lunedì, Novembre 25, 2024

Italia, Politica

Migranti: invisibili e strumentalizzati

Cronache dalla tendopoli San Ferdinando-Rosarno

di Laura Sestini

L’attuale tendopoli di San Ferdinando-Rosarno è stata allestita nel 2019, a seguito della decisione governativa di smantellare il vecchio insediamento costruito allestito nel 2010, poiché nel tempo era divenuta una baraccopoli invivibile e causa di alcuni decessi. Come già sottolineato nel breve anticipo fotografico https://www.theblackcoffee.eu/se-questo-e-un-uomo/, durante gli anni le persone arrivate in questa area della Calabria per lavorare come braccianti agricoli sono cresciute di numero, mentre le tende hanno mantenuto la medesima capacità di accoglienza. I nuovi arrivati, quindi – per ripararsi soprattutto durante la stagione invernale – si ingegnano di costruire degli alloggi con materiali di fortuna recuperati negli ammassi di rifiuti circostanti: lamiere, assi di legno, teloni di vecchi camion, vecchie porte, pezzi di nylon.

Entrambe le tendopoli governative destinate ai migranti avrebbero dovuto essere un luogo di passaggio, una sistemazione temporanea – al massimo di un anno – con l’obiettivo futuro dell’accoglienza diffusa. Ma solo dopo la rivolta di Rosarno, nel 2010 – quando i migranti si ribellarono alle condizioni di lavoro che li equiparavano ad animali da soma, e dove due di essi rimasero feriti dai colpi di pistola sparati dalle mani dei locali – si è realmente aperta la strada per quel tipo di alloggio, che non è più quindi più una ‘elemosina istituzionale’ arrabattata e di emergenza, o un ex capannone industriale dove arrangiarsi a vivere, ma finalmente al migrante viene riconosciuta la dignità a soggetto capace di essere responsabile della propria vita, lavorando, pagando un affitto per un ambiente degno di essere chiamato ‘casa’, e gestendo la propria esistenza a tutti gli effetti.

In Calabria un esempio di accoglienza diffusa si è realizzata dal 2011 a Drosi, una frazione del Comune di Rizziconi – ad una decina di chilometri a sud-est di Rosarno – dove la Caritas diocesana locale insieme a quella oppidana hanno unito intenti e forze economiche per affittare alcuni appartamenti dove inserire gli immigrati in un circuito virtuoso. “Non è stato facile – racconta Vincenzo Alampi – diacono e direttore della Caritas di Oppido Mamertina-Palmi – come sappiamo, nessuno affitta appartamenti ai migranti, quindi i locatari degli immobili siamo noi e li ridistribuiamo. Abbiamo iniziato con due, poi quattro, poi otto, fino ad arrivare a circa 30 appartamenti con oltre 150 persone che vivono finalmente in condizioni dignitose. All’inizio abbiamo stanziato diverse migliaia di Euro a garanzia, ed anche restaurato alcuni immobili del centro storico, ormai vecchi perché disabitati da anni. Il progetto Drosi è un esperimento, alcuni dei migranti che abitano quelle case arrivano anche dalla tendopoli di San Ferdinando-Rosarno”.

Alampi ci guida dentro alla tendopoli di San Ferdinando, insieme ad un volontario – Nando – e Gianantonio Ricci della Onlus Chico Mendes di Milano, organizzazione che collabora ai progetti di filiera agricola legale di NOCAP fondata da Yvan Sagnet – ex bracciante camerunense.

Una volta dentro al campo, alcuni ‘cittadini’ della tendopoli ci vengono incontro: chi chiede dove può trovare un dentista, chi ha bisogno di una scatola per una spedizione, chi brontola che il campo è ‘nelle mani di Dio’ e le autorità non sono interessate ai migranti, chi invece ci mostra due cagnolini salvati dalla strada.

Alampi ed il volontario vengono circondati da chi ha bisogno di informazioni o semplicemente è curioso e vuole salutare la straordinaria carovana di visitatori domenicali. Ci viene incontro anche l’attuale Imam – un robusto giovane nigerino.

In questo periodo al campo si attendono molti arrivi, di coloro che ritornano dal lavoro stagionale agricolo estivo in altre regioni. La raccolta degli agrumi è vicina, anche se il raccolto del 2021 si dice essere di entità inferiore, a causa della lunga stagione secca, e chissà se ci sarà lavoro per tutti.

In questo frangente, nella tendopoli ci sono solo uomini – età media entro i 30 anni – ma Alampi ricorda anche alcune donne passate di qui, ed anche coppie; qualche cristiano evangelista e tutto il resto di credo musulmano.

Becky Moses

Tra le donne finite nel campo profughi di San Ferdinando-Rosarno possiamo ricordare Becky Moses, 26enne nigeriana in attesa di un permesso di soggiorno che non arriverà mai, inizialmente a Riace – inviata dalla Prefettura di Reggio Calabria – in quel progetto di accoglienza migranti per cui a fine settembre è stato condannato per associazione a delinquere finalizzato al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina Domenico Lucano.

La giovane, non potendo usufruire dei benefici di accoglienza a Riace, aveva deciso di trasferirsi nella tendopoli, tra gli ‘invisibili’ senza permesso di soggiorno, dove poco tempo dopo tragicamente perirà in un incendio sviluppatosi al campo – ritrovata carbonizzata. Fortuitamente fu rinvenuto quasi integro il suo documento di identità emesso proprio dal Comune di Riace, dal sindaco Mimmo Lucano. Dopo mesi in obitorio, dimenticata nelle pieghe dell’indifferenza burocratica, i resti della donna sono stati accolti e sepolti nel piccolo cimitero di Riace Superiore. Lucano ricorda che Riace, alla donna, ha dato dignità sia da viva che da morta.

Entro la tendopoli è stata allestita la moschea – un’ampia tenda con dei tappeti per la preghiera del venerdì e le altre ricorrenze religiose del mondo musulmano. Alampi racconta che per questo spazio c’era bisogno di un altoparlante, ma le differenti etnie del campo non riuscivano ad accordarsi per comprarne uno. Alla fine la sezione Caritas, di cui Alampi è direttore, ha deciso acquistarne uno e regalarglielo.

La moschea della tendopoli San Ferdinando-Rosarno

Tra i tanti che si avvicinano al gruppetto in visita domenicale giunge – insieme alla sua bicicletta – anche un uomo più maturo, con i capelli brizzolati. Incalzato da qualche domanda – in un italiano un po’ stentato, quindi si tenta con l’inglese – racconta di essere nel campo da otto anni, tornato qui solo da una settimana. Non vede sua moglie da tanti anni, mentre al nostro interesse di sapere se riesce a inviare abbastanza denaro alla famiglia in Niger replica ‘sometimes’; a causa di questo vorrebbe tornare in Africa, perché in Italia non prevede nessun futuro migliore.

Tra i giovani che salutano, Tahir, 21 anni, è entrato da quattro mesi in un progetto della Rete Sipla – ente che protegge i braccianti agricoli stranieri dal caporalato e lo sfruttamento lavorativo. Alto e magro, con i capelli a corti dreds, sta studiando per la patente di guida, lavora, ed è rientrato in una casa per l’accoglienza diffusa di Caritas. Sorride affermando di essere contento, e solodi passaggio alla tendopoli per salutare i vecchi amici.

Ci piacerebbe avere risorse per tutti – continua Alampi mentre si cammina tra le tende – ma purtroppo non ci sono. Stiamo facendo piccoli passi, ma significativi.

Le condizioni di vita nella tendopoli non sono buone, metà delle tende sono vecchie e quando piove entra l’acqua dappertutto, mentre in estate ci sono 45° di calore. Tutti concordano sul fatto che la Regione Calabria sia completamente assente. ed altrettanto il Governo. L’atto politico di smantellare la vecchia tendopoli-baraccopoli a poche decine di metri di distanza, è stato un passo, ma tutto poi è rimasto fermo lì. Invece sarebbero necessari almeno adeguati servizi igienici, docce ed anche l’energia elettrica. Caritas ha sopperito ad allacciare alcuni fili elettrici, ma non è sufficiente e soprattutto non è di sua competenza. “Abbiamo cambiato anche i rubinetti e sostenuto tante spese per la tendopoli. Tutto a titolo volontario di Caritas e delle persone – volontari e simpatizzanti – che offrono il loro tempo per aiutare.

Alampi cita Celeste Logiacco, segretaria locale di Flai-CGIL, sindacato che si adopera per dare una mano alle necessità burocratico-lavorative dei migranti ed per i diritti umani.

Un uomo africano vestito di arancione con una lunga collana di legno al collo – che ricorda un santone indiano – ci tiene a far sapere che la vita nella tendopoli è molto dura; nonostante tutti gli anni in Italia, i documenti non li hanno e – ironia della sorte – di qui non possono muoversi.

Tra i tanti eventi accaduti alla tendopoli, il Covid -19 non è mancato e ad un certo punto al campo gli ospiti risultavano al 90% positivi. Con pazienza, Caritas sempre in collegamento con il servizio medico di Emergency e Medu, è riuscita a mediare con questa comunità – formata da 15 etnie diverse – per convincere tutti a vaccinarsi.

Un’altra questione che influisce negativamente sull’atmosfera del campo – oltre a tutto il resto – è quella della strada politica che tenta la Rete Campagne in lotta. Basata su giusti presupposti anticaporalato ed antisfruttamento, talvolta le tematiche di conflitto sono troppo poco chiare ai migranti – complice anche la scarsa conoscenza linguistica – e di azione estremista. Di tanto in tanto capita che qualcuno viene ‘montato’ dagli attivisti – tantoché la figlia dell’ex Ministro Padoan – Veronica, leader nel movimento – ha ricevuto il Daspo, e succedono cose sgradevoli.

Attraverso questi attivisti politici, nel tempo molti migranti si sono convinti che tutte le associazioni che danno loro aiuto o vincono bandi per qualche progetto nel campo, in realtà lucrino a loro discapito. Se ciò è anche vero, trasversalmente a livello nazionale – che nel tempo qualche associazione, soprattutto le grandi cooperative, sono state indagate e condannate – altrettanto è tangibile che ci sono associazioni serie e puntuali dal punto di vista etico ed economico, sicuramente la maggioranza quasi totalità.

Migranti

Durante il periodo di ‘zona rossa’ nel campo, quando dalla tendopoli non si poteva uscire e quindi neanche lavorare perché braccianti irregolari, una domenica alcuni degli Africani se la presero con la postazione di Polizia nel piazzale prospiciente l’entrata, a cui tirarono scatolette di tonno, barattoli e tutto quello che avevano ricevuto di alimenti da Caritas, distribuita personalmente da Alampi. “Una situazione molto spiacevole ed un grande spreco di cibo – ricorda l’uomo”.

A seguito di questi ‘distorti principi di lotta politica’ inculcati ai migranti, su cui è facile fare presa per le condizioni di disagio – che a sua volta possono essere trasferite a compagni di tenda o amici – alla fine tutti ci rimettono, buone organizzazioni e stranieri.

Il direttore di Caritas – ed anche Gianantonio Ricci di Chico Mendes – sanno bene che lo stress di queste persone è sempre molto forte, per la vita inaccettabile che fanno da anni, per la mancanza di documenti, ed anche di lavoro, a cui si aggiungono talvolta disturbi mentali causati dai mille soprusi perpetrati a danno della dignità di esseri umani. La gente che vive nel campo è allo sbaraglio. Ciò obbliga ad essere sempre cauti con i sentimenti delle persone, specialmente quelle di indole più irritabile.

Parole di conferma anche dal volontario di Caritas, la cui attività pare particolarmente benvoluta nella tendopoli. Egli sostiene che questo è l’effetto di tre anni di abbandono della questione migranti da parte delle autorità (a seguito dopo il Decreto Salvini di fine 2018 – n.d.r ) a partire dallo smantellamento della baraccopoli. Qui tutti promettono ma poi non mantengono, a parte chi opera a titolo volontario.

Difatti, se qui al campo si può ancora usufruire del corso di Italiano è grazie a Caritas, dal momento che il decreto salviniano aveva tagliato quasi della metà le quote giornaliere destinate alla gestione degli abitanti della tendopoli, per cui tra le prime attività eliminate ci furono proprio i corsi di lingua, indispensabili anche per lavorare come bracciante agricolo.

Di ritorno alla stazione di Rosarno, con Ricci, cordiale autista e guida nella zona industriale di San Ferdinando e Rosarno, passiamo davanti all’ex tendopoli-baraccopoli, un luogo indecente per farci vivere degli esseri umani che si è incendiato più volte e ci sono morte diverse persone. Ricci, nella sua narrazione, paragona la vecchia baraccopoli ad un ‘luogo bombardato’.

La vecchia tendopoli-baraccopoli dopo un incendio
Foto: Flai-Cgil

Ricci espone anche il progetto di Chico Mendes con NOCAP – una rete virtuosa di piccole aziende e cooperative che assumono migranti regolarmente, ed entrano nella filiera commerciale sviluppata da NOCAP; mentre parallelamente altre associazioni, tipo Chico Mendes, operano sul campo per la parte burocratica contrattuale di lavoro o per gli affitti degli appartamenti dedicati ai migranti, nonché il reclutamento dei medesimi che vogliono entrare nel circuito.

Nella rete NOCAP si inseriscono anche aziende del Nord; questo dà maggiori possibilità di posti di lavoro e molto spesso gli stranieri sono contenti di lasciare la Calabria o la Sicilia.

Ciò che dalla politica è chiamata ‘emergenza’ – riguardo ai migranti agricoli, gli invisibili – in realtà è realtà strutturale al sistema economico, poiché gli agricoltori hanno bisogno della manodopera a basso costo per la catena agroalimentare locale, nazionale e anche internazionale. Si, il lavoro nero degli stranieri rientra anche nelle esportazioni. Qui, in qualche maniera, tutti hanno i loro vantaggi, e non c’è molta scelta: gli agricoltori hanno manovalanza da sfruttare, mentre i migranti africani senza documenti hanno una parte tenda dove dormire, se qualcuno lo accoglie, altrimenti non avrebbero neanche dove rifugiarsi. Non solo clandestini, però. Alla tendopoli ci sono molte persone con il regolare permesso di soggiorno, ma non abbastanza entrate economiche per poter affittare anche un piccolo appartamento, e la pelle troppo nera per essere viste come veri esseri umani e credute capaci di condurre una vita regolarizzata.

Sabato, 6 novembre 2021 – n° 41/2021

In copertina: dentro alla tendopoli di San Ferdinando-Rosarno – Tutte le foto ad esclusione di Becky Moses e la baraccopoli incendiata sono di Laura Sestini (tutti i diritti riservati)

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