Nazionalismo ed interventismo sono ideologie parallele
di Laura Sestini
Il nazionalismo non è certo una novità, ne possiamo ritrovare punti di riferimento, sotto differenti diciture e credo, a tutte le epoche, anche quando l’istituzione Stato-nazione non esisteva ancora. Purtroppo, nell’Europa Unita – nonostante sia nata sulla base di principi civili ed umani condivisi e di reciproca solidarietà – nelle ultime decadi la deriva interetnica e nazionalista, a cui si aggiunge il più recente sovranismo, un modo differente di manifestare le proprie ideologie politiche, economiche e culturali, ha già fatto gran sfoggio di sé.
Se è vero che l’amore per la propria nazione in molti casi ha unito le genti in passi fondamentali e riconosciuti principi di convivenza, basati su tratti comuni delle tradizioni, della storia, dell’arte e non per ultimo il cibo – ha insomma forgiato propriamente le nazioni – l’esacerbazione del concetto nazionalista si manifesta più apertamente in ambito politico e nel senso di appartenenza ad un determinato territorio, imparentandosi fortemente, lungo il suo evolversi, con l’interventismo militare, a demarcazione e difesa di quei valori identitari ritenuti invalicabili da chicchessia.
La modalità bellicista – con cui in questo ‘strano’ presente siamo intrinsecamente subissati da più direzioni – trova manifestazioni di interesse soprattutto in chi vede la guerra, di invasione, di difesa, di conquista, o di insurrezione, o solo di sostegno ai contendenti principali, come unico vocabolario per risolvere situazioni politiche complesse.
Il sentimento nazional-interventista è stato spesso propugnato anche da personaggi famosi che hanno avuto molto seguito. In madrepatria, prima e dopo la Grande Guerra, uno degli esempi lampanti, plateali, e di manifesto narcisismo fu Gabriele D’Annunzio, sì Vate, ma anche rivendicatore militarista e nazionalista di parti di territorio considerato italiano, la Dalmazia, l’Istria e Fiume, da riconquistare dopo il tradito Patto di Londra del 1915 e le decisioni del Trattato per la pace di Versailles del 1919.
Congiuntamente al grande poeta, spiccavano nell’ideologia bellicista altri letterati come Ardengo Soffici e Giuseppe Prezzolini, nonché il fondatore del movimento Futurista Tommaso Filippo Marinetti, ma pure il giovane Benito Mussolini ed uomini politici di ogni orientamento.
Le vicende militaresche di D’Annunzio non finirono bene, né per lui che rischiò di perdere un occhio, né per l’Italia a cui non furono mai concessi i territori della ‘vittoria mutilata’, riconquistati con il Fascismo e poi definitivamente restituiti alla Jugoslavia alla fine della Seconda guerra mondiale.
Il nazionalismo interventista italiano alla Grande Guerra, d’altronde procurò solo centinaia di migliaia di vittime militari e civili, la cui disfatta di Caporetto fu la peggiore sconfitta dell’esercito italiano contro la Germania e l’Impero austroungarico.
Il motivo della tragica avanzata italiana era liberare e riprendersi Trento e Trieste, città italiane ‘ingiustamente’ occupate dagli Austriaci. Decine di migliaia di soldati, spinti dagli infuocati discorsi del Parlamento, partirono verso le tre Venezie, convinti che sarebbe stato un gioco da ragazzi riconquistare quei lembi di terra italiana. Al contrario, dopo 12 battaglie cruente e due anni di sangue, infine fu l’esercito austriaco che riuscì a sfondare le linee, facendo retrocedere gli italiani fino quasi a Venezia.
Alla fine della guerra si contarono circa 700 mila morti, un milione di feriti e 300 mila prigionieri, solo per gli errori strategici degli alti ranghi dell’esercito Regio italiano. I soldati caduti furono considerati tutti ‘eroi’ periti per la causa patriottica – e certo non si poteva raccontare alle famiglie che erano morti invano per gli errori degli ufficiali, e le città ancora in mano al nemico. Difatti, i governanti, nonostante la battaglia di Caporetto, decisero per una nuova offensiva – fino alla vittoria finale – inviando a rinforzo delle trincee i Ragazzi del ’99, ovvero i neomaggiorenni, perdendo ancora 40 mila soldati.
Eppure non tutta la responsabilità delle guerre è attribuibile alla politica, poiché anche una grande parte della popolazione allora continuò a sostenere la guerra finché, insoddisfatta dei risultati, affidò l’Italia in mano a Benito Mussolini ed il movimento fascista che promise ancora più fortemente di riconquistare quei territori finiti oltre confine.
« In questo mattino d’agosto, … l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge … Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, … Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino … Viva l’Italia! » (Gabriele D’Annunzio)
Sabato, 7 maggio 2021 – n° 19/2022
In copertina: propaganda bellica dannunziana per il volo su Vienna del 1918