Le conseguenze sul mercato del lavoro e gli stranieri come forza-lavoro
di Annalisa Puccioni
Il continuo calo demografico e le politiche insufficienti per rivitalizzare l’economia del nostro Paese porteranno in un futuro non molto lontano a fare i conti la diminuzione di persone attive nel mercato del lavoro. Le stime demografiche non lasciano dubbi, l’Italia entro il 2050 avrà una popolazione più anziana, gli over 65 passeranno da 14 a 19 milioni e verranno persi 8 milioni di lavoratori fra i 20 e i 64 anni. Un costo non indifferente per le spese dello Stato e per i contribuenti.
La forbice tra nascite e morti, che oggi supera le 300mila unità con 700 mila decessi e 400 mila nascite, è destinata ad allargarsi. Sarà una lenta ma inevitabile discesa i cui gli effetti li vedremo probabilmente tra 20 anni. In alcuni settori abbiamo visto, già da qualche anno, l’inserimento della manodopera straniera, proveniente dall’est Europa e dai Paesi con forte emigrazione, dall’Africa.
Giovani con anni di studio alle spalle o determinati a trovare una collocazione nel tessuto sociale del nostro Paese, per farsi una famiglia o, se la famiglia già ce l’hanno già, per contribuire alle spese.
Anche se il tasso delle nascite dovesse avere una inversione di tendenza, con dei numeri cosi importanti si dovrebbe comunque privilegiare la combinazione con i flussi migratori. Stefano Scarpetta, direttore per il lavoro e gli affari sociali dell’Ocse, sottolinea come sia necessaria: “una politica attiva che individui le necessità del mercato del lavoro e regoli gli arrivi a seconda delle caratteristiche di cui abbiamo bisogno: la migrazione la subiamo anziché gestirla”.
Ci sono storie di lavoratori provenienti dal Senegal o da altri Paesi che si impegnano seriamente nel lavoro dei campi e alcuni piccoli imprenditori li regolarizzano; questo processo virtuoso dovrebbe essere incentivato per dare modo a tutti, piccoli e grandi imprenditori la possibilità di far lavorare e vivere dignitosamente queste persone.
A dare un contributo è stato uno degli ultimi atti del governo Draghi, portare a 70mila per il 2022 i flussi ammessi per decreto, ovvero i posti di lavoro riservati agli immigrati fermi da sei anni a 40 mila unità, compresi gli stagionali, ma ancora insufficienti, come sono ancora insufficienti gli uffici, il personale e le applicazioni fagocitate nella lenta burocrazia. Così facendo non si mette fine a quel mercato nero di cui sente parlare troppo spesso.
Il tasso di partecipazione al lavoro degli stranieri in regola, secondo l’ISTAT, è nel 2022 superiore a quello degli Italiani: 58,9 contro i 58,6. La necessità di trovare un lavoro li rende più disponibili ad accettare salari più bassi e lavori più pesanti.
Occorre un impegno da parte di tutte le forze politiche in gioco per agire subito. I flussi migratori hanno ripreso a raggiungere le nostre coste con i numeri dei morti saliti a 709, con un +9,8%, solo 35 nel 2021. I soli sbarchi sono passati da 34.154 nel 2020 a 67.477 nel 2021 e 37.950 al 27 luglio 2022.
Francesca Licari, ricercatrice dell’STAT afferma che oltre a sostenere la domanda di lavoro in settori appannaggio della manodopera straniera quali l’agricoltura e l’edilizia, il contributo degli stranieri al mercato del lavoro rende più sostenibile il sistema pensionistico e sanitario in un Paese che, ci piaccia o no, invecchia sempre di più.
Tra gli argomenti in discussione, le politiche per l’immigrazione rimangono sempre di difficile soluzione. In un momento di crisi dovuta prima alla pandemia ed oggi alla guerra in Ucraina trovare il modo di selezionare e formare coloro che sbarcano sul nostro territorio non sarà cosi semplice, ma prima si comincia saremo già a metà dell’opera.
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Nota della redazione: segnaliamo un interessante libro sull’argomento del sociologo e docente universitario Stefano Allievi: La spirale del sottosviluppo. Perché così l’Italia non ha futuro – Ed. Tempi nuovi
Sabato, 6 agosto 2022 – n° 32/2022
In copertina: foto di Sabine van Erp/Pixabay