Un grande successo di intrattenimento, o una ispirazione preziosa per la sinistra?
di Giorgio Scroffernecher
La scena è epica. Il grande piazzale davanti alla Banca di Spagna è il palcoscenico. Dal portone blindato escono due file parallele di persone in tuta rossa con la maschera di Salvador Dalì. Nello spazio tra le due file avanzano tre donne in tuta rossa, a volto scoperto e piedi nudi. Dietro di loro, sotto tiro e legato come un salame, ferito e con la faccia torva il responsabile della sicurezza che ha da poco ucciso Nairobi – un colpo al centro della fronte di lei, con il sorriso sadico di lui.
Di fronte a loro centinaia di militari dei corpi speciali con le armi pronte a sparare, dietro di loro cittadini di ogni età che con cartelli e drappi simpatizzano per i ‘cattivi’; sui tetti pullulano i cecchini pronti a eseguire l’ordine di tiro.
Tutto sembra la conclusione tragica di un progetto pazzesco: impossessarsi di tutto l’oro della banca di Spagna.
Le persone sulle due file laterali si tolgono la maschera rimanendo poi immobili: sono gli ostaggi e non si capisce perché non fuggano… le tre donne, avanzano con passo fiero, sono Stoccolma, con i suoi lunghi capelli biondi e ricci: era la segretaria del direttore, anzi la sua amante, ora è parte della banda, piena d’orgoglio di esserlo. Al centro Lisbona, dapprima ispettrice alla caccia del professore genio della banda, ora sua compagna coinvolta nel piano del colpo del secolo. Alla sua sinistra Tokyo – bella e spocchiosa – la prima componente arruolata a suo tempo nel piano criminale; la sua voce fuori campo aleggia sulla scena e sulle emozioni di chi vi assiste, come chi scrive, grazie alla piattaforma Netflix.
«Quando sei rinchiusa da cento ore, sei stata incatenata e sul punto di morire, e hai perso la tua migliore amica, quelle cento ore ti sembrano cento anni. E uscire ti sembra la più grande libertà del mondo.
Non importa se hai migliaia di armi puntate contro… disarmata, scalza, con il sole sul viso e circondata da tutto quel silenzio, ti senti libera!
Stavamo mandando un messaggio di speranza, Lisbona era lì, con noi, mentre uscivamo dalla banca, non nel Tribunale Nazionale, o in carcere come tutti credevano.
Stavamo dicendo a tutti che se eravamo stati in grado di farlo, saremmo stati in grado di fare qualsiasi cosa.
E la gente, iniziò a credere nei miracoli…»
Questa scena è l’inizio del secondo episodio della quinta stagione appena pubblicata de La Casa di Carta. La terza stagione ha avuto 34 milioni di spettatori nel mondo, la quarta 65 milioni.
Uno studio di Parrot Analytics – piattaforma di monitoraggio per TV e film su iOS, Android e Web – conferma che la serie, dopo aver conquistato i vertici della top ten Netflix di tutto il mondo, è stata 31,75 volte più richiesta rispetto alla media delle grandi serie a livello globale come Game of Thrones, The Walking Dead, Brooklyn Nine-Nine e Westworld.
E pensare che quando il serial uscì in Spagna con le due prime stagioni fu un vero flop, poi Netflix ha acquisito i diritti per mostrare la Casa de Papel al mondo, trasformandolo in un fenomeno senza precedenti con risvolti anche lontani dai televisori: giovani alle manifestazioni per i diritti civili in tuta rossa, con le maschere di Salvador Dalì, cantando Bella Ciao come hanno fatto i protagonisti del serial in due momenti fondamentali della narrazione.
I creatori della serie hanno smentito qualsiasi riferimento a storie realmente accadute, tuttavia ci sono molte coincidenze con una rapina vera che ha avuto luogo in Argentina nel 2006. Laggiù un tal Fernando Araujo che si faceva chiamare “El Maestro” mise in atto, dopo un lungo studio dei dettagli, una rapina con ostaggi, metodi originali e modi gentili, diciamo così, con un bottino di 15 milioni di dollari. La banda composta da sei personaggi, tenne in scacco una forza militare di 300 agenti. Finirono poi in carcere ma non a lungo perché non ci furono violenze e… la somma non è stata mai trovata. Pare che “El Maestro” stia promuovendo una richiesta di diritti di paternità al “Professore” e gli ideatori de La Casa di Carta.
Ma perché ne stiamo parlando? Che significato ha tutta questa storia?
In senso artistico, creativo e morale, ci piace riconoscere un DNA spagnolo da farsi risalire a Pedro Almodovar che ci ha insegnato, e lo abbiamo imparato con le lacrime agli occhi, che l’umanità spesso non risponde ai canoni del bene e del male secondo il pensare civile e comune. Non solo, ma che attraverso l’esplorazione del buio si può essere sorpresi dalla luce divina.
Nel senso più politico e sociale, per togliere subito di mezzo i tromboni che potrebbero fare collegamenti impropri con i nostri duri anni Settanta, è bene dire che Álex Pina Calafi, produttore televisivo, sceneggiatore, regista e scrittore spagnolo, ideatore della serie e anche di Vis a Vis, Il Molo Rosso, Sky Rojo, nel 1968 aveva sei mesi di vita. Quindi, nessun reducismo fuori luogo.
E allora cosa grida Tokyo con il suo «messaggio di speranza»? prima dell’ennesimo capovolgimento dei giochi e dei rapporti di forza tra cattivi e buoni, lasciando sospeso il quesito: “chi sono i cattivi veri?”.
Forse il messaggio è lo stesso del Forum Sociale e Mondiale del 2003 di Porto Alegre: «Un mondo migliore è possibile» e qui val la pena ricordare che questo stesso messaggio, recuperato in salsa catalana dal fantastico gruppo di danza sperimentale Fura de Baus – gruppo che però ha realizzato la cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Barcellona del 1992 – ha aperto anni fa uno spettacolo folle e multimediale come sempre, facendo scrivere su un tablet a terra «Un mondo migliore è possibile» con una penna digitale infilata nella vagina di una danzatrice, così che la frase campeggiasse in tempo reale su un grande schermo davanti agli occhi basiti del pubblico. Questo per dire ancora una volta: questi spagnoli!
Insomma in un mondo e un tempo che vede in Italia una sinistra istituzionale seriamente affaccendata alle questioni di governo; una sinistra di sinistra che muove pochi elettori e niente sentimenti; un ambientalismo fallito a causa di chi l’ha trasformato in un partito ex di sinistra; un populismo di simil-sinistra/destra che scalda gli animi intorno a temi poverini come il No-Green Pass con energie davvero degne di miglior causa – climatica? economica? migratoria?; in questo scenario, fantasticare che qualcuno – non un leader solo al comando, ma un gruppo di persone che ha rinunciato addirittura alla propria identità originale – possa osare a mettere in discussione la ragione principale dei malesseri del mondo che per semplicità diremo “una ricchezza ingiustamente ripartita”, beh, è meraviglioso.
Cosa ne pensa Il Professore qui di seguito citato dagli episodi?
«Perché non mi vuoi ascoltare Raquel? Perché sono uno dei cattivi? Ti hanno insegnato a distinguere il bene dal male. Ma se quello che stiamo facendo noi lo fanno altri ti sembra che sia giusto? Nel 2011 la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla 171 mila milioni di euro, dal nulla! Proprio come stiamo facendo noi, però alla grande. 185 mila nel 2012, 145 mila milioni di euro nel 2013. Sai dove sono finiti tutti quei soldi? Alle banche, direttamente dalla Zecca ai più ricchi».
Ma qui si sta suggerendo alla sinistra un piano criminale? Assolutamente no. Infatti lo dice il Professore: «Fate attenzione: perché se dovessimo versare una sola goccia di sangue non saremmo più dei Robin Hood ma diventeremo dei semplici figli di puttana».
Il suggerimento alla sinistra è di proporre finalmente un piano di nuova creatività teorica, pratica, in una visione planetaria, addirittura di amore sociale.
Una nuova visione coraggiosa che punta a cambiare il mondo, non solo il motore delle nostre auto.
Un piano che apra gli occhi e accenda i cuori che forse non attendono altro.
Come il grande Helsinky ci ha spiegato bene:
«C’è bisogno di più coraggio per l’amore che per la guerra».
Sabato, 11 settembre 2021 – n° 33/2021
In copertina: La Casa di Carta 5 – Foto Netflix