lunedì, Novembre 25, 2024

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Libano: verso il tracollo definitivo?

Corruzione, politica settaria e povertà

di Laura Sestini

Chi lo avrebbe mai detto che il Paese dei Cedri si sarebbe trovato in queste infauste condizioni? La Banca mondiale, difatti stima quella del Libano una delle peggiori crisi economiche degli ultimi 150 anni, con un debito pubblico del 174% sul PIL e il 40% di disoccupazione. Oltre la metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.

Queste le premesse che forniscono una sintesi generale delle condizioni in cui si trova il Paese che per decenni – prima della guerra civile degli anni ’75-’90 – era considerato tra i più prosperi e civilmente avanzati di tutto il Medio Oriente https://www.theblackcoffee.eu/primo-piano-su-il-libano/).

La stessa Costituzione libanese prevede il riconoscimento di tutte le confessioni religiose presenti sul territorio, mentre alle donne viene riconosciuto il diritto di voto già nel 1953 (a differenza delle irachene che lo hanno ottenuto nel 1980).

Ancor prima della terribile esplosione al porto di Beirut ad agosto 2020, una profonda crisi economica attanagliava il Libano, tantoché nel 2019 vi erano state già delle forti contestazioni popolari contro i politici al Governo, la corruzione e la disoccupazione che soffocava e immobilizzava il Paese, che presero avvio a seguito della decisione del Primo ministro Saad Hariri di aumentare l’iva e le tariffe dei social più comuni per rinforzare le casse statali. Ciò non solo generò crescente diniego contro le istituzioni, per cui si scese ancora una volta per le strade, soprattutto affamava maggiormente le famiglie. Secondo l’Onu, già nella prima metà del 2020 il 55% dei cittadini libanesi non aveva un’adeguata razione di cibo quotidiano.

Reduce da tutta una serie di guerre grandi e piccole, il Libano, suo malgrado si ritrova coinvolto dal 2011 nella guerra siriana – anche se non frontalmente – per le differenti correnti politiche e religiose che l’ha caratterizzata, i quali attori sconfinano sul suo territorio con attentati, rapimenti e uccisioni mirate. Principalmente – nel caos mediorientale degli ultimi 10 anni – in Libano è stata l’economia che ha molto risentito della lunga e sanguinosa guerra della vicina Siria, da dove, anche, sono arrivati quattro milioni di profughi, contro i soli sei milioni della popolazione libanese.

Grande snodo commerciale del Medio Oriente – il Libano – per una annosa serie di concause dovute anche all’incapacità delle proprie politiche economiche si è ritrovato in una lunga recessione, attutita solo attraverso i prestiti della Banca mondiale, dell’Europa e di alcuni Paesi del Golfo; questi in seguito si sono accavallati alla gravosità degli interessi, in un circolo vizioso che ha trovato tragico epilogo con l’esplosione accidentale del porto di Beirut. Le vittime – ricordiamo – furono 270; 5000 i feriti e circa 300 mila rimasero senza una casa.

A seguito dell’esplosione al porto – il 4 agosto2020 – causata da 2750 tonnellate di nitrato di ammonio stivate in un grande magazzino senza le dovute cautele, si sono innescate nuove, violente, manifestazioni popolari. La popolazione di Beirut già provata dalla forte recessione e la svalutazione della sterlina libanese, era spaventata ed affamata; situazione che si aggiungeva alla pregressa pandemia.

A luglio 2021 – dopo oltre un anno di vuoto parlamentare – la nomina di Najīb ‘Azmi Miqatī a Primo Ministro – la cui nuova formazione governo nasce il 10 settembre scorso. L’uomo politico – che ha già svolto precedenti mandati parlamentari – è un ricco imprenditore, considerato l’uomo più facoltoso del Libano ed anche accusato per più casi di corruzione.

Non a caso, con la pubblicazione dei Pandora Papers, il Libano – con i suoi ricchi uomini d’affari – è risultato uno dei Paesi in cima alla lista dei patrimoni offshore. Niente di nuovo in definitiva, considerato che il Libano deve il suo grande sviluppo economico degli anni che furono, prospero e famoso per i numerosi istituti bancari nazionali ed i servizi a questi annessi.

Dopo il tragicamente eccezionale evento del porto di Beirut, il Libano è al tracollo. Le merci, che importa quasi totalmente da altri paesi, passavano di lì al 60%, mentre lavoro, mancanza beni di prima necessità e profonda inflazione monetaria fanno il resto.

Le indagini sull’esplosione al porto di Beirut – che paiono ferme per le troppe pressioni che riceve il giudice responsabile Tarek al-Bitar – portano molto malcontento tra le differenti fazioni politiche che a loro volta si distinguono per le diverse correnti religiose e non riconoscono le accuse indirizzate da Al-Bitar a privilegiati leader politici abituati a non essere mai stati tirati in ballo per i loro misfatti, coperti dalla ingente corruzione che ha portato il Paese alla rovina economica e sociale.

La mancanza di denaro circolante, e il profondo debito dello Stato, non garantiscono le necessità minime per la popolazione, che si arrabatta come può per il cibo, ed anche le risorse energetiche che scarseggiano. I carburanti e la corrente elettrica nell’ultimo anno sono stati molto discontinui, lasciando al buio fino a 20 ore al giorno i meno abbienti. Va un po’ meglio per coloro che hanno dei generatori, ma il carburante ha prezzi esorbitanti ed infine – a causa della cessazione delle forniture di gasolio e gas naturale da parte della Turchia per il debito contratto – si giunge al black-out totale di 24 ore di sabato 9 ottobre, per lo spegnimento delle due più importanti centrali elettriche del Paese, lasciando tutti al buio.

In questa situazione surreale, l’esercito sequestra carburante contrabbandato per rifornire servizi essenziali come gli ospedali, mentre la protesta delle fazioni politiche sciite monta – a seguito delle indagini sull’esplosione al porto – e scende in strada il 14 ottobre per manifestare ‘pacificamente’ davanti al Palazzo di Giustizia, nel quartiere di Tayyouné Badaro – ma taluni in abiti militari ed armi a tracolla.

Cecchini (cecchini?) dai tetti circostanti aprono il fuoco ed uccidono sei persone mirando alla testa dei manifestanti, in più causano decine di feriti. Mentre i gruppi politici sciiti – Hezbollah e Amal, quest’ultimi della stessa corrente a cui appartiene il più votato politico Moqtada al-Sadr alle recenti elezioni parlamentari in Iraq – accusano l’esercito libanese, questo interviene e cattura uno degli sniper. I manifestanti sciolgono la protesta mentre militari e cecchini continuano a spararsi addosso per alcune ore.

Il Libano si presenta come una bomba ad orologeria, con le peggiori conseguenze che sta già subendo da lungo tempo la popolazione. Chi può scappa dal Paese, mentre in molti intravedono già una possibile guerra civile. Auspichiamo che siano valutazioni errate, dettate dalla paura e dalla precarietà, ma gli ingredienti sembrano esserci proprio tutti.

Sabato, 16 ottobre 2021 – n°38/2021

In copertina: panoramica del porto dopo l’esplosione del 4 agosto 2020 – Foto Rashid Khreiss/Unsplash

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