venerdì, Novembre 22, 2024

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Tunisia: tra debito pubblico e scarsità di cibo

Il FMI chiede riforme economiche per un nuovo prestito

di Laura Sestini

La Tunisia ha ricevuto nei gironi scorsi un gruppo di deputati della Commissione per gli Affari esteri del Parlamento europeo – in visita nel Paese maghrebino per un incontro con il Presidente Saïed – atto a ricevere rassicurazioni sulle riforme socioeconomiche che si devono intraprendere per arginare la crisi economica che incombe, ed il rispetto dei diritti umani.

D’altronde il presidente tunisino aveva già ufficializzato a fine anno le tappe del percorso che intende fare per risanare il Paese, con la proroga di sospensione del Parlamento fino a dicembre 2022, mese in cui sono state fissate le elezioni politiche. A marzo Saïed aveva minacciato di sciogliere definitivamente il Parlamento, a causa di una sessione plenaria da parte dei deputati, riunitasi senza autorizzazione; mentre il 25 luglio – ad un anno esatto da ciò che era stato definito un colpo di Stato – si terrà un referendum popolare sulla revisione della Costituzione, ritenuta troppo vaga, e per una nuova legge elettorale.

A febbraio invece era stato sciolto il CSM, istituendone uno provvisorio con l’obiettivo di instaurare un sistema giudiziario più giusto e indipendente che garantisca i diritti, le libertà e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Al momento, al di là della politica riformista e la nomina della Prima ministra donna nella storia della Tunisia – Najla Bouden Ramadan – la questione più urgente da risolvere sembra la però scarsità dei generi alimentari di prima necessità sul mercato interno, a causa anche della guerra in Ucraina, da cui la Tunisia dipende per il grano del 50% del suo fabbisogno.

Infatti nelle ultime settimane, i mercati alimentari in Tunisia hanno diminuito in quantità i prodotti a base di farina, mentre i panifici hanno iniziato a razionare il pane o a maggiorare il prezzo della baguette da 190 millesimi di dinaro a 250 o addirittura a 500. Dai panifici si riporta che è perché c’è carenza di farina, fatto che però che il governo nega, sottolineando che internazionalmente sono in aumento i prezzi dei generi alimentari e la crisi ucraina sta rendendo il grano meno accessibile economicamente. In realtà la difficoltà della Tunisia per i rifornimenti alimentari di base sembra avere una diversa problematica, ancora più grave ed urgente, ovvero la recente incapacità di saldare rapidamente i carichi delle navi attraccate ai porti tunisini che consegnano grano ed orzo. Ma ancor prima che scoppiasse la guerra russo-ucraina, sugli scaffali dei negozi tunisini era completamente scomparso il riso e scarseggiavano la pasta, la semola e la farina, parte dovuto anche per un circolo vizioso di speculazione e avidità della gente che fa man bassa per paura dell’aumento dei prezzi, per il peggiorare della crisi economica innescata dalla pandemia.

In seguito, su pressione delle contestazioni, l’Ufficio statale dei cereali (Office des Céréales), incaricato della gestione del mercato del grano, che ha il monopolio sull’importazione di grano e orzo, ha riconosciuto che c’era stato un ritardo nell’effettuare i pagamenti a sei navi a fine anno, ma anche ha indugiato sul fatto che il problema alla fine era stato risolto e il carico delle navi scaricato.

I Funzionari dell’Office des Céréales hanno anche ammonito sulle false notizie a proposito dei problemi di pagamento, che possono essere sfruttati dai fornitori per aumentare i prezzi dei cereali da importare, preoccupati che la questione della sicurezza alimentare possa trasformarsi in un caso di “sicurezza nazionale”.

La questione del grano, in Tunisia, ha però un significato politico più ampio.
L’improvviso aumento dei prezzi del pane da parte del Governo alla fine del 1983, dopo la pressione diretta della Banca Mondiale e del FMI – Il Fondo Monetario Internazionale – per attuarlo, aveva portato a proteste di massa che l’esercito aveva represso con la forza, uccidendo decine di persone. Nel 2019, la Commissione verità e dignità della Tunisia – TDC – istituita per esaminare le passate violazioni dei diritti umani, ha inviato una documento al FMI e alla Banca Mondiale chiedendo la responsabilità dei loro ruoli in quelle rivolte popolari. La nota invita dette istituzioni a risarcire le vittime e cancellare il “debito illegittimo” della Tunisia.

Quel debito fa parte della crisi attuale. Il recente rapporto di bilancio del Ministero delle Finanze indica che da almeno un anno la Tunisia sta pagando più in rimborsi di debito estero di quanto non riceva in prestiti. Con i nuovi finanziamenti destinati al pagamento dei vecchi debiti, la Tunisia è intrappolata nel circolo vizioso dei propri oneri. Nel 2016, la Tunisia ha firmato un importante programma di prestiti con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) – poco più del 5% del Pil tunisino – andato a servizio del debito pregresso; ma negli a seguire, quella percentuale è aumentata, balzando a quasi il 12 percento. Inoltre, da quando il prestito del FMI è terminato nel 2020, gli istituti di credito sono stati sempre più riluttanti a prestare soldi alla Tunisia, fintantoché non firmerà un nuovo prestito del FMI, condizionato però da riforme strutturali che obbligano a tagliere la spesa pubblica e privatizzare ulteriormente le restanti imprese statali (SoE).

Di fatto, il bilancio 2021 dello Stato inizialmente prevedeva che la Tunisia ricevesse 13 miliardi di dinari in prestiti esterni per essere coperto, ma alla fine di novembre 2021 al Tesoro erano arrivati solo 6,7 miliardi. Secondo la ricercatrice Maha Ben Gadha – direttrice dei programmi economici presso l’ufficio Nord Africa della Fondazione Rosa Luxemburg a Tunisi – ciò significa che i prestiti attesi, è chiaro, non sono mai arrivati. «Non abbiamo ricevuto le tranches di credito già promesso. Questa è un strategia per soffocare il Paese» – ha dichiarato la donna. Secondo lei, i finanziatori tunisini inviano un messaggio preciso: «Se non attuerete le riforme strutturali richieste dal FMI non finanzieremo. Si verificherà quindi una situazione in cui non sarete in grado di importare grano, gas e medicine. Se avete davvero bisogno di questi soldi, e sappiamo che sono necessari, dovrete prima trovare un accordo con il FMI e poi arriveranno altre donazioni ed altri prestiti a rifinanziare il divario nella bilancia dei pagamenti.” Il messaggio pare più un ricatto che un aiuto, ma senza un accordo con il FMI la Tunisia viene esclusa dal mercato internazionale del credito in un modo che – secondo Ben Gadha – potrebbe portare ancora più problemi di pagamento per i beni di prima necessità come il cibo – indicando gli esempi delle navi ferme in porto in attesa di scaricare le merci. Di regola, gli importatori possono ottenere il prodotto alla richiesta e saldare a tre mesi. Adesso i venditori, per consegnare la merce, hanno imposto termini di pagamento anticipati. Questo sarà anche il motivo per cui, in futuro, potranno esserci maggiori carenze di generi alimentari da importazione.

«Quindi abbiamo questo problema di blocco del credito a breve termine dovuto al downgrade di Moody’s» – ha spiegato Ben Gadha, aggiungendo che questo fa parte del motivo per cui gli importatori tunisini stanno affrontando la stretta creditizia e perché i fornitori esigono il pagamento anticipato.

Ad ottobre, Moody’s ha declassato i titoli sovrani tunisini, cosicché per lo Stato è diventato più difficile raccogliere fondi. All’epoca Moody’s ha indicato l’erosione delle riserve tunisine di FX – valuta estera – dipendente dai prolungati ritardi nelle riforme economiche da attuare, secondo le condizioni stabilite dai suoi creditori. Non avendo altre possibilità a breve termine, per continuare a effettuare regolari rimborsi sui suoi debiti esistenti, la Tunisia deve scavare nelle proprie riserve di valuta estera, le quali sono, invece, di importanza vitale per pagare le merci importate.

Venditore ambulante di fichi d’India
Foto: Laura Sestini (tutti i diritti riservati)

La Tunisia non può più permettersi prestiti sul mercato internazionale, allora quali altre possibilità ci sono? In alcuni casi prestatori e donatori, bilaterali e multilaterali, sono espliciti nel condizionare i loro finanziamenti alla firma di un accordo con il FMI, ed attuare le riforme richieste.

Pure il pacchetto di assistenza di 600 milioni di Euro a sostegno della campagna sanitaria per il Covid-19 dell’UE nel 2020 era esplicitamente condizionato ad un soddisfacente track record, il percorso di attuazione degli impegni concordati tra il Paese e il Fondo monetario internazionale, che porta avanti una lunga storia di collaborazione anche con l’Europa, per dare forma all’economia tunisina. Il Memorandum d’intesa per il pacchetto ‘pandemia’ dell’UE aveva richiesto alla Tunisia in dettaglio altre specifiche riforme ed anche il FMI era stato esigente, chiedendo al Governo che per ricevere il denaro doveva continuare ad attuare la strategia per la riforma della funzione pubblica, e il tetto massimo salariale. Oppure emettere il decreto per eliminare ulteriormente i sussidi energetici, cosa il che Governo alla fine ha firmato a febbraio 2022 con il Ministero dell’Industria.

Il FMI insiste sul fatto che non impone condizioni ai suoi finanziatori, preferendo inquadrare i governi debitori come aventi la primaria responsabilità per la selezione, la progettazione e l’attuazione delle politiche e fare in modo che il programma sostenuto dai finanziamenti abbia successo.

Ai primi di gennaio, il gruppo anticorruzione IWatch ha pubblicato un documento “riservato” trapelato dal Governo tunisino: una presentazione di 50 pagine in lingua francese con il nome “Programma di riforma per l’uscita dalla crisi”. Giorni dopo, il Ministro delle finanze Sihem Boughdiri ha confermato che il documento è autentico, una proposta di riforme che soddisfi i requisiti posti dal FMI per garantire un nuovo programma di prestiti. Il documento non soddisfa però le aspettative dei cittadini, ritenendolo sbilanciato – ma nonostante ciò questi non si pronunciano, compresi i sindacati.

Il documento diventa più dettagliato quando tratta la situazione fiscale, la parte che FMI ha più volte sottolineato come la priorità della Tunisia. In effetti, il FMI sembra sicuro che “il governo tunisino prenderà misure per migliorare i conti fiscali anche attraverso politiche per ridurre ulteriormente i sussidi energetici in modo socialmente consapevole e per contenere il salario dei dipendenti pubblici”. Ciò comprende anche l’avvio di aumenti automatici per il prezzo della benzina, stimando in 1,6 miliardi di dinari in entrata alle finanze pubbliche. Al contrario, finora, nonostante FMI ritenga che i sussidi energetici avvantaggino solo le famiglie ricche, i cittadini tunisini li hanno ritenuti molto utili per i redditi più bassi. Finora è stato un introito per tutti, il FMI lo vorrebbe tagliare definitivamente. Forse – nostra opinione – si potrebbe concederli per tetto di reddito? Un altro meccanismo di compenso che potrebbe essere veramente utile sarebbe una maggiore copertura, o ampliamento del sistema sulle tessere sanitarie già esistenti.

Il documento del Governo non fornisce dettagli precisi sulla privatizzazione delle imprese statali, affermando solo che gli obiettivi comprendono la “ristrutturazione delle imprese pubbliche” e il “disimpegno dello Stato da attività non strategiche”.

«Lo scorso febbraio, dopo un consulto tra le autorità tunisine e l’FMI, il Governo ha “l’obiettivo… di spogliare” il settore pubblico dello Stato e andare verso la privatizzazione» – riporta ancora Ben Gadha. Le prime riforme verso la privatizzazione sotto il governo del primo ministro Mehdi Jomaa – nel 2014 e 2015 – avevano già obbligato la società elettrica nazionale STEG a cercare prestiti in valuta estera sul mercato internazionale, arrecando alcuni degli attuali problemi finanziari della società. Adesso, la Tunisia sta pianificando di soddisfare le richieste del FMI e di porre le SoE – aziende statali – sotto ad unica agenzia che gestirà i loro portafogli, come inizialmente promesso dalla Tunisia al FMI per ottenere il prestito nel 2016. Le aziende che si andranno a colpire includono STEG, STIR che raffina il petrolio, l’Ufficio dei cereali, la compagnia di bandiera Tunisair e l’Agenzia Nazionale del Tabacco.

Su queste riforme obbligate, quello che manca è il dibattito pubblico. Chiuso il Parlamento, anche UGTT – il sindacato dei lavoratori – e UTICA – la Camera di Commercio – rimangono in silenzio. Tuttavia il Governo ha confermato che li includerà nella discussione per il programma da presentare al FMI.

Nel frattempo anche la richiesta della Commissione verità e dignità della Tunisia non riceve risposta e sia il passato rappresentante del FMI a Tunisi, Jerome Vacher, che il nuovo, Marc Gerard, tacciono e non si lasciano coinvolgere dai media locali. E questo nonostante una relazione indipendente – del 2018 – di un esperto delle Nazioni Unite sul debito estero della Tunisia che afferma che il programma di prestiti del FMI 2016-2020 “contiene diverse misure che potrebbero avere un impatto negativo sul godimento dei diritti umani”.

Una richiesta più recente per la cancellazione del debito è arrivata durante la crisi del Covid-19 dall’istituto di ricerca tunisino Observatoire Tunisien de L’Economie insieme ad altri firmatari internazionali che hanno notato come la spesa per il rimborso del debito dei paesi del Sud del mondo vanno a scapito dell’assistenza sanitaria. Altri istituti di ricerca, come il Food Sovereignity e l’Osservatorio ambientale (OSAE) lamentano da tempo la dipendenza della Tunisia dalle importazioni di grano, sostenendo invece una politica alimentare di sovranità in modo che il Paese possa alimentarsi senza fare affidamento sui prestiti esteri.

Il presidente Saïed ha recentemente sollevato la questione di revisione del debito pubblico, una proposta che era morta nel 2013 a seguito degli omicidi politici di Shukrī Belʿīd e Mohamed Brahmi.

Per Ben Gadha, quella proposta potrebbe avere buone conseguenze in termini di trasparenza, mettendo in primo piano i creditori sulle loro responsabilità. Secondo l’economista, meglio ancora sarebbe fermare ‘l’emorragia’ di denaro per vedere quali sono le vere cause che hanno messo la Tunisia in questa situazione di dipendenza strutturale e lavorare direttamente alle riforme che affronteranno questi problemi. Il che significa che se ci sono trattati commerciali dannosi per la Tunisia dovranno essere rinegoziati; se ci sono flussi finanziari illeciti dovranno essere attivati controlli sui trasferimenti di fondi offshore all’estero delle imprese, controllando i flussi di denaro in corso. Potrebbero essere anche approfondite, e revisionate, le leggi che erano state adottate nel triennio 2014-2015 con Mehdi Jomaa, che hanno costituito la base giuridica affinché la STEG potesse indebitarsi direttamente dai mercati finanziari ed essere in questa situazione di deficit.

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Sabato, 16 aprile 2022 – n° 16/2022

In copertina: foto di Laura Sestini (tutti i diritti riservati)

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