Prezzi aumentati e venditori inaffidabili
di Elio Sgandurra
Un amico mi ha raccontato di un’avventura automobilistica di cui è stato protagonista. Non si è trattato di un incidente e nemmeno di complicate pratiche burocratiche, ma semplicemente dell’acquisto di una automobile. Questa decisione che raffigura il maggior simbolo del consumismo, si era resa necessaria perché doveva sostituire una sua vettura – vecchia di 21 anni – che marciava ancora bene ma aveva bisogno sempre di piccole cure e di pezzi di ricambio spesso introvabili.
Pensava che la ricerca e l’acquisto del mezzo più idoneo alle sue esigenze sarebbero stati facilissimi, da quanto desumeva subendo la martellante pubblicità che appare alla TV e sulla stampa, dove appaiono certi mostri multicolori che dovrebbero appagare le scelte degli acquirenti. Poiché quelle immagini delle auto non sono accompagnate – se non raramente – dal prezzo, il futuro cliente ha comprato un paio di riviste del settore che contengono i costi di tutte le marche. Ma vi ha trovato alcune difficoltà perché per gli stessi modelli le cifre variavano a seconda degli accessori e della cilindrata, che vengono segnalati a parte con caratteri quasi illeggibili.
Allora ha sfogliato le altre pagine nelle quali venivano pubblicate le prove delle vetture più recenti: non erano però i modelli base, ma i più accessoriati e i più potenti – che a lui non servivano – e che venivano a costare cifre vertiginose rispetto ai più “poveri”. Quelle riviste, invece di aiutare i propri lettori, apparivano come dei grossi dépliant a pagamento. Mai rilevata una critica seria se non qualche appunto sulla durezza della plastica delle finiture o sulla eccessiva altezza da terra del portabagagli.
Scartato l’Usato Sicuro – i cui prezzi sono notevolmente aumentati – alla fine decide di consultare direttamente i concessionari delle varie marche e qui comincia la sua vera avventura. Il primo è un concessionario di un modello prodotto in Francia il cui prezzo di 15.750 Euro risulta sulle riviste consultate. Da quella cifra sarebbero stati tolti i 1500 dell’incentivo statale. Avrebbe preferito un’auto italiana di quel livello, ma la popolare “Panda” a benzina, seppur più piccola, veniva a costare ben 18.100 Euro, quasi quanto una vettura di media cilindrata.
Il concessionario della Casa francese che consulta, gli abbozza su carta non intestata un preventivo di 1000 Euro, maggiore rispetto a quello della rivista e in più ne aggiunge 750 per il colore della carrozzeria. Nessuno ne parla mai ma i colori delle auto hanno un sovrapprezzo a meno che il cliente accetti quello standard, che normalmente è bruttissimo e provoca un maggiore ritardo nella consegna.
Allora il cliente decide di rivolgersi altrove e visita almeno una decina di concessionari il cui modo di “esporre la merce” è paragonabile ai venditori di un Suk, un mercato arabo dove i prezzi vengono stabiliti a caso, ma sempre più cari di quelli ufficiali. Alla fine il mio amico ha comprato l’auto che voleva dopo trattative tipiche di quel mercato. Gli avevano promesso la consegna per lo scorso novembre, ma la sta ancora aspettando.
I costruttori di automobili dell’ANFIA – Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica – si lamentano per il calo delle vendite sceso nel 2021 del 25%. “Colpa del Covid”, dicono senza fare un minimo di autocritica. Intanto hanno aumentato i prezzi e non mettono ordine nel Suk dei concessionari.
In Italia il calo delle vendite ha superato il 30%. L’ unica società produttrice – la ex Fiat, poi Fca e adesso nel gruppo Stellantis – mantiene un catalogo di pochi modelli: la Panda, la 500 e le derivate, la Tipo che in realtà proviene dalla Turchia. Le marche assorbite in passato – Lancia e Alfa Romeo – producono rispettivamente un solo modello: il primo è la ormai anziana “Y”, il secondo la lussuosa “Giulia”. Le uniche Case ad aver successo all’estero sono le Ferrari e le Maserati anch’esse appartenenti al gruppo.
Sono finiti i tempi d’oro dell’industria italiana tanto apprezzata all’estero, tanto che Henry Ford il fondatore dell’omonima industria automobilistica, diceva: “Quando vedo passare un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello”. In tempi più recenti Romano Prodi – presidente dell’IRI – dovette cedere ai privati tutti i “tesori” dell’Istituto statale tra i quali l’Alfa. Si fece avanti la Ford per acquistarla, ma il presidente del Consiglio Bettino Craxi impose di venderla alla Fiat, che già possedeva la Lancia. Finì così la concorrenza tra l’industria dell’auto italiana, dando grande spazio a quella straniera.
Sabato, 22 gennaio 2022 – n° 4/2022
In copertina: modelli di auto del passato – Foto: Alevision.co/Unsplash