venerdì, Novembre 22, 2024

Economia, Italia

I miracoli di Mattei e La Pira

Come salvarono il Pignone di Firenze

di Ettore Vittorini

La guerra in Ucraina pone in Europa molti interrogativi su quanto accade all’economia, con una visione pessimistica per il futuro. L’allarme era già scoppiato ancor prima dell’invasione russa quando i prezzi dei combustibili erano saliti alle stelle per motivi ufficialmente inspiegabili.

L’Italia è tra i primi a risentirne: le industrie grandi e piccole fanno fatica ad andare avanti e molte preferiscono interrompere la produzione in attesa che il Governo si muova concretamente con gli aiuti promessi e allo stesso tempo promuova un’inchiesta su quegli aumenti che puzzano di speculazione.

Una crisi del genere ricorda il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale quando il Paese era distrutto, la Lira svalutata al massimo e l’economia annaspava. Eppure in pochi anni la crisi venne superata sino a raggiungere il boom economico, grazie anche alle battaglie sociali promosse dalle classi lavoratrici per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Alla rinascita del Paese contarono gli aiuti americani del “Piano Marshall” – niente di regalato – e soprattutto l’impegno di molti imprenditori privati e pubblici appoggiati da un mondo politico composto da personaggi all’altezza delle loro cariche.

Tra i tanti sono emblematici due protagonisti dell’Italia del dopoguerra – che dovrebbero essere imitati dagli imprenditori e i politici di oggi – come Enrico Mattei e Giorgio La Pira. Il primo nato nelle Marche era un piccolo imprenditore che dopo l’otto settembre del 1943 entrò in un gruppo cattolico della Resistenza mettendosi in luce come comandante e organizzatore.

Nel 1946 il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi gli dette l’incarico di smantellare l’Agip – l’Azienda Petroli Italiana creata del 1926 dal Fascismo – che in Val Padana possedeva delle strutture petrolifere abbandonate durante il conflitto. Ma lui non lo fece perché si scoprì che nel sottosuolo non c’era petrolio ma una immensa quantità di gas metano.

Riuscì a convincere il Governo che il metano sarebbe stato fondamentale per la ricostruzione industriale e ottenne la presidenza della società estrattrice – l’ENI, del gruppo IRI – divenuta in pochi anni un colosso che dette fastidio alle “Sette sorelle”, dominatrici nel mondo degli idrocarburi.

Il secondo personaggio, Giorgio La Pira – nato in Sicilia, docente presso l’Università di Firenze, deputato democristiano alla Costituente – fu eletto nel 1951 sindaco del capoluogo toscano dove promosse la rinascita della città. Mantenne sempre rapporti distaccati con la direzione democristiana: apparteneva al gruppo di Giuseppe Dossetti – sacerdote – anche lui deputato della Costituente, ex membro del CLN durante la Resistenza, che svolse un ruolo fondamentale come esponente del cattolicesimo sociale.

Giorgio La Pira, sindaco per tre volte, ha lavorato sempre per quei principi. Nel 1953  Firenze si trovava nella fase più acuta di una crisi economica e sociale: si contavano a migliaia i disoccupati, i senzatetto e le industrie chiudevano. Tra le maggiori erano sull’orlo della chiusura la Galileo, la Manetti & Roberts, la Fonderia delle Cure, la Richard Ginori e il Pignone.

Il sindaco, tra i primi interventi, requisì gli immobili inutilizzati per dare una casa alla popolazione, iniziativa che provocò le proteste degli speculatori accolte dagli ambienti più conservatori della DC. Per questo don Luigi Sturzo – un prete anti dossettiano – definì La Pira un “cattocomunista”.  Ma questi continuò per la sua strada e fece costruire in tempi record la città satellite dell’Isolotto considerato allora un modello di urbanistica popolare.

Quando il Pignone – una fonderia nata nel 1848 – stava per chiudere e licenziare i 1700 lavoratori, dopo alcuni vani tentativi per evitare il disastro, fece una telefonata all’amico Enrico Mattei, presidente dell’ENI. Ecco il testo pubblicato anni fa dai giornali: “Ti devo chiedere un favore. Qui a Firenze sta chiudendo il Pignone e per Firenze sarebbe una tragedia. Non potresti comprarlo tu?”.

La risposta di Mattei fu negativa: ”Mi spiace, ma noi dell’ENI ci occupiamo di petrolio, il Pignone è nel settore della meccanica. Sei un caro amico, ma credimi non possiamo”.

Allora la Pira insisté: ”Mattei, tu comprerai il Pignone, me l’ha detto lo Spirito Santo”.

Il capo dell’ENI ribadì: ”Tu sai che ho rispetto per lo Spirito Santo, ma davvero, non posso.”

Alla fine vinse lo Spirito Santo di La Pira e l’Eni comprò il Pignone riassumendo quasi tutti gli operai. E fece un affare: la produzione della fabbrica fiorentina – il Nuovo Pignone – fu riconvertita nella costruzione di tubature per oleodotti e gasdotti venduti in tutto il mondo, di piattaforme per perforazioni sottomarine, di pompe di rifornimento per combustibili e altro. Il numero dei lavoratori assunti superò presto i duemila.

Purtroppo Mattei non fu aiutato dallo Spirito Santo: morì l’ottobre del 1962 nel suo aereo precipitato a Bascapé, nei pressi di Piacenza. Non fu un incidente ma un attentato, i cui autori non furono mai scoperti. È certo che Mattei dava fastidio alle Sette sorelle e a tanti noti personaggi.

Nel 1993 il Nuovo Pignone – con la chiusura dell’IRI nel rispetto delle regole dell’Unione Europea – fu venduto all’americana General Electric provocando tante polemiche. Molti ritennero che si era trattato di una svendita perché l’industria fiorentina era diventata una temibile concorrente sul piano internazionale e quell’anno possedeva un portafoglio di ordinazioni pari a 5000 miliardi di Lire. Lo scopo della G.E. sarebbe stato quello di smantellare il suo maggior concorrente. Oggi il Pignone appartiene alla Baker-Hughes che ha da poco ricevuto un finanziamento dallo Stato italiano di 28,5 milioni di Euro.

Molte altre industrie toscane sono state acquistate da società straniere. Per esempio la “Breda Ferroviaria” di Pistoia è passata alla giapponese Hitachi. Funziona bene ed occupa 2500 lavoratori, ma non è piacevole vedere i nuovi treni che percorrono i binari delle nostre ferrovie portare sul “muso” il marchio straniero Hitachi. I governi italiani hanno agevolato fin troppo l’intervento di industrie estere che a parte alcuni esempi positivi, come quello dalla Casa giapponese, hanno sfruttato gli incentivi e poi chiuso molte attività come, sempre citando la Toscana, la GKN di Campi Bisenzio e la Beckaert di Figline Valdarno.
Nel nostro Paese sembra estinta la categoria dei grandi imprenditori come Mattei e di amministratori pubblici come La Pira. Basta seguire le vicende delle acciaierie di Taranto e di Piombino e la sorte dell’ “Alitalia”, oggi “ITA” che appena nata crea già dei problemi.

Sabato, 2 aprile 2022 – n° 14/2022

In copertina: Enrico Mattei e Giorgio La Pira all’inaugurazione del Nuovo Pignone – Immagine di pubblico dominio

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