Intervista a Luigi D’Elia
di Laura Sestini
In un contesto storico, che già prima ancora del conflitto Russia-Ucraina, portava in evidenza la necessità di rivedere l’assetto sociale globale – dove taluni, in numero esiguo per la verità, sono ricchi e potenti, mentre milioni di altri esseri umani non hanno la possibilità di vivere una vita minimamente dignitosa, i flussi di migranti erano palesi e copiosi in molte parti del mondo.
Allo stesso modo, come se esistesse un codice segreto, tra gli Stati che avrebbero il dovere, o almeno la compassione di accogliere queste persone, ai quattro punti cardinali, adulti, donne, anziani e bambini vengono trattati spessi al pari di bestie, lasciati morire al freddo polare o nei deserti africani e mediorientali. Defraudati dei loro telefonini o dei pochi spiccioli che hanno nelle tasche. Le donne oltraggiate, i bambini lasciati senza acqua.
Eppure non è sempre stato così; c’è stato un momento, forse all’inizio dell’arrivo dei nuovi migranti, movimento di popoli che circa 30 anni fa ha visto ripetersi i flussi migratori a seguito delle grandi guerre mondiali del XX° secolo, che gli animi umani ancora mostravano un’animo solidale ed accogliente. Cosa è successo da allora, per trasformare la parte benestante dell’umanità, e la politica, in modello di ‘freddezza’ che mai era parso ci appartenesse?
Luigi D’Elia è autore, attore e scenografo teatrale. Nel bel mezzo dei flussi migratori che affollano il Mediterraneo, i Balcani e la rotta spagnola, decide di portare in scena un episodio di vita reale, la sua esperienza diretta con il primo arrivo di albanesi in Puglia.
Era il 1991: la guerra nei Balcani era appena iniziata.
Lei ha vissuto di persona, a Brindisi, sua città natale, lo sbarco di migliaia di cittadini albanesi che scappavano dal conflitto dei Balcani nel 1991, benché non ne fosse direttamente coinvolta la nazione. Era la miseria soprattutto che li spingeva in Italia. Lei li vide con quali ‘occhi’?
Luigi D’Elia – Con gli occhi di un ragazzo di quindici anni che era solo felice perché la scuola sarebbe stata chiusa nei giorni successivi. Le avevano requisite tutte per ospitare i 27 mila albanesi arrivati. Di sera con gli amici andavamo in giro con i motorini – c’erano i “Sì” Piaggio allora – per vedere cosa succedeva giù al porto. Ci affacciamo alla murata che dà sulla banchina e restavamo a guardare la massa umana. Ricordo che era tutto luccicante. Intanto pioveva sugli enormi teli bianchi di plastica che avevano come unico riparo. Allora non avrei mai immaginato di fare teatro o di raccontare storie, ma in fondo cosa ne sappiamo davvero di cosa diventano le immagini, le impressioni, le scene che vediamo da piccoli o da ragazzi?
Perché in un periodo particolarmente fecondo di arrivi di migranti via terra e mare, si porta sul palcoscenico un episodio di migrazione accaduto tre decadi precedenti?
Direi per tanti motivi diversi. Racconto i primi che mi vengono in mente. Tra gli albanesi arrivati nel 91 c’era Ilario, che oggi è il macchinista del Teatro Verdi di Brindisi. Lo scorso anno, mentre si avvicinava il trentennale dello sbarco, mi inviò un messaggio sul cellulare: era dispiaciuto che le commemorazioni ufficiali si stessero programmando solo a Bari e nulla a Brindisi. Fu la scintilla di un’iniziativa online (i teatri erano ancora chiusi) che proposi al sindaco di Brindisi e alla Fondazione Teatro Verdi, il cui direttore, Carmelo Grassi, accolse subito con entusiasmo. Così la storia si rimise in moto e riprendendo il copione venne fuori un’invasione di umanità, sbigottimento, speranza che in realtà ci parlava di noi in quel momento, di noi durante l’apice della pandemia. Non era solo la storia di un’”assembramento” surreale e impossibile per il tempo che stavamo vivendo, ma era una storia a specchio che dopo trent’anni ci raccontava di come siamo diventati noi ora. Cosa è successo a noi in questi trent’anni? Questo è il fuoco che mi anima ora raccontando questa storia. La disillusione, oggi più che mai, è la nostra.
Il testo ‘Non abbiate paura – Grand Hotel Albania 1991/2021’ è di Francesco Niccolini, autore pluripremiato per la sua letteratura civile. Come è nata la vostra collaborazione sulla tematica di migrazioni?
Direi probabilmente da un’altra migrazione: quella degli uccelli. Ho conosciuto Francesco oltre dieci anni fa per un primo racconto che parlava dell’avventura di due ragazzini persi tra le migrazioni degli uccelli della Riserva di Torre Guaceto, in provincia di Brindisi. Con molta soggezione gli proposi una collaborazione, il gancio e complice era stato l’amico comune Enzo Toma. Per convincerlo lo portai a fare una lunga passeggiata a Torre Guaceto e da quel posto non puoi non uscirne innamorato. Scrivemmo quel primo spettacolo e dopo tanti altri, che oggi non saprei nemmeno contare. A volte penso che stiamo scrivendo insieme un’unica lunghissima storia e in questa lunga storia a volte viaggiano gli uomini, a volte gli uccelli, a volte chissà. Forse è solo la storia di un fiume che scorre a prescindere dalle leggi dell’uomo. Un fiume che scorre sotto. Comunque.
Si ci può anche riallacciare a quando, nei secoli scorsi, erano proprio gli Italiani i migranti?
Non saprei. Più che a quella migrazione, a quei viaggi, mi viene in mente l’Europa di oggi. E soprattutto nella crisi di ora. È senza dubbio una storia europea quella che raccontiamo, pervasa fino al midollo di spirito europeo.
Italiani che improvvisamente si trovano ‘invischiati’ – pro e contro – nei considerevoli flussi in arrivo da allora fino ai giorni contemporanei. Sicuramente impreparati, ma anche non proprio caritatevoli, non crede? Anche in antitesi alla pratica della fede cristiana, cui l’Italia è sede centrale nel mondo.
Sì, mi trova d’accordo. Ne parlavo proprio ieri con dei ragazzi di scuola superiore e so che questo pensiero potrebbe essere impopolare ma: ho bisogno di svuotare questa storia dall’identità. L’aspetto cristiano, caritatevole, umanistico, seppur vitale, cerchi di comprendermi, è prezioso, ma comunque riduttivo. Ha pur sempre una “bandiera”. E ultimamente si bombarda in nome delle bandiere. In questo io e Niccolini siamo in perfetta sintonia. Scrive Francesco ne “La grande foresta”: “si rese conto che quella, la foresta, era la sua unica patria. E non aveva bisogno di nessun’altra stupida bandiera”. Qualcuno mi dirà che ci sono anche bandiere buone. È vero. Ma il fuoco di questo spettacolo, o almeno quello che vorrei raccontare, riguarda un istinto “umano”. Umano e basta. No brindisino, no italiano, no cattolico. Possiamo incontrarci lì?
Cosa trova di cambiato a proposito di flussi migratori di trenta anni fa e quelli attuali? Non solo le nazionalità, bensì la politica, l’accoglienza, la visione per il futuro.
Quello del ’91 verso la Puglia fu il primo grande esodo del Mediterraneo. Erano gli anni in cui qualcosa stava cambiando. Pochi anni dopo nasceva la Lega Nord e si sarebbe tenuto il primo rito dell’ampolla sul fiume Po. Stava scendendo in campo Berlusconi in quegli anni (fu uno dei pochi politici italiani a presentarsi a Brindisi in quei giorni: regalò il suo orologio ad un profugo e si fece fotografare per i giornali), stava cambiando qualcosa. Forse si stava perdendo un’ingenuità. Non della politica. Mi riferisco alla gente. Non posso dare una risposta geopolitica, ma so che la gente è cambiata. È mutata la percezione. “Il futuro te l’aspettavi diverso”, si dice nello spettacolo riferendosi agli albanesi di allora. E oggi? È ancora una domanda lecita? E’ quasi imbarazzante pronunciare la parola “futuro”…
Forse tra il suo pubblico ha ritrovato albanesi, ormai cittadini italiani, che arrivarono allora? Magari genitori e seconda generazione, spettatori della loro stessa storia.
A San Mauro Pascoli, poche settimane fa, mi ha avvicinato una signora accompagnata dalla figlia. Piangeva. Era tra quei 20 mila e la figlia l’aveva portata a sentire la sua storia. È stato un incontro che mi ha marcato. Le storie non appartengono a chi le racconta. Almeno non questa.
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Prossimi appuntamenti teatrali di Luigi D’Elia
Sabato 19 marzo a Varese
https://www.karakorumteatro.it/eventi/non-abbiate-paura/
Sabato 9 aprile lo spettacolo debutterà a Milano, al Teatro Oscar, nell’ambito di una personale dedicata a Luigi d’Elia e Francesco Niccolini
http://oscar-desidera.it/evento/non-abbiate-paura/
Sabato, 19 marzo 2022 – n° 12/2022
In copertina: Luigi D’Elia – Foto: Luca Del Pia (tutti i diritti riservati)