venerdì, Novembre 22, 2024

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Messico senza speranza

Una nazione soffocata dalla criminalità

di Ettore Vittorini

Il Messico, grande Paese ricco di risorse ma sopraffatto per decenni da una estesa e pericolosa criminalità che ne condiziona la vita civile – la politica e le istituzioni – potrà uscire dalla sua drammatica situazione, per ora senza speranza? E’ difficile fare una previsione soprattutto dopo le ultime elezioni politiche che hanno dato una vittoria parziale al partito che deteneva il potere. E’ stata una vittoria dimezzata perché la coalizione di sinistra, Morena – Movimento di Rigenerazione Nazionale – pur ottenendo in Parlamento 279 seggi su 500, non ha raggiunto la maggioranza assoluta. Secondo la Costituzione, avrebbe dovuto superare i due terzi dell’Assemblea insieme ai suoi alleati – il Partito del Lavoro (socialista) e gli ecologisti.

La coalizione avversaria di destra ha guadagnato voti, ma non tanti da poter governare. Il Presidente della Repubblica, Manuel Lòpez Obrador, che è a metà mandato e prima delle elezioni aveva la maggioranza assoluta, è ugualmente convinto di portare avanti la ‘Quarta trasformazione messicana‘, cioè una serie di grandi riforme che dovrebbero rivoluzionare lo status del Paese. Il cammino era già iniziato da quando aveva assunto la presidenza, con l’aumento dei salari minimi, il rilancio dell’industria energetica statale, la progettazione di grandi infrastrutture, gli aiuti alle classi più povere, l’allargamento del welfare. Obrador contava soprattutto sull’appoggio – che ha ottenuto – delle classi più povere, sui contadini e gli Indios. Ma nelle grandi città, tra gli imprenditori e la borghesia, ha trovato molta resistenza. Inoltre l’affluenza ai seggi – molto scarsa – non ha superato il 51%. Il Messico, con una superficie di quasi 2 milioni di chilometri quadrati, ha 126 milioni di abitanti, 20 milioni dei quali vivono nella capitale e altrettanti sparsi in altre metropoli. Le campagne vengono abbandonate a causa della miseria e il terrore della criminalità.

Molta gente non è andata a votare perché condizionata dallo strapotere delle bande dei narcos, grandi famiglie dei cartelli della droga che condizionano la vita del Paese con le guerre intestine e contro lo Stato. Nei giorni precedenti le elezioni hanno assassinato 91 persone, tra le quali 35 candidati. I messicani sono terrorizzati da anni dai soprusi ed eccidi compiuti dai narcos che si avvalgono anche dell’appoggio – grazie alla corruzione – di una buona parte delle forze dell’ordine e dei funzionari dello Stato. I proventi dell’industria della droga hanno fruttato l’anno scorso ai cartelli 48 miliardi di dollari.

Questa situazione alimenta l’emigrazione verso gli Stati Uniti: migliaia di messicani – e profughi di altri Paesi dell’America latina – si ammassano ai confini cercando di superare clandestinamente le barriere e la sorveglianza della polizia USA. E’ uno scenario drammatico composto da intere famiglie accampate in bidonville in attesa dell’occasione per poter entrare di notte nella nazione del ‘benessere’. I pochi che hanno del denaro si affidano ai trafficanti che li portano al di là del confine abbandonandoli spesso nel deserto.

Proprio in questi giorni la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris – figlia di emigrati – si è recata in Messico e nei Paesi dell’America Centrale per affrontare il problema dell’immigrazione. Ha fatto un discorso diretto alle popolazioni: ‘Voglio essere chiara con le persone che intendono  fare quel pericoloso viaggio. Non venite perché arrivati al nostro confine sarete rimandati indietro”. Ha poi ha aggiunto agli emigranti di seguire le normali regole diplomatiche poiché gli USA hanno ancora bisogno dei lavoratoti stranieri.

Le dichiarazioni della vicepresidente hanno destato molte proteste anche all’interno del suo stesso Partito democratico. La parlamentare Alexandra Ocasio Cortes le ha commentate affermando: ‘Chiedere asilo al confine è legale; gli USA hanno destabilizzato l’America Latina e ora se la prendono con chi vuole fuggire’. E il Messico – divenuto indipendente dalla Spagna nel 1821 – è stata la prima vittima dell’imperialismo statunitense concepito dalla dottrina del Presidente Monroe – in carica dal 1817 al ‘25.

Nel 1847 lo Stato messicano del Texas, dove già vivevano molti proprietari terrieri americani, si rese indipendente e venne assorbito dagli USA. Scoppiò la guerra col Messico che si concluse con la sconfitta di quest’ultimo che fu costretto a cedere al vicino – oltre al Texas – anche la California, il New Mexico, l’Arizona, il Nevada e l’Utah. In alcuni film di Hollywood su quel conflitto, con l’epopea di Fort Alamo, gli americani naturalmente comparivano come i buoni, ma in realtà si impossessarono di quasi la metà di tutto il territorio messicano.

In seguito la Storia del Paese si è svolta tra dittature e rivoluzioni che lo hanno accompagnato sino agli inizi del secolo scorso. A dargli una svolta democratica e moderna fu il presidente Benito Juarez, che nel 1861 – primo indigeno del continente a occupare questa carica – oltre a promulgare una Costituzione molto avanzata, dette l’avvio a grandi riforme sociali ed economiche, ridusse il potere della Chiesa e dei grandi latifondisti. Il suo mandato fu interrotto con l’invasione nel 1862 delle truppe francesi di Napoleone III, che imposero come imperatore Massimiliano d’Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe. Suarez guidò la lotta contro gli occupanti che si concluse nel ’67 con la fucilazione di Massimiliano.
Juarez, ancora presidente, morì nel ’72. Gli successe Porfirio Diaz che instaurò una dittatura di quasi quarant’anni anni, fino a quando non fu cacciato dalla sanguinosa e ‘Grande rivoluzione’, tra i cui capi si distinsero Francisco Arango, detto Pancho Villa e Emiliano Zapata – due poveri campesinos che si erano ribellati contro lo strapotere dei latifondisti.

La ‘Grande rivoluzione’, tra dittature di generali e brevi periodi democratici, durò sino al 1929.  Nel frattempo Zapata e Villa erano stati assassinati il primo nel ’19 e il secondo nel ’23. Il presidente uscente Plutarco Calles, cambiò il nome del Partito laburista in Partito Rivoluzionario Istituzionale che è rimasto alla guida del Paese  per 71 anni e oggi fa parte della destra. I vari leader succeduti a Villa e Zapata si sono insediati nel potere che ha mantenuto una apparente democrazia, ma in realtà rimasto nelle mani degli agrari – che tuttora conservano il 70 % delle terre – e delle moderne classi dominanti, compreso quelle legate ai narcos.

E’ da ricordare la strage compiuta il 2 giugno del 1968 – dall’esercito a Città del Messico – contro gli studenti che manifestavano nella Piazza delle Tre culture. Fu il presidente Gustavo Diaz Ordaz a dare l’ordine di sparare. Ci furono 300 morti e venne ferita anche la giornalista Oriana Fallaci – che si trovava nella capitale per le Olimpiadi che sarebbero iniziate 10 giorni dopo.

La Storia attuale ha visto dei presidenti – come l’attuale – che realmente vogliono cambiare il Paese ma che hanno dovuto e devono lottare contro lo zoccolo duro fatto di privilegi per pochi, di corruzione e di criminalità.

Negli stessi giorni del Messico si è votato anche in Perù. Il candidato progressista, Pedro Castillo, ha ottenuto al ballottaggio il 50,24% di voti mentre la sua rivale Keiko Fujimori, di origine giapponese, 49,76 %. Ma l’esito rimane incerto in attesa che arrivino i voti di un milione di peruviani residenti all’estero. La candidata è figlia di Alberto Fujimori, presidente peruviano dal 1990 al 2000, fuggito in Giappone a fine mandato perché coinvolto in uno scandalo finanziario e accusato tra l’altro di violazione dei diritti umani. Le sinistre peruviane temono che i voti provenienti dall’estero favoriscano la figlia.

Sabato, 12 giugno 2021 – n°20/2021

In copertina: immagini dalla Rivoluzione messicana: al centro Pancho Villa, a dx Emiliano Zapata. Foto Universidad Autónoma de Coahuila – UAdeC

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