Sulle stragi in Italia restano tanti misteri
di Ettore Vittorini
Come avviene tutti gli anni, martedì due agosto è stata commemorata la strage della stazione di Bologna del 1980. Una bomba collocata dai neofascisti dei NAR, uccise 85 persone: tra le vittime la più piccola, Angela Fresu aveva tre anni; il più anziano, Antonio Montanari, 86.
Qualche settimana prima a Palermo, si è svolta un’altra manifestazione per gli assassinii di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avvenuti nel 1992; e poi verranno ricordate altre stragi sino a quella lontana di piazza Fontana del 1969. La prima in assoluto della Repubblica italiana, quella di Portella della Ginestra del Primo maggio del 1947, è stata dimenticata. È passato troppo tempo e inoltre contrariamente agli eccidi successivi, gli autori furono subito identificati nel bandito Giuliano e la sua banda che imperversava in Sicilia.
I mandanti però non sono mai stati i colpiti dalla giustizia come è anche avvenuto nelle altre tragedie successive. Lo Stato tanto bravo nelle commemorazioni e nella retorica ripetitiva degli interventi dei suoi rappresentanti, non è mai stato capace di colpire i “manovratori”. Anzi proprio certe istituzioni della Repubblica hanno prodotto depistaggi, inquinato prove, coperto i complici. Le commemorazioni sono comunque importanti per rinnovare anno dopo anno la memoria su un lungo periodo terribile della nostra storia e per mettere in guardia le nuove generazioni su quanto potrebbe accadere nel prossimo futuro.
Ma le nuove generazioni sembrano mostrare scarso interesse: il 9 maggio – giornata della memoria per le vittime delle stragi – in seguito a un’inchiesta compiuta da un giornale, risultava che pochi giovani conoscessero l’esistenza di quegli avvenimenti. La maggior parte affermava di non averne mai sentito parlare; altri ne avevano cognizione, ma ne ignoravano i particolari. Per esempio su Bologna alcuni sostenevano che gli autori fossero stati membri delle “brigate rosse”; altri ancora attribuivano la colpa ai palestinesi. La verità veniva offuscata da una confusione totale, quella che aleggia anche tra moltissime persone di età più matura. I processi contro elementi della destra neofascista – risultata colpevole degli attentati – vedevano sempre dei condannati che poi venivano assolti alle sentenze successive e scomparivano rifugiandosi all’estero.
Certo anche le “brigate rosse” e le altre fazioni minori “di estrema sinistra” di misfatti ne hanno fatti tanti, dagli assassini di magistrati, di giornalisti, di operai – come Guido Rossa – di rapimenti tra cui quello di Aldo Moro. Rapirono anche il giovane Roberto Peci e lo assassinarono per “punire” il fratello Patrizio, un brigatista pentitosi. Fu un omicidio che ricordava molto i metodi mafiosi.
Non esistono attenuanti tra terroristi di destra o di sinistra, erano tutti crudeli burattini manovrati da oscuri burattinai. È certo che l’obiettivo principale delle potenti forze occulte – Stati Uniti, NATO, CIA? – è stato sempre quello di bloccare l’avanzata del Partito comunista. E questo avvenne già con la strage di Portella della Ginestra compiuta su ordine della DC siciliana e della mafia, per portare terrore tra i braccianti che avevano votato nel 1946 per il Pci, diventato il primo partito dell’isola.
Al processo per la strage di Portella svoltosi a Palermo, Gaspare Pisciotta – cugino e braccio destro di Giuliano – confessò che i mandanti erano stati il principe Alliata, il deputato DC Bernardo Mattarella, l’onorevole monarchico Marchesano e anche Mario Scelba, ministro democristiano degli Interni. “Servimmo con lealtà e con disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e quelli che sono a Roma con alte cariche – confessò Pisciotta. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa”.
Quei personaggi illustri furono tutti assolti, mentre Pisciotta venne condannato all’ergastolo e dopo la lettura della sentenza urlò che avrebbe esibito le prove delle sue accuse. La settimana successiva morì nel carcere dell’Ucciardone dopo aver bevuto un caffè avvelenato.
Già allora lo Stato veniva chiamato in causa, come è accaduto in seguito. Oggi si parla di “servizi segreti deviati” come se questa branca delle istituzioni fosse spaccata in due rami, quello “buono” e quello “cattivo”. Ma allora che Servizi erano se i buoni erano incapaci di smascherare i cattivi che lavoravano negli stessi uffici?
Sulla strage di Bologna la verità è venuta a galla dopo tanti processi nei quali venivano confermati esecutori soltanto Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Dall’inchiesta della Procura generale resa nota nel 2020, veniva fatto il nome di Paolo Bellini che avrebbe messo la bomba nella sala d’aspetto della stazione, in concorso con Licio Gelli – capo della loggia massonica P2 – Umberto Ortolani, Federico D’Amato e Mario Tedeschi.
Ortolani – chiamato anche il “signor Nessuno” – era un banchiere che finanziava la loggia. D’Amato, iscritto alla P2 e dirigente generale della Pubblica sicurezza era stato direttore dell’ufficio Affari Riservati del ministero degli Interni ai tempi delle stragi. Mario Tedeschi, direttore del settimanale neofascista “Il Borghese”, negli Anni sessanta consegnava ogni mese ad Avanguardia Nazionale 300 mila lire provenienti dai servizi segreti “deviati”.
All’ultimo processo per la strage dello scorso aprile oltre alla conferma delle pene per Fioravanti e la Mambro, Bellini è stato condannato all’ergastolo; l’ex capitano dei carabinieri Pier Giorgio Segatel a sei anni per depistaggio; Domenico Catracchia ex amministratore di alcuni condominii di Via Gradoli a Roma, a quattro anni per false dichiarazioni agli inquirenti. I quattro mandanti erano morti da tempo. È risultato che quei condominii appartenevano a delle società immobiliari che, secondo i giudici, erano collegate al SISDE, il Servizio informazioni e la sicurezza democratica, sciolto nel 2007.
Due appartamenti dei condominii erano affittati ai NAR, i neofascisti. Il caso ha voluto che in un altro appartamento di via Gradoli fosse stato tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse Aldo Moro. Sarà stato proprio un caso?
Sabato, 6 agosto 2022 – n° 32/2022
In copertina: una veduta della stazione di Bologna dopo l’attentato – Foto: Corpo dei Carabinieri – dominio pubblico