martedì, Dicembre 24, 2024

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Il Brasile festeggia Lula e piange per Pelé

Il presidente dovrà ricompattare un Paese diviso da Bolsonaro

di Marco Balzi

Il 1° gennaio 2023 il Presidente eletto Luiz Inàcio da Silva, detto Lula, ha preso possesso del Palazzo del Planalto, sede del Potere Esecutivo in Brasile, che insieme al Parlamento e al Supremo Tribunale Federale compone la grande piazza trapezoidale di Brasilia, progettata da Oscar Niemeyer e Lucio Costa, denominata Piazza dei Tre Poteri.

Ciò che attende il Presidente Lula è un compito enorme: unire un Paese diviso e impoverito, incattivito da quattro anni di governo Bolsonaro che ha tentato di costruire un blocco sociale conservatore corteggiando latifondisti, forze dell’ordine, militari e chiese evangeliche, potentissime in Brasile. Privilegi e impunità, concessi a man bassa, però, non hanno impedito un andamento disastroso dell’economia, della produzione industriale e del valore del Real nei mercati monetari.

Inoltre, una gestione folle dell’epidemia di Covid, considerato da Bolsonaro una semplice “influencinha” ha causato un numero enorme di decessi e mandato al collasso le già fragili strutture della sanità pubblica brasiliana. Infine, perso Trump, fondamentale alleato, l’isolamento dell’ex capitano dell’esercito è stato totale e la sua caduta inevitabile.

Già oggi Bolsonaro e i suoi figli si devono difendere da varie accuse di corruzione e di abusi di potere che pare sfoceranno nella formalizzazione di indagini giudiziarie, mentre il blocco della destra “bolsonarista” si sta disarticolando, paventando la futura ineleggibilità del loro campione. Nel frattempo giunge voce dal Brasile che forse Bolsonaro e i figli chiederebbero asilo in Italia, al Governo Meloni, perché la famiglia è di origini venete e la cosa sarebbe possibile.

Nonostante questo, l’esito della “presidencia Lula” appare incerto a causa delle profonde divisioni culturali ed economiche del Paese, mai veramente superate dopo la fine dell’ultima dittatura militare nel 1985.

Ancora oggi, dopo decenni dall’ultimo mandato presidenziale del periodo dittatoriale, incarnato del generale João Figueiredo, la delega in bianco ai militari pare un’opzione praticabile per molti brasiliani, mentre dall’altra parte milioni di diseredati, abitanti delle periferie urbane e delle zone rurali, ritengono che la giustizia sociale e l’accesso a tenori di vita accettabili si possano ottenere solo attraverso una sorta di populismo assistenziale.

La contraddizione tra questi due poli, oggi insanabile, rischia di far precipitare il Paese in una fase acuta di ingovernabilità dove chi gode di del benessere pretende che lo Stato glielo garantisca, reprimendo chi vuole accedere a condizioni di vita migliori e a una più equa redistribuzione della ricchezza. 

La scommessa di Lula, che tra i suoi successi innegabili può vantare misure che fecero uscire dalla povertà venti milioni di brasiliani, è proprio quella di permettere l’ascesa sociale dei più poveri senza pregiudicare il sistema produttivo. In sostanza, ampliare la classe media, produttiva, istruita e rispettosa delle regole democratiche, è l’unico modo per disinnescare una bomba sociale. L’alleanza con il PSB – Partito Socialista Brasiliano, del Vice Presidente Geraldo Alkmin – medico storicamente impegnato nell’assistenza sociale e molto amato dalla popolazione – dimostra che Lula intende percorrere la strada verso una socialdemocrazia evoluta che sopisca i conflitti sociali e, finalmente, metta la parola fine al saccheggio dell’Amazzonia.

La nomina immediata della deputata nordestina Marina Silva, amica di Chico Mendes e ambientalista da sempre, a Ministro dell’Ambiente, così come la foto della “Posse Presidencial” dove una donna di colore consegna a Lula la fascia di Presidente mentre alle sue spalle si scorge un capo delle popolazioni originarie del Brasile, lasciano ben sperare.

L’insediamento di Lula è quasi coinciso con il lutto del Brasile per la morte di Edson Arantes do Nascimento, universalmente noto come Pelé. “O futebol” ha perso forse il maggior interprete mondiale e il Brasile si è fermato partecipando in massa, compatto e composto, alle sue esequie. Solo un altro evento luttuoso ha avuto la stessa capacità di riunire tutto il Paese: la tragica morte nel 1994 del pilota Ayrton Senna.

Il corteo funebre per Ayrton Senna a Sao Paulo nel 1994
Foto: Sipa Press. Rex features

Per comprendere le ragioni di una partecipazione così unanime al dolore per la scomparsa dei due idoli sportivi, occorre tenere presente la percezione che i brasiliani hanno del resto del mondo.

Per generazioni il Brasile è rimasto chiuso per cause economiche: la svalutazione giornaliera elevatissima, anche del 60/70%, consentiva solo a chi maneggiava dollari il lusso dei viaggi all’estero e il mondo era, ed ancora è per la stragrande maggioranza dei cittadini, data la debolezza del Real, un luogo magico, pieno di opportunità che in Brasile non era dato neanche sognare.

Questo provincialismo obbligato è sfociato in una sorta di ammirazione rancorosa nei confronti del “primeiro mundo” che altro non è che un diffuso complesso di inferiorità. L’unico campo dove i brasiliani hanno “messo sotto” il resto del mondo è lo sport.

Una società multietnica, profondamente divisa al suo interno nonostante i tentativi di descriverla come una “democrazia razziale” dove indios, discendenti degli schiavi africani, portoghesi, tedeschi, giapponesi, italiani e tanti altri, misurandosi tra loro, avevano creato una società tollerante ed evoluta, si ritrovano accomunati dal patriottismo solo quando il Brasile affronta ludicamente il mondo e lo batte.

Nessun brasiliano ha mai vinto il Nobel, ma Ayrton Senna ha vinto tre campionati del mondo di Formula 1 e la Seleçao de Futebol ha vinto cinque campionati del mondo, tre con Pelé. Ayrton e Pelé saranno sempre amati perché hanno riscattato l’orgoglio del popolo brasiliano dimostrando che anche il Brasile è “primeiro mundo”.

Sabato, 7 gennaio 2023 – n° 1/2023

In copertina: la cerimonia di ufficializzazione del mandato da Presidente di Luiz Inàcio da Silva – Foto: Ricardo Stuckert

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