questa casa e ora bisogna ricostruirla e sapere come ricostruirla’. Borsa era stato nominato alla guida del Corriere dal comando inglese, subito dopo la Liberazione. Era stato un giornalista antifascista e perseguitato da regime. Alla fine del ’46 col rientro della famiglia Crespi nella proprietà del giornale, dovette dimettersi. I padroni avevano scelto un nuovo direttore, guardando a destra.
Il parto della nostra Repubblica fu molto difficile e pericoloso. Già durante la guerra, con l’Italia divisa tra gli occupanti anglo-americani e i nazifascisti, la coalizione del CLN – Comitato di Liberazione Nazionale – che appoggiava il governo Badoglio con sede a Salerno, si preparava per un futuro istituzionale del Paese.
Oltre ai nascenti partiti politici, molto dipendeva dalle due nazioni alleate: il premier britannico Winston Churchill voleva a tutti i costi che rimanesse la monarchia, mentre il presidente americano F. Delano Roosevelt insisteva per la Repubblica. Alla fine si arrivò alla decisione di far scegliere agli Italiani con un referendum a guerra finita. E ci andò bene contrariamente a quanto accadde in Grecia, dove gli Inglesi imposero la continuazione della monarchia che provocò la spaccatura del Paese e la guerra civile tra gli ex partigiani comunisti e l’esercito del potere reazionario prebellico sostenuto dai militari britannici.
In Italia, nel corso del primo spoglio delle schede provenienti in gran parte dal Sud, sembrava che i repubblicani dovessero soccombere, ma poi con l’arrivo di quelle del Nord il divario cambiò nettamente. Dal centro al settentrione, gli elettori avevano scelto in grande maggioranza la nuova forma istituzionale.
Alcuni risultati: in Lombardia la Repubblica ottenne il 68,1 % contro il 31,99 % della monarchia; l’Emilia l’81%, la Toscana il 71,58 % e così tutte le altre regioni del centro-nord, tranne il Lazio dove ci fu una leggera differenza in favore del re. Con i voti del Sud, il referendum segnò la prima grande spaccatura politico-sociale del Paese in due tronconi: a Napoli i monarchici ottennero il 78,88% e un simile risultato si verificò in Sicilia (61,2%) e tutte le altre regioni meridionali, compresa la Sardegna. La scelta del capoluogo campano fu incredibile perché Napoli era stata la prima città italiana a battersi contro l’occupazione nazista. Il 27 settembre del 1943 tutta la popolazione insorse contro gli occupanti e li cacciò dopo quattro giornate di battaglia tra le strade e i vicoli della città. Quando arrivarono gli alleati, sbarcati a Salerno, trovarono una città completamente liberata.
Come si può spiegare la scelta dei napoletani nel referendum? L’élite locale, con in testa il filosofo Benedetto Croce, era rimasta legata alla Corona; Il ricco armatore Achille Lauro, monarchico poi diventato sindaco della città, era entrato già in azione con la distribuzione al popolo di pacchi di pasta e di scarpe spaiate, ricongiunte dopo l’esito del voto. Ma non basta per comprendere quella scelta che si ripeté nel resto del Sud, arretrato e avvolto da un clima autoritario e paternalistico della classe dominante ancora legata alla mentalità latifondista.
A marzo c’erano già state le elezioni amministrative e contemporaneamente al referendum quelle per l’Assemblea Costituente dove la vittoria della Democrazia Cristiana era stata netta col 35%. Seguivano il Partito socialista col 20% e quello comunista col 19%. Il resto andò ai partiti monarchico, liberale, repubblicano e al Fronte dell’Uomo Qualunque che prese addirittura 1.200.000 voti, in gran parte di ex fascisti che più tardi si riversarono nel Movimento Sociale.
Con questi risultati era entrata in azione la politica nazionale e locale che soprattutto nel Sud – con l’aiuto della Chiesa – aveva fatto propaganda su popolazioni impreparate verso il nuovo corso democratico e più soggette alle pressioni dei capoccia locali. In Sicilia, per esempio, la Mafia mascheratasi prima sotto il regime fascista, era tornata allo scoperto con l’aiuto degli americani e si era inserita, ben accolta, nella DC.
Nel Centro-Nord le scelte furono diverse grazie a una opinione pubblica più preparata che aveva preso coscienza durante la dominazione nazifascista e la lotta partigiana.
Il primo gennaio del 1948 entrò in vigore la Costituzione, una delle ‘più belle del mondo’ – come aveva detto Benigni nel corso di una lettura pubblica dei 139 articoli istruiti dai padri dell’Assemblea costituente.
Se fosse stata attuata realmente sin dai primi tempi della sua nascita, forse l’Italia di oggi sarebbe migliore. Invece con la DC al potere – alle elezioni politiche del 18 aprile del ’48 aveva ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento – il percorso verso una vera democrazia fu molto lento. In nome dell’anticomunismo e del ‘pericolo rosso’ di oltrecortina, le riforme democratiche furono rinviate o accantonate.
La Corte costituzionale – fondamentale per l’attuazione delle leggi – nacque sette anni dopo e ne divenne, prima consigliere e poi presidente nel ’57, Gaetano Azzariti, fervente antisemita e capo del Tribunale della Razza durante il fascismo. Quella nomina fu l’emblema del rientro nelle cariche dello Stato della alta burocrazia fascista – dai prefetti ai questori – fino ai dirigenti della Pubblica istruzione, che conservò nelle scuole la riforma varata nel 1927 da Giovanni Gentile che Mussolini definì ‘la più fascista delle riforme’. La sua lenta modifica ebbe inizio soltanto nel 1962, quando i socialisti entrarono nel primo governo di centrosinistra.
Eppure nonostante il suo percorso ambiguo, l’Italia rinacque in breve tempo dalle rovine della guerra che aveva distrutto le città, le industrie, le vie di comunicazione. Anche con l’aiuto dell’americano Piano Marshall, in due anni dalla fine della guerra, le strade e le ferrovie erano state riattivate, le industrie avevano ripreso a funzionare in pieno.
Una parziale riforma agraria fu la risposta del governo alle lotte contadine dove era diffuso il bracciantato. Le terre espropriate ai latifondi vennero distribuite tra i braccianti in lotti di otto ettari, ma il sistema funzionò soltanto dove esistevano o furono costruite le infrastrutture, come in Maremma, in Emilia e su tutta la Pianura padana.
Nel Sud fu un fallimento perché la distribuzione delle terre venne affidata ai politici locali legati alle mafie – come in Sicilia e Calabria – i quali pensarono più che altro agli interessi di parte.
Seppur zoppicante, il cammino dell’Italia verso il benessere proseguì per arrivare in poco tempo al boom economico degli Anni ’50 e ’60. Arrivò il benessere con la televisione, gli elettrodomestici, le automobili, le autostrade, il consumismo. L’aumento della produzione nelle industrie del Nord chiamò l’emigrazione interna. Centinaia di migliaia di lavoratori spopolarono i paesi del Sud per le grandi città settentrionali.
Così è nata l’Italia, ricca ma disarmonica, con tante contraddizioni che ne hanno minato il cammino verso un sano sviluppo democratico e sociale, elementi fondamentali per diventare una nazione moderna e uscire dal pantano della politica inefficiente e corrotta, delle mafie, delle riforme bloccate, dei tentativi di eversione.
E’ doveroso ricordare che dal 1945 il Paese ha avuto 65 governi e 29 Presidenti del Consiglio.
Nel suo discorso al Quirinale, il Presidente Mattarella si è anche rivolto ai giovani con queste parole: “Tocca a voi scrivere la Storia della Repubblica “. Si potrebbe rispondere che molti di questi giovani – studenti, tecnici, professori, ingegneri, medici, scienziati e altro – vivono all’estero perché la Repubblica matrigna li ha costretti a emigrare.
La Storia l’hanno già scritta loro.
Sabato, 5 giugno 2021 – n°19/2021
In copertina: la prima pagina del Corriere della Sera del 2 giugno 1946 – Archivio Corriere della Sera