Il ricordo del 25 luglio del 1943
di Ettore Vittorini
La data del 25 luglio del 1943, memorabile per la caduta del Fascismo e per la storia dell’Italia repubblicana e democratica, è passata quasi inosservata. Tranne il quotidiano La Stampa, gli altri giornali l’hanno ignorata. Eppure quanto accadde in quel giorno di 79 anni fa e nel periodo immediatamente successivo, permettono di riflettere sull’ inizio del percorso politico e sociale che ci ha condotti all’Italia di oggi.
Il 25 luglio di quell’anno gli Italiani furono sorpresi dalla notizia del giornale radio delle 22 e 45 che annunciava:” Sua Maestà ha accettato le dimissioni del cavalier Benito Mussolini e ha nominato capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio”. In realtà il duce, recatosi a villa Savoia alle 17 per il rituale colloquio con Vittorio Emanuele III, era stato arrestato e portato via in un’ambulanza. Il giorno dopo fu trasferito in gran segreto all’isola di Ponza dove si trovavano ancora molti antifascisti soggetti al soggiorno obbligato. Una beffa della nemesi. È da ricordare inoltre che nella notte tra il 24 e il 25, il Gran consiglio del Fascismo aveva votato la sfiducia a Mussolini – senza effetti ufficiali – ignorando che a villa Savoia era già stato preparato il suo arresto.
La mattina del 26 gli italiani erano in festa: all’improvviso in tutte le città furono assaltate le Case del fascio, abbattuti monumenti al duce, bruciate le immagini, cancellate le scritte inneggianti alla dittatura. La gente non ne poteva più della guerra, dei bombardamenti a tappeto degli alleati, delle privazioni, della borsa nera. Per terra erano sparse migliaia di “cimici”, come erano chiamati i distintivi del fascio da attaccarsi obbligatoriamente all’occhiello della giacca.
La Sicilia era stata conquistata dagli alleati che pochi giorni dopo sarebbero sbarcati in Calabria per risalire lungo la Penisola. Ci si illudeva che la guerra sarebbe finita entro breve tempo, ma non era così. Infatti nel comunicato del Re non si era fatto caso alla frase finale che diceva: “La guerra continua e l’Italia mantiene fede alla parola data”. Nel frattempo a Lisbona erano già in corso quei contatti segreti tra l’ambasciata italiana e alcuni emissari degli Alleati, che 45 giorni dopo avrebbero portato all’armistizio.
Con l’arresto di Mussolini il Partito fascista si era completamente dissolto senza che ci fosse stata alcuna reazione da parte dei vari dirigenti e della milizia. “Il fascismo si è sciolto come neve al sole”, fu il commento di Hitler. Dov’erano finiti i 21 milioni di iscritti al partito, tutti quegli italiani che anni prima riempivano le piazze inneggiando al duce e all’impero, le donne che donavano con le fedi nunziali l’oro alla patria? Erano diventati tutti antifascisti. In quell’occasione Ennio Flaiano coniò l’aforisma “gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore”, parole attuali anche oggi.
Badoglio rimase stupito. Col consenso del Re, prevedendo una reazione fascista, aveva ordinato alle truppe di soffocare ogni manifestazione dei sostenitori di Mussolini. Ma i soldati e i carri armati non servirono perché i fascisti erano improvvisamente scomparsi, come i topi.
Quelle truppe avrebbero potuto bloccare le colonne tedesche mandate da Hitler – già sicuro della resa italiana, avvenuta l’otto settembre – che si riversavano nella Penisola attraverso il Brennero. Invece per un paradosso furono impiegate contro la popolazione che manifestava pacificamente per la caduta del regime; contro gli operai del Nord che chiedevano aumenti dei salari, delle razioni dei viveri e la cacciata dei tedeschi.
Il Capo di Stato Maggiore, generale Mario Roatta dette ordine alle truppe di sparare “a zero” sui manifestanti: ci furono più di 100 morti, oltre 500 feriti e 1500 arresti. «Agire con massima energia – era scritto in un comunicato del governo – perché l’agitazione non degeneri in movimento comunista o sovversivo».
Voglio ricordare l’episodio di Bari dove il 28 luglio un corteo che sfilava pacificamente per raggiungere il carcere e accogliere i detenuti antifascisti appena liberati, venne senza preavviso bersagliato dalle fucilate dei soldati che uccisero 19 persone e ne ferirono una trentina. Tra le vittime c’era anche il giovane Graziano Fiore, figlio di Tommaso, un politico e intellettuale antifascista – che da anni combatteva per il riscatto del Sud – arrestato due anni prima per decisione del tribunale speciale del fascismo e detenuto nel capoluogo pugliese. Fiore raccontò quella vicenda durante il Premio Viareggio del 1952 dove venne premiato il suo libro dal titolo “Un popolo di formiche”.
Con la repressione il Re si era affidato alla classe dirigente fascista che aveva cambiato casacca – Badoglio in testa – per reprimere i “comunisti e i sovversivi “. Lo stesso comportamento di 19 anni prima quando regalò il potere dello Stato liberale a Mussolini.
Le armate della repressione di luglio contro la gente disarmata non vennero però usate l’otto settembre contro i tedeschi che imperversavano in tutta l’Italia centro-settentrionale. Vittorio Emanuele e Badoglio fuggirono a Brindisi senza lasciare ordini ai comandanti delle truppe sparse nel Paese e in altre parti dell’Europa. Il resto è ben noto, come lo è l’inspiegabile risultato del referendum del 2 giugno del 1946 quando la Repubblica vinse sulla monarchia con uno scarto di appena 2 milioni di voti. Il 72 per cento della popolazione meridionale aveva dato la preferenza alla Casa reale, a Napoli l’80 per cento, con Benedetto Croce in testa.
Il cammino dell’Italia verso la democrazia partiva male: i prefetti, i questori, i generali del vecchio regime restarono al loro posto. Solo pochi furono epurati: Rodolfo Graziani, che era passato alla Repubblica di Salò, fu condannato a morte da un tribunale italiano, ma salvato dagli Alleati, subì una detenzione di pochi mesi; Mario Roatta prima del processo per crimini di guerra, venne fatto fuggire in Spagna. Quando le truppe fasciste occupavano la Jugoslavia e la Grecia aveva inviato ai suoi subalterni una circolare nella quale ordinava di essere molto duri contro le popolazioni e i partigiani. “Si ammazza troppo poco”, c’era scritto tra l’altro. Roatta rientrò dalla Spagna nel 1962 è non subì alcun processo.
Furono queste le basi dell’Italia democratica la cui Costituzione è stata spesso ignorata, dove il Codice penale fascista è rimasto in vigore sino agli Anni settanta e il Paese ha subito decine di attentati e stragi che miravano al ritorno dei tempi bui di un fascismo mascherato. Con le imminenti elezioni vedremo verso quale vincitore gli italiani correranno in aiuto.
Sabato, 30 luglio 2022 – n°31/2022
In copertina: italiani festeggiano la caduta del governo fascista – Immagine di dominio pubblico (25/7/1943)