mercoledì, Novembre 27, 2024

Lifestyle, Società

Dei vizi e delle virtù

Tempi che scorrono, “peccati” che cambiano

di Simona Podestà

Tra le varie letture di questa lunga e torrida estate, passata al chiuso delle persiane nelle ore più calde, mi sono imbattuta in un autore ucraino che non conoscevo, anche se il nome già mi diceva qualcosa: Giorgio Scerbanenco.

Sorprendente la sua biografia: nato a Kiev, nell’allora Russia imperiale nel 1911, da padre ucraino venuto in Italia per studi e madre Italiana, Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, il suo vero nome, arriva in Italia all’età di sei mesi, vivendo prima a Roma e poi a Milano. Rimasto orfano di entrambi i genitori – il padre ucciso durante la rivoluzione russa, la madre muore poco dopo – non può completare nemmeno le scuole elementari e pratica molti mestieri, riuscendo però a coltivare la sua grande passione per la scrittura che lo condurrà dritto al mondo dell’editoria. Collabora con importanti quotidiani, ma è soprattutto dalla lunga esperienza nella conduzione della “Posta del cuore” con vari settimanali in auge in quegli anni – usando vari pseudonimi – che matura il suo genere noir psicologico, crudo e amaro, frutto di tante lettere cariche delle angosce di vite vissute e dolorose. La sua attività letteraria è molto prolifica e numerosi libri sono ambientati nella Milano degli anni Sessanta, quella della borghesia del boom economico ma anche delle contraddizioni e delle spaccature sociali. Esce di scena al culmine del successo, nel 1969, per attacco cardiaco. Alla sua memoria è dedicato l’importante premio letterario di letteratura poliziesca e noir, il Premio Scerbanenco (fonte: Wikipedia).

Nel libro che ho incontrato, ”I sette vizi capitali e le sette virtù”, Scerbanenco costruisce dei racconti dove ogni vizio e ogni virtù vengono messi in luce attraverso i comportamenti e le pieghe psicologiche dei suoi personaggi. Bisogna scavare per scoprirli, e fare attenzione allo sfondo, all’ambiente, ai valori che impregnano la scena dove si muovono i personaggi, quasi sempre donne che portano uno stigma ormai datato: zitelle, vedove inconsolabili, ragazze squillo, ricche borghesi che si innamorano del primo avventuriero che le illude pur di non rimanere sole.

Mai banale, si rivela un antesignano femminista: le sue protagoniste si riscattano quando riescono ad avere la misura del proprio valore lontano dallo sguardo maschile che giudica, valuta, soppesa.

E dato che il vizio, si sa, è molto più seducente della virtù, mi sono chiesta quali siano i nuovi vizi, quelli che appartengono alla nostra contemporaneità. Umberto Galimberti, attento conoscitore dell’animo umano e della società, mi è venuto in aiuto: nel suo libro “I vizi capitali e i nuovi vizi” fa un’analisi lucida e consapevole del cambiamento radicale avvenuto nel concetto stesso di vizio. Se i vizi capitali – Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia – sono sempre stati considerati deviazioni o caratteristiche della personalità, le modalità comportamentali dell’uomo contemporaneo, i nuovi vizi, ne segnalano il dissolvimento e diventano lo specchio dei disagi di cui soffre la società in cui viviamo.

Conformismo, Consumismo, Sociopatia – indifferenza emotiva che può portare a gesti delittuosi, Diniego – negazione e distacco verso fatti estranei alla propria competenza, Spudoratezza -pubblicizzazione del proprio privato, Vuoto, non sono più vizi personali ma tendenze collettive che investono tutto e tutti a cui il singolo individuo difficilmente può opporre resistenza, pena l’esclusione sociale.

Recenti fattacci di cronaca, come i video di un omicidio e di uno stupro postati sui social purtroppo ci confermano l’indifferenza generale.
Ecco perché, mi viene da pensare, oggi i vizi si trasformano in breve tempo in dipendenze: la dipendenza si insinua sempre dove trova una crepa che dà accesso a un vuoto interiore di qualche tipo, che di certo non manca all’uomo tecnologico.

I temi interessanti toccati da Galimberti ci restituiscono un individuo sostanzialmente negativo e preda di suggestioni quali: l’illusione di essere liberi mentre siamo prigionieri di un mondo omologato che ci viene presentato come l’unico possibile; il culto dell’apparire e dell’eterna giovinezza; il principio dell’usa e getta che, oltre alle cose, si estende anche alle relazioni.

E allora mi accorgo della velocità con cui tutto cambia: il tatuaggio, che in passato era considerato un gesto anticonformista, oggi è il contrario e fenomeni come il movimento “novax” diventano espressione di anticonformismo e rifiuto di una società omologata.

Torno a Scerbanenco, sfoglio i racconti sulle virtù e mi rileggo quello sulla Speranza.

Sabato, 10 settembre 2022 – n°37/2022

In copertina: Hieronymus Bosch – La Visione di Tundalo, 1520-1530, tavola, Madrid, Museo Lazaro Galdiano.

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