Le riflessioni sulla sinistra italiana che scompare
di Elio Sgandurra
La sconfitta elettorale del PD e della minima alleanza del centro-sinistra è stata sbeffeggiata da alcuni rivali della destra con un “Belli ciao!”. Quelle due parole sono niente di fronte ad offese più pesanti ricevute in passato. Ne citiamo una: nel gennaio del 2008, quando il governo Prodi fu messo in minoranza al Senato per 5 voti – quelli di Rifondazione, guidata dall’ alleato Fausto Bertinotti che poco tempo fa ha dichiarato di essersi pentito – il senatore di Alleanza Nazionale Nino Strano, manifestò la sua gioia per le dimissioni del premier, ingozzando pezzi di mortadella. Il nome di quel salume l’opposizione lo aveva affibbiato a Romano Prodi. Seguì il governo Berlusconi che tre anni dopo portò il Paese sulla soglia della bancarotta.
Anche oggi il PD è sotto accusa, ma della sinistra, e le critiche da parte di coloro che lo hanno sostenuto sono moltissime. Più che altro si vuole sapere che cosa accade all’interno di questo partito incapace – a detta di molti – di darsi una valida identità politica.
Proprio per cercare una risposta, mercoledì scorso tre giornali importanti – Il Corriere della Sera, La Stampa e il Fatto Quotidiano – hanno intervistato rispettivamente Pier Luigi Bersani, Walter Veltroni e Massimo D’Alema, un tempo protagonisti della vita del partito, ma oggi fuori dall’agone politico, pur seguendone a distanza le vicende.
Tra le tante domande sulla sorte del Pd, è da citare una delle risposte di Bersani al Corriere: “Nell’ assemblea del febbraio del 2017 in cui noi di “Articolo uno” rompemmo col partito, in epoca di conclamata catastrofe del renzismo, invocammo un congresso vero, non per eleggere il capitano della nave, ma per mettere la nave su una rotta radicalmente nuova”.
Ma sino alla catastrofe elettorale del 25 settembre, la rotta non è mai cambiata e non si sa ancora chi manovrerà il timone e se lo farà ruotare verso la via più giusta. Il segretario dimissionario Enrico Letta ha deciso per il congresso da tenere in primavera – se la prende comoda – ed ha avuto l’approvazione della direzione riunitasi giovedì. Il risultato della discussione, durata per 10 ore, è stato reso pubblico con un breve comunicato che conferma i tempi e i temi del congresso: unità del partito, apertura verso il campo largo, un programma chiaro, il rilancio del rapporto con i sindaci. Infine Letta ha dichiarato testualmente: ”Quando cadrà il governo Meloni, si andrà a elezioni anticipate”. Come dire non faremo più alleanze transitorie. Come fa il leader del Pd ad essere certo della fine anticipata del governo nascente?
Da quella che avrebbe dovuto essere stata una battaglia all’interno della riunione, in pratica non è uscito niente di nuovo se non le solite parole vaghe. Invece un vero e costruttivo confronto sarebbe stato obbligatorio.
Ed è proprio sul confronto, ma con la società, che il Pd ha perso la sua attrazione. Su questo punto citiamo le parole di D’Alema sul Fatto Quotidiano: “Il problema è che le élite economiche e culturali – quelle che leggono i giornali – non hanno più rapporti con la società.“ E poi aggiunge a un’altra domanda dell’intervistatore: “Sa che mi hanno detto alcuni vecchi compagni comunisti? Votiamo Conte perché i giornali ne parlano male”.
Il confronto con la popolazione un tempo era l’arma più forte del Partito comunista – uno degli antenati del Pd – quando le federazioni mandavano in giro per i paesi e le periferie delle città, rappresentanti delle élite politiche e culturali a fare conferenze tra la gente più umile; quando le sezioni locali organizzavano le feste dell’Unità con la partecipazione entusiasta di tanti i cittadini, quando i Di Vittorio e altri dirigenti dedicavano gran parte della loro vita per farsi ascoltare nei comizi, per organizzare manifestazioni, tutti mezzi fondamentali per una vera partecipazione alla vita del Paese.
Oggi le sezioni sono ridotte ai minimi termini e le nuove generazioni non hanno più dei punti di confronto. La gente è ormai abituata ad ascoltare quel poco che gli arriva dal mondo politico attraverso la Televisione e i social: parole confuse e contraddittorie, slogan scontati e vaghe promesse. I risultati sono evidenti. Un esempio: alcuni giorni prima delle ultime elezioni, mi trovavo nella piazzetta di un paesino delle colline pisano-livornesi dove si svolgeva il mercatino settimanale. La gente commentava i risultati e le voci rimbalzavano da un banco all’altro. Un venditore proclamava di aver votato per la Meloni e ancor prima per la Lega e in passato per il PC. Un altro affermava che i suoi idoli erano Trump, Putin e “quello dell’Ungheria”. Un altro ancora si dichiarava “no vax” in nome della libertà. Una signora brasiliana emigrata in Italia affermava che Bolsonaro “aveva messo a posto il Brasile”. Tanti clienti approvavano.
In quei momenti mi sono ricordato che nel lontano 1960, durante il governo Tambroni alleato con i neofascisti del Msi, i paracadutisti della Folgore sfilarono per il centro di Livorno facendo il saluto romano. La città insorse subito e ci fu una battaglia con la polizia. La mattina dopo al mercato all’aperto di piazza Cavallotti, su tutti i banchi era esposta la bandiera rossa.
Avrei voluto raccontare alla gente della piazzetta quella storia, ma poi ho pensato che sarebbe stato inutile.
Sabato, 8 ottobre 2022 – n° 41/2022
In copertina: una manifestazione del Partito Comunista del passato – Foto: Partito comunista italiano