Il chiaro dei percorsi personali, lo scuro di quelli legislativi
di Giorgio Scroffernecher
Francesca lascia la sua auto alla fine della strada bianca, all’inizio della spiaggia deserta. Infila le chiavi sopra l’antina parasole. Si toglie i sandali e li lascia accanto alla pedaliera, poi a piedi nudi, indossando solo un lungo vestito bianco di lino che le cade sul corpo longilineo, si incammina verso quello sciabordio lieve. Il profumo del sale arriva fino a lì come per invitare l’avvicinamento. La luna è piena e risplende proprio al centro della scena di ponente; tramonterà immergendosi nell’orizzonte tra qualche ora e in quel momento si alzerà delicatamente anche la marea.
L’aveva pensata proprio così la scena, Francesca; la sorpresa è un profumo diffuso con il calore della notte estiva come di resina di pino, ginepro, rosmarino selvatico e chissà cos’altro.
In febbraio qualcuno ha detto che l’eutanasia non è una priorità per il Parlamento, eppure il successo della richiesta di referendum ha mostrato che dovrebbe esserlo. L’altra ci ha spiegato che c’è il dovere alla vita non il diritto alla morte. Quello di fresca presidenza ha invitato a non cercare il pelo nell’uovo, ma con tutti quegli ermellini in giro, i peli sono stati trovati e il referendum non c’è più. Tutto bloccato, tutto immobile, tutto impossibile, come sempre lì tutti a baccagliare tra gli scranni del sesso degli angeli, poi la vita va avanti, come la morte.
Francesca ha ricevuto l’annuncio della sua morte al terzo fallimento delle terapie. Il medico è stato chiaro e quasi amorevole: «Signora, mi chiede di parlar chiaro e io lo faccio. Tra qualche mese perderà del tutto la sua cognizione, e poi, al massimo tra due anni, anche la vita». Quello che ha spaventato Francesca non è stata la prima notizia e neppure la seconda, ma il tempo in mezzo tra le due.
L’amore della sua vita, Roberto, l’ha tradita con un incidente stradale che l’ha portato via cinque anni fa. Il figlio Matteo vive in America con una bella famiglia e due labrador in giardino. A Natale Francesca gli ha detto chiaramente le sue intenzioni, ha dovuto farlo tre volte. La prima volta lui, il figlio, paonazzo in volto, ha esclamato «Ma, sei fuori?», la seconda ha chinato la testa dicendo «Ma, sei sicura?» ascoltando in silenzio la risposta. La terza volta ha preso entrambe le mani della madre, le ha baciate sui palmi dove poi ha riposto il suo viso e tutte le sue lacrime. Non ne hanno più parlato. Il giorno prima dell’epifania Matteo e famiglia sono tornati in America.
Ora Francesca è quasi in prossimità del mare e le viene da sorridere in mezzo a quella stupenda poesia. Non c’è più il mondo, non c’è più la politica che pure ha appassionato la sua gioventù, non c’è proprio più la passione: solo la notte estiva, il silenzio, la luce della luna, i profumi della macchia alle spalle della spiaggia dove risuona il canto contemplativo dell’assiolo.
In altri tempi i capelli sarebbero stati sciolti lungo la schiena, ora invece la luce della luna scintilla sulla sommità del suo capo bellissimo, femminile, glabro, elegantissimo.
C’è solo Francesca con il mare. In pochi passi Francesca diventa il mare e nuotando placidamente verso la luna, diventa anche la libertà di essere quello che si è, così in vita come in morte.
E all’orizzonte Francesca scompare. Scompare anche la luna. E tutto diventa mare.
Sabato, 26 febbraio 2022 – n° 9/2022
In copertina: immagine di Bianca Van Dijk/Pixabay