venerdì, Novembre 22, 2024

Lifestyle, Società

Viaggio tra valori estinti e mutazioni distopiche

L’arte dell’attesa (parte prima)

di Simona Podestà

Da quanto tempo esiste il cellulare?

Giro la domanda a Google: un tempo relativamente breve, in Italia ha cominciato a diffondersi negli anni ’90, quindi sono passati circa trent’anni ma la sua mancanza sembra appartenere a un’altra era geologica. Quella in cui per una famiglia tipo, di quattro, cinque o sei persone, quando si facevano più figli, esisteva solo il telefono fisso, attaccato a un cavo inamovibile e fornito di cornetta, di solito posizionato in cucina o in un luogo di passaggio.

Era già considerato un oggetto di culto da noi tre sorelle adolescenti in fermento: a casa al suo squillare si faceva la gara per rispondere, occupava il suo posto d’onore in una rientranza del corridoio dove ci si poteva rannicchiare sedute a terra cercando di ricavarsi un po’ di intimità nel dialogo col filarino di turno. Ma erano sempre momenti brevi: l’oggetto era sempre reclamato da una sorella che con sadica determinazione si piazzava lì vicino facendo il gesto di tagliare con due dita. Quante attese nel Giurassico pre-digitale: la risposta a una lettera spedita per posta, lo sviluppo delle fotografie o diapositive dopo un viaggio, le sale d’attesa dei medici, luoghi deputati ad ammazzare il tempo sfogliando riviste consumate.

Senza voler fare apologia del passato, considero l’attesa un valore perduto.

Strettamente legata alla pazienza, che interviene quando non ci sono risultati certi ma solo possibilità, l’attesa presuppone un tempo sospeso, di maturazione e metamorfosi.

Solo la natura ci riporta a questa condizione: l’attesa del contadino dopo la semina, la piccola talea che diventa rosa, la metamorfosi del bruco che diventa farfalla, il pane che lievita.

Mi viene in mente un proverbio siciliano che mi è sempre piaciuto: “ci voli lu tempo ca ci voli ” che sintetizza con antica saggezza che è il tempo a decidere e non il nostro volere.

La contemporaneità invece richiede risposte immediate, soluzioni in tempo reale: il mondo digitalizzato ha eliminato i tempi di attesa trasformandoci in “Sapiens multitasking”, che riescono a fare più cose nello stesso momento, sovrapponendo gli spazi e i tempi in un continuum fluido dove non c’è più un tempo esclusivo per il lavoro o per lo studio o lo svago: ogni momento è un flusso inarrestabile di informazioni, esperienze, apprendimento.

L’immediatezza ci ha disabituato a qualsiasi tipo di attesa: chi non si riconosce nell’agitazione che ci prende se non possiamo guardare subito chi ci ha mandato un messaggio o vediamo la spunta blu e non ci arriva la risposta immediata.

Disabitudine all’attesa significa anche eliminazione del processo trasformativo e di ricerca: posso digitare una qualsiasi domanda e avere risposta immediata o portare con me centinaia di libri su un dispositivo senza perdere del tempo per cercarli in libreria, comodità estreme che conducono però a una certa superficialità e deficit di attenzione.

Nel suo ultimo saggio “Velocità di fuga” Leonardo Caffo pone l’Attesa al primo posto tra le parole chiave per capire la contemporaneità: la sua tesi è che siamo diventati una specie che visualizza obiettivi e li ottiene all’istante scambiando il materiale con l’immateriale.

Ci ricorda che la grande filosofia e in generale la creatività nelle sue forme più alte, sia soprattutto una questione legata all’aspettare: aspettare l’idea giusta, aspettare di sapere qualcosa di più su un tema, aspettare che un progetto possa avviarsi, aspettare il tempo adatto per dire una cosa, aspettare che i concetti prendano forma o che una linea senza senso si trasformi in un disegno.

E ci pone la domanda: come abbiamo potuto imbarcarci tutti quanti sulla nave dell’accelerazione e del progresso come fosse l’unica scelta possibile e una fede globale, impossibile da far vacillare nonostante gli evidenti segni emergenziali di cui disponiamo?

Un tema non da poco che tenteremo di approfondire nella prossima puntata.

Sabato, 5 novembre 2022 – n° 45/2022

In copertina: dipinto di Edward Hopper Immagine di pubblico dominio

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