venerdì, Novembre 22, 2024

Lifestyle, Società

Vincere o partecipare al progresso?

Osservazioni senza competenze sulle Olimpiadi 2020/1

di Giorgio Scroffernecher

Riassunto delle puntate precedenti.
Le prime tracce olimpiche risalgono alle parole di Omero nel suo XXIII canto, nella prima metà del II millennio a.C..

I Giochi delle Olimpiade erano rivolti al culto degli dei e s’intendevano portatori di pace, armonia e ritorno alle origini della vita greca. Per tutta la durata delle competizioni, ogni quattro anni, ogni ostilità era sospesa in tutta la Grecia.

Molto più avanti – siamo nel 1896, ancora in Atene – il barone Pierre de Coubertin ebbe l’idea di organizzare dei giochi simili a quelli dell’antica Grecia. Il nobile francese voleva trovare un modo di avvicinare le nazioni, di permettere ai giovani del mondo di confrontarsi in una competizione sportiva, piuttosto che in guerra. Nascono le moderne Olimpiadi, il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e la frase del suo fondatore che ne fissa lo spirito: «L’importante non è vincere, ma partecipare».

Questa frase, chiarissima e nobile nel suo significato originale, in 125 anni è stata confermata, reinterpretata, travisata, ripudiata e manipolata molte volte.
Scelgo due esempi su versanti interpretativi opposti:
Giampiero Boniperti, l’uomo che più di tutti illumina la storia vincente della Juventus, disse con chiaro riferimento alla frase originale: «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta».

Amnesty International nel 2019, per celebrare le conquiste ottenute grazie alla Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 1989, realizza un percorso educativo sul diritto di partecipazione per promuovere la conoscenza dei diritti e ispirare i giovani a partecipare attivamente alla realtà che li circonda e – con ispirazione olimpica – lo titola: «L’importante è partecipare».
https://www.amnesty.it/pubblicazioni/limportante-e-partecipare/

Per quanto ci riguarda, la giusta interpretazione della frase storica, in elevazione spirituale, non lascia dubbi leggendo un’omelia per gli atleti, scritta per la V° Conferenza Pan-anglicana svolta a Londra l’estate della terza Olimpiade: «I Giochi in sé valgono più delle gare e dei premi. San Paolo ci dice quanto insignificanti siano i premi. Anche se uno solo si cinge d’alloro, tutti condividono la gioia di gareggiare».

Quindi le Olimpiadi come occasione di progresso umano, come differimento dalla realtà che mostra sempre e solo il lato scadente dell’umanità. Come ragione per ispirarsi e volgersi finalmente al cambiamento evolutivo. Anzi, di più: come occasione per la politica di osservare il mondo e per sintonizzarsi con la sua attualità migliore.

Che occasione per Adolf Hitler per capire davvero il mondo durante le Olimpiadi del 1936! Lui, il baffetto, il più lugubre sostenitore delle diversità razziali in virtù assoluta della razza ariana, ha avuto di fronte un giovane nero dell’Alabama di misere provenienze di nome Jesse Owens che, primo nella storia delle Olimpiadi moderne, vinse quattro ori – tra l’altro pare che dopo averne vinti tre, sazio, voleva lasciare ad altri la possibilità del quarto con la staffetta – conservando poi il primato fino ai giochi olimpici di Los Angeles del 1984, quando Carl Lewis, nero pure lui, vinse quattro ori nelle stesse gare.

E i Giochi di Tokyo che occasione sono per osservare il mondo, o almeno l’Italia da parte della politica per sintonizzarsi con la realtà attuale?

La Gazzetta dello Sport il 31 luglio titolava «Da Jacobs alla Osakue la Nazionale italiana è multietnica: il 38 per cento degli azzurri ha origini straniere».

La portabandiera Olimpica, scelta per rappresentare tutti gli atleti olimpici del mondo alla cerimonia di apertura, si chiama Paola Egonu. Capitana della squadra di volley femminile italiana, Paola è bravissima, bellissima, nera e lesbica.

La Pellegrini arriva settima ai finali, piange e ride e precisa «è per felicità!». La felicità di aver partecipato ancora una volta ai Giochi Olimpici nonostante l’età e la bassa probabilità di conquistare il podio finale.

E poi lo spettacolo meraviglioso di due amici, Gianmarco Tamberi e Mutaz Essa Barshim, storie atletiche e personali molto simili, alla stessa misura insuperata dell’asticella chiedono al giudice sportivo il permesso di condividere l’oro. E lo fanno con sorrisi e abbracci che commuovono il mondo sportivo meno cinico.

Gianmarco Tamberi e Mutaz Essa Barshim

Quattro elementi citati – probabilmente ce ne sono molti di più – da accostare alle miserie della politica italiana: lo ius soli che manca per ragioni unicamente elettorali, non della parte che lo vuole, ma di quella che riesce a impedirlo efficacemente. Le discussioni kafkiane sul Ddl Zan. I contorcimenti di una maggioranza guidata da Draghi verso un futuro possibile per l’Italia, che patisce di azioni e prese di posizione orientate unicamente ai sondaggi, invece di pensare a una coerenza win-win che potrebbe premiare l’intero arco istituzionale e soprattutto il Paese intero.

Insomma, commosso per i momenti nobili di queste Olimpiadi, dedico alla politica italiana meno progressista questa storiella come una medaglia di latta fortemente meritata.

Nella solenne cerimonia d’apertura delle Olimpiadi, l’importante politico si presenta all’immensa folla per il discorso ufficiale in nome e per conto del Governo che ospita i Giochi.
Le luci si abbassano, il pubblico si acquieta e l’oratore inizia come boccheggiando: «O …O …O …O …O…»
Il suo portaborse, con gli occhi spalancati, pallido in volto, si avvicina, gli tira energicamente la giacca e quasi grida nel suo orecchio: «Signore! Non è necessario che lei legga il simbolo dei Giochi!».

La storia dei Giochi Olimpici in 7 minuti: https://www.arte.tv/it/videos/091347-009-A/giochi-olimpici-l-importante-e-partecipare/

Sabato, 7 agosto 2021 – n°28/2021

In copertina: Paola Egonu – fermo immagine video IOC

Condividi su: