Nella Firenze del Rinascimento erano meno malvagi
di Ettore Vittorini
Ricordate il film “Non ci resta che piangere”? Siamo nel 1984 e i due protagonisti Saverio (Roberto Benigni) e Mario (Massimo Troisi) vengono misteriosamente catapultati dal Ventesimo secolo nella Toscana del 1492, subito dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Tra le varie traversie che devono affrontare, alleggerite dalla grande comicità dei due attori, c’è anche quella di una Firenze sconvolta dalla guerra civile tra i seguaci del frate predicatore Girolamo Savonarola – chiamati i Piagnoni – e i sostenitori dei Medici, i Palleschi.
Mario incappa in un frate piagnone che gli dice: “Ricordati che devi morire” e lui risponde: ”Sì mò me lo segno”. Nella realtà quei religiosi giravano per la città non solo predicando il rigore morale, ma controllavano i costumi dei cittadini, che le donne fossero vestite ammodo, che nelle case e nelle vie non ci fossero feste o oggetti che offendessero la religione.
Così lo storico Giorgio Vasari – anche pittore e architetto – descrive quel periodo: “Avvenne che continuando fra’ Ieronimo (Gerolamo Savonarola – ndr.) le sue predicazioni e gridando ogni giorno che le pitture lascive e le musiche, i libri amorosi spesso inducono gli animi a cose malfatte, fu persuaso che non era bene tenere in casa, dove vi son fanciulle, figure dipinte di uomini e donne ignude…” Furono bruciati, quadri, libri, strumenti musicali, proibite le feste di Carnevale, spettacoli teatrali e altro.
“Piagnoni che in lor lingua si definisce ipocriti, è la setta o fazione che ebbe origine e dipendenza da fra Girolamo, e che seguiva l’opinione di quello, la quale è perseverata sino al presente – scriveva in una lettera Marco Foscari, ambasciatore di Venezia a Firenze – Così questa fazione è potente di numero e qualità di uomini”.
Erano i tempi della Repubblica fiorentina istauratasi nel 1494 sotto la guida del Savonarola, dopo la cacciata del successore di Lorenzo, Piero, e della famiglia dei Medici. I Piagnoni e il loro operato integralista e vessatorio, ricordano la polizia morale iraniana e il regime degli Ayatollah del secolo Ventunesimo.
Le differenze tra i due periodi storici sono enormi, ma rimane identica l’oppressione imposta da una religione che vuole dominare sulle leggi e i costumi della laicità. Inoltre Savonarola, frate domenicano, era diverso dai religiosi iraniani di oggi, perché le sue prediche erano rivolte soprattutto contro la Chiesa madre, quella di Roma retta da Papa Alessandro VI Borgia, dove dominava la corruzione nei costumi e nella vita civile. Era uno dei papi rinascimentali più controversi che aveva almeno sei figli illegittimi tra i quali Lucrezia, detta – forse a torto – l’avvelenatrice e Cesare Borgia, il Valentino, un condottiero e un politico spregiudicato, pronto a tutto per il potere.
Nel 1498 Il frate fu scomunicato per eresia, scisma e “per aver predicato cose nuove”. In aprile i Palleschi – chiamati anche gli Arrabbiati – assaltarono il convento di San Marco dove risiedeva il frate e lo catturarono dopo un feroce combattimento. Il 23 maggio Gerolamo fu impiccato e il suo corpo dato alle fiamme in piazza della Signoria. I Medici rientrarono a Firenze da vincitori. La Chiesa di oggi lo ha riabilitato e proclamato Servo di Dio. Il suo sacrificio viene ricordato da una lapide deposta sulla pavimentazione della piazza.
La fine di Savonarola dimostra che già da allora il corso della Storia – seppur piena di contraddizioni – non si poteva fermare. Il Rinascimento – Firenze ne era la culla – si espandeva in tutta Europa e Cristoforo Colombo aveva dato inizio alla conquista del Nuovo mondo; le arti avevano raggiunto il massimo della bellezza e della perfezione; la stampa inventata alcuni decenni prima, aveva diffuso le scienze e la cultura. Le banche fiorentine, con filiali in tutta Europa, avevano creato le basi della finanza moderna.
Eppure oggi una parte del mondo – quello musulmano – resta ancora ferma a un passato pre-rinascimentale con le sue regole oppressive e le fa rispettare con la violenza. All’epoca di Savonarola tra i tanti divieti, non esisteva l’obbligo alle donne di coprirsi il volto o il viso. Invece oggi in quei luoghi dove domina l’Islam, seppur tra i grattacieli, le autostrade e ogni genere di tecnologia, oltre alla assenza di una flebile democrazia, le donne sono costrette a protestare e a morire per chiedere libertà. La “caccia alle streghe” non è finita e al posto dei roghi di una volta sono subentrate le armi moderne della polizia e dell’esercito.
Sabato, 8 ottobre 2021
In copertina: quadro dell’epoca anonimo – Foto di dominio pubblico