Le elezioni rafforzano il potere religioso
di Elio Sgandurra
Il mullah Ebrahim Raisi, 60 anni, è il nuovo Presidente dell’Iran. Ha vinto le elezioni col 62% per cento dei voti che non rispecchiano però le tendenze di tutta la popolazione, perché a votare si è recato soltanto il 48% degli elettori.
Raisi non diventa il capo assoluto dello Stato poiché sopra di lui domina la Guida suprema della Repubblica islamica – Ali Khamenei – successore del fondatore, l’ayatollah Ruollah Khomeini. La carriera di Raisi è legata a tutti e due i ‘supremi’: da teologo e studioso dell’Islam ha partecipato a vent’anni alla rivoluzione khomeinista, entrando poi in magistratura e divenendone la massima autorità nel 2019, su nomina di Khamenei.
Adesso il potere è tutto nelle mani dei religiosi e una svolta progressista è impensabile. Anzi la vittoria degli integralisti porterà una maggior chiusura nei costumi e nella già scarsa libertà. Raisi, infatti, da magistrato ne è stato sempre uno strenuo interprete. Nel 1988 guidò la repressione contro l’opposizione interna colpita dalla fatwa lanciata da Khomeini che, secondo le stime di Amnesty International, provocò più di 5000 morti soprattutto tra i giovani. Nel 2009 fu represso il movimento giovanile “Onda verde” che chiedeva la fine delle limitazioni islamiche nei costumi. Nel 2019 ci furono grandi manifestazioni per l’aumento del prezzo della benzina e vennero represse duramente. Secondo Amnesty ci furono 300 morti.
Eppure, nonostante il dominio dei religiosi, l’Iran per un certo periodo – specialmente durante la presidenza di Mohammad Kathami (1997-2005) – era divenuto il più moderno, industrializzato e colto tra i Paesi dell’area mediorientale. Il Cinema era tornato a vivere soprattutto con i film di Abbas Kiarostami, poi costretto a trasferirsi nel 2010 a Parigi; ci fu un rilancio anche della letteratura, cui dominavano molte scrittrici.
In politica estera era stato aperto il dialogo con gli Stati Uniti, proseguito anche successivamente, fino alla rottura voluta dal Presidente USA Donald Trump. Forse riprenderà con Joe Biden che ha già compiuto i primi passi, ma per ora Raisi – nella sua campagna elettorale – ha dichiarato di voler porre termine ‘all’arroganza dei nemici stranieri’. Però il Paese ha bisogno di alcuni di questi ‘nemici’ per porre fine all’embargo che ne danneggia gravemente l’economia.
La scarsa affluenza elettorale ha evidenziato la rassegnazione di una parte della popolazione corrispondente alla borghesia, agli intellettuali, ai professionisti, ai tecnici, di fronte a un rituale ‘democratico’ ormai scontato e privo di grandi aperture verso il cambiamento e la costituzione di uno Stato laico.
Secondo la legge, le candidature per le elezioni – anche quelle delle opposizioni – vengono selezionate dalla Guida Suprema; i dibattiti tra i vari partiti vertono su temi generici di politica – lotta alla corruzione, rapporti con le altre nazioni, guerra agli imperialisti – e sui costumi della popolazione. Su questo tema si polemizza tra moderati e progressisti sulla ‘moralità’ islamica, sulla grandezza del velo che copre il capo delle donne; se si deve permettere ai ciuffi di capelli di apparire o di essere completamente nascosti.
Questo è il colmo per un grande Paese di 85 milioni di abitanti che ha una Storia e una tradizione culturalmente diverse e più nobili rispetto a quella dei vicini arabi discendenti dai carovanieri. Ai tempi dello Scià Reza Pahlevi, l’Iran si era avviato verso una modernità di tipo occidentale: negli Anni settanta del secolo scorso Teheran sembrava una città europea, piena di giovani abbigliati come i loro simili di Londra e di Parigi; i locali sempre pieni di uomini e donne; grazie ai proventi del petrolio venivano create industrie e infrastrutture. Ma dietro questa facciata, bastava uscire dalle grandi città e si incontravano il Medioevo e la miseria.
Il potere era in mano a una potente oligarchia legata, insieme allo Scià, alle multinazionali del petrolio che non permetteva opposizioni. Queste erano tenute sotto controllo dalla Savak, la famigerata polizia segreta. Con il potere passato nel 1979 ai religiosi, tutto è cambiato, tranne la repressione che non è più esercitata dalla Savak, ma dai Guardiani della Rivoluzione – meglio conosciuti come pasdaran (in lingua Farsi).
Sabato, 26 giugno 2021 – n° 22/2021
In copertina: proteste popolari dopo le elezioni di Ebrahim Raisi – da video Twitter