La Germania si avvale della giurisdizione universale per i crimini internazionali
di Laura Sestini
A seguito della conclusione della guerra contro l’Isis in Siria ed Iraq nel 2018-2019, decretata sulla carta dagli Stati Uniti ma non effettivamente sui territori che furono di conquista del Califfato Islamico, dalla Amministrazione Autonoma della Siria di Nord e dell’Est – istituita dalla maggioranza curda che risiede in quei territori, le cui Unità militari di Difesa del Popolo YPJ e YPG hanno strenuamente combattuto contro i mercenari jihadisti – più volte è stato lanciato un appello internazionale perché i Paesi di origine dei foreign fighter islamisti si assumessero la responsabilità di processare i propri cittadini, di cui a migliaia sono in standby in delle strutture detentive di emergenza messe in piedi dall’Amministrazione Autonoma (AANES), catturati durante il conflitto siriano.
I foreign fighters sono da tempo scomparsi dalla narrativa giornalistica, ma non ancora dalle carceri di fortuna nel territorio siriano del Nord-est. Finora pochissimi Paesi, ed in numeri piuttosto esigui, hanno accolto l’appello di AANES e trasferito in madrepatria i propri cittadini ex-mercenari Isis, per sottoporli al giudizio della legge.
La Germania, al contrario, avvalsasi della giurisdizione universale, ha già processato almeno cinque persone appartenenti a vario livello alle fila del Califfato Islamico. L’ultimo in sequenza – con sentenza a fine novembre – è il ventinovenne iracheno Taha Al-Jumailly – ex militante islamista arrivato in Germania a seguito del matrimonio con una giovane donna tedesca partita alla volta della Siria per arruolarsi nei ranghi delle donne del Califfato nel 2014 – la trentenne Jennifer Wenisch. Ella risulta la prima cittadina tedesca foreign fighter messa alle sbarre in madrepatria, poi condannata dal Tribunale Federale per i crimini di guerra commessi durante lo stato di potere del Califfato a carico del popolo Yazida. Entrambi i coniugi sono stati condannati a vario titolo per lo stesso reato, ovvero per aver lasciato morire di sete sotto il sole dell’estate irachena – circa 50° C – una bambina di cinque anni, acquistata come schiava insieme alla madre Nora T. (nome fittizio) al mercato dei bottini di guerra del Califfato, nel 2015 a Mosul.
La bambina era stata ‘punita’ da Al-Jumailly per aver bagnato il letto, e posta legata ad una finestra all’esterno della casa sotto il sole cocente, nel pressi di Fallujah – città di origine dell’uomo – dove i due coniugi si erano trasferiti in un certo periodo.
La donna tedesca, il 25 ottobre era già stata condannata a 10 anni di reclusione per concorso in tentato omicidio, perché non aveva provato a dissuadere il marito dalla decisione di lasciare la bambina sotto il sole. Al contrario – con una sentenza storica per crimini contro l’umanità e genocidio del popolo yazida – Al-Jumailly è stato condannato in prima istanza dal Tribunale di Francoforte all’ergastolo. L’imputato alla lettura del verdetto è svenuto.
Le due condanne a carico di Al-Jumailly e Wenisch del tribunale tedesco hanno un grande valore etico e storico per il riconoscimento delle violenze subite dalla popolazione yazida – una minoranza curda che vive nella regione dello Shengal, tra la città irachena di Mosul e il confine siriano – la cui popolazione maschile fu trucidata in massa in un’incursione del Califfato Islamico subito dopo la conquista di Mosul – ad agosto 2014 – e migliaia di donne e bambini ridotti in schiavitù sessuale o come inservienti delle famiglie dei mercenari islamisti. Ancora oggi risultano disperse circa 3 mila persone, tra gli Yazidi. Tra i volti più noti di questo popolo ed insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2018, ritroviamo Nadia Murad, rapita insieme alle altre donne nel 2014 – e divenuta parimenti schiava sessuale – che riuscì a sfuggire qualche mese dopo ai propri carcerieri, coraggiosamente riportando alla cronaca mondiale la violenza, la tratta delle donne e il genocidio a cui era sottoposto il suo popolo in Iraq, dalla furia terroristica del Califfato Islamico.
L’azione giudiziaria tedesca non si ferma ai soli foreign fighter nazionali o localizzati come ‘rifugiati’ nei propri confini statali, bensì ha allargato il campo anche a differenti soggetti che secondo i Trattati internazionali hanno commesso crimini contro l’umanità. Attualmente è in corso un processo penale contro Anwar Raslan, un ex colonnello dell’esercito regolare siriano, che disertò il suo incarico durante la conquista della città di Raqqa – in Siria – nel 2014, poi divenuta, questa, roccaforte e quartier generale del Califfato Islamico, che qui si autoproclamò ufficialmente agli occhi del mondo per voce del suo leader Abu Bakri al-Baghdadi, poi deceduto in un attacco aereo statunitense in una piccola località vicino al confine turco a novembre 2019.
Raslan e la sua famiglia avevano trovato appoggio per riuscire a raggiungere prima la Francia, attraverso il Consolato francese in Giordania e varie conoscenze nei servizi segreti mediorientali, per poi ritrovarsi in Germania nella trafila burocratica per richiedente asilo come un qualsiasi migrante giunto in Europa. Riconosciuto nelle vesti di responsabile militare per la supervisione delle pene inflitte ai carcerati di alcune prigioni siriane, arrestato dalla polizia tedesca nel 2019, è in attesa di sentenza di primo grado per 4 mila casi di tortura, 58 casi di omicidio, stupro ed abusi sessuali. Questo è il primo processo internazionale a carico del regime di Bashar al-Assad, il presidente siriano.
Per le stesse imputazioni, ma con ruolo inferiore, il 24 febbraio scorso il Tribunale di Koblenz ha condannato il funzionario della sicurezza del governo siriano Eyab al-Gharib a quattro anni e mezzo di carcere per crimini contro l’umanità, giudicandolo colpevole per le torture commesse nella sede 251 dei servizi per la sicurezza dello Stato – meglio conosciuta come al-Khatib – nei confronti di manifestanti, anche pacifici, arrestati nel 2011 a Damasco. Nella stessa modalità di Raslan, Al-Gharib è stato arrestato in Germania a febbraio 2020.
Al processo tenuto dall’Alta Corte tedesca, numerosi profughi siriani accolti in Europa lasciano le proprie testimonianze delle violenze a cui vanno incontro gli oppositori politici rinchiusi nelle prigioni governative – di cui molti sono state vittime in prima persona.
Dovuto alla mancanza di registrazioni ufficiali durante le udienze nei Tribunali tedeschi, alcune organizzazioni per i diritti umani, tra cui l’ECCHR – Centro europeo per i diritti costituzionali e umani – e il Syria Justice and Accountability Centre, stanno documentando il processo a carico di Anwar Raslan, per garantire al popolo siriano la possibilità di accedere alle informazioni e gli aggiornamenti sul caso. La sentenza sul caso Raslan è attesa entro il 2021.
Per approfondire:
https://www.theblackcoffee.eu/yazidi-a-sei-anni-dalla-pulizia-etnica/
https://www.theblackcoffee.eu/il-vizietto-turco/
https://www.theblackcoffee.eu/a-caccia-di-mine-disseminate-dallisis-in-pentole-padelle-e-giocattoli/
https://www.theblackcoffee.eu/jihad-e-foreign-fighter/
Sabato, 4 dicembre 2021 – n° 45/2021
In copertina: bambini yazida tratti in salvo dalla violenza jihadista – Foto: Defend International CC-BY-20