Come un western quasi classico può valorizzare la parte femminile dell’umanità
di Giorgio Scroffernecher
Se dopo l’ennesimo massacro in una scuola americana a cura di un giovanissimo armato fino ai denti con armi d’assalto, e uno come Donald Trump dice che la soluzione del problema è armare gli insegnanti, e nessuno viene a prenderlo per ricoverarlo alla Neurodeliri, come avrebbe detto Jannacci, beh, vuol dire che molti in quel paese la pensano come lui. Sì, è l’America bellezza, con il suo immortale mito: quel John Wayne che viene avanti con passo strascicato, la mano sul calcio della sua Colt 45, sguardo torvo e fiero dei tanti musi rossi massacrati o ‘civilizzati’ nelle riserve.
Davvero questa è ancora l’America? Certamente una parte d’essa, quella che conserva i pensieri originari di pionieri pronti a tutto, polverosi, puzzolenti e machisti come in effetti è il Donald che dichiara «Il pezzo che preferisco di Pulp Fiction è quando Sam tira fuori la pistola a cena e intima alla fidanzata di stare zitta. Dire a quella zoccola di stare calma. Dire: ‘Puttana, datti una calmata’. Amo queste frasi» (The art of being the Donald, di Timothy L. O’Brien).
Ma qui si vuole osservare che se è vero che il Western come genere cinematografico ha sostenuto e glorificato a lungo le gesta truci, senza legge e morale di pionieri, colonizzatori e forze armate al loro seguito, è anche il genere che ne ha segnato, se non determinato, i vari profondi cambi culturali e di giudizio storico. L’arrivo di film come Soldato Blu, Il piccolo grande uomo, Balla coi lupi, per citare solo i più conosciuti, hanno ribaltato tutto l’assetto valoriale delle narrazioni, peraltro spesso con merito storico affidabile.
Il genere, dopo i volti di Wayne, Douglas, Cooper, Mitchum e un suo primo declino, ha mostrato i primissimi piani del western all’italiana con quel portato esistenziale che rimetteva in discussione le liste dei buoni, brutti e cattivi. E gran parte del pubblico, ancora una volta, ha cambiato giudizi e visioni.
Infine, negli ultimi anni, sono arrivati i neri del West, non so con quale credibilità storica, ma so bene con quale godibilità spettacolare ed emotiva: un film per tutti, Django Unchained scritto e diretto da Quentin Tarantino. Una meraviglia che tratta il tema razziale (e femminile) in modo indimenticabile.
Ma non è mica finita! Qui la sorpresa finale: si chiama Godless, e se va come è sempre andata, lancia la ‘questione femminile’ nel bel mezzo della piazza emotiva e culturale di tutto il mondo – trumpisti a parte – facendo immaginare quanto un mondo decisamente più femminile sarebbe certamente migliore di questo che stiamo vivendo, così moderno eppure ancora tanto polveroso e machista (è di questi giorni la condanna all’Italia della Corte Europea di Strasburgo, per la vergognosa vicenda di Silvia De Giorgi che non è riuscita a muovere foglia neppure con sette denunce penali per fermare l’uomo che l’ha tormentata per anni).
Godless (Senza dio) è una serie televisiva Netflix non dell’ultima ora, di grandissima qualità. Il regista e autore è Steven Andrew Soderbergh, prolifico e sperimentatore di nuove tendenze (Sesso, bugie e videotape; Erin Brockovich; Traffic; Forte come la verità; Out of Sight; Panama Papers, tra gli altri) che spesso cura anche la fotografia e il montaggio firmandole col nome del padre e la madre.
Godless tratta di un paese del vecchio West dove, per via di una miniera che ha sepolto tutti gli uomini che ci lavoravano per arricchire una grande compagnia dell’epoca, resta quasi completamente femminile, con tutto il bello, e anche il meno bello, di questo genere. Insomma, un western davvero originale che dimostra – come minimo – che un mondo più femminile sarebbe certamente migliore di questo. Infatti, anche gli eroi della storia, uomini, hanno un tratto che valorizza la loro parte femminile e che alla fine spicca luminosa.
Concludo annotando una scena del film citato: una orazione funebre verso il finale, detta da un prete atteso a lungo e finalmente presente, mentre la donna più dura dei duri, mostra le sue lacrime insieme alla sua determinazione che è stata decisiva per tutta la vicenda.
Infatti le donne sono così: forti e collegate con i loro sentimenti. E per questo meravigliose.
«E’ una cosa spaventosa, amare ciò che la morte può toccare.
E’ una cosa spaventosa amare, sperare, sognare, essere.
Essere e, perdere.
Una cosa da stolti questa.
E una cosa santa.
Una cosa santa, amare.
Perché la tua vita, ha vissuto in me.
La tua risata mi ha risollevato, un tempo.
La tua parola è stata un dono per me, e ricordarla provoca una gioia dolorosa.
E’ una cosa umana amare.
Una cosa santa.
Amare ciò che la morte ha toccato».
Sabato, 18 giugno 2022 – n° 25/2022
In copertina: fotoframe da Netflix