La società neoliberista sfrutta i più indifesi (seconda parte)
di Laura Sestini
Il territorio calabrese è connotato dalla carenza e dal malfunzionamento delle politiche sociali. I servizi a bassa soglia sono insufficienti e dal punto di vista della disoccupazione si registrano tassi molto alti, tra i più elevati del contesto nazionale. I segmenti del mercato del lavoro in cui maggiormente viene impiegata manodopera straniera si reggono sui meccanismi tipici dell’informalità e dello sfruttamento lavorativo. Ma a generare la scelta di stabilirsi in un contesto e non in un altro può, altresì, contribuire il grado di familiarità raggiunto dalla persona con il territorio e con i (dis)servizi che esso ha a disposizione, indipendentemente dal fatto che questo principio di familiarità possa poi, nei fatti, possa tradursi nella migliore delle condizioni possibili dal punto di vista materiale e sostanziale.
Nella Piana di Gioia Tauro le donne migranti sono una percentuale piuttosto bassa rispetto alla controparte maschile. Ad ottobre 2021, nella seconda tendopoli governativa allestita a poche centinaia di metri di distanza dopo l’incendio in cui Becky Moses aveva perso la vita – e con lei altre due donne ed un uomo erano rimasti gravemente ustionati – non ne risultava alcuna su circa 250 presenze maschili, tutti di origine africana.
Le attività lavorative sono differenti tra i generi, così come le retribuzioni. Gli uomini praticano lavori fisicamente più pesanti, quasi esclusivamente come braccianti agricoli, le donne hanno occupazioni complementari, anche sopperendo ai desideri sessuali degli immigrati uomini soli o sposati, le cui mogli rimangono nei Paesi di origine insieme alla prole e ricevono introiti economici dalle rimesse dei consorti i quali, appartenenti a società patriarcali, hanno il ruolo di breadwinner – ovvero colui che in famiglia guadagna “il pane”. Importante da sottolineare è il fatto che le donne che viaggiano da sole siano tra i soggetti più fragili della popolazione migrante.
Se la necessità di auto-procurarsi un’entrata economica di base è importante per tutti i soggetti migranti anche con regolare permesso di soggiorno, una volta entrati in condizione di “clandestinità” il lavoro prevale su tutte le altre esigenze. Le possibilità di trovare occupazione in Calabria sono esigue, in particolar modo per le donne.
Le migranti che lavorano come braccianti agricole, anche coloro che sono regolarizzate, vengono sfruttate dai ‘padroni’ per disparità salariale rispetto agli uomini. Nelle buste paga si inserisce un conteggio inferiore di ore lavorate, quindi arrivando anche a soli 25-28 Euro per una intera giornata. Anche gli uomini vengono sfruttati, ma arrivano a circa 40 Euro di paga giornaliera.
La situazione peggiora per chi non ha permessi di soggiorno validi, come nel caso di Becky Moses. Gli invisibili non hanno possibilità di trovare un lavoro regolamentato: lo vietano le restrittive e distorte (e disastrose) leggi italiane sull’immigrazione.
Il Decreto Flussi, che per il 2023 è già stato pubblicato in G.U. ed entrerà in vigore a fine marzo, prevede circa 80 mila stranieri da assumere come stagionali in alcuni settori critici italiani, agricoltura, turismo, edilizia, trasporti e altro.
La beffa? Gli stranieri che non hanno permesso di soggiorno valido o non lo hanno totalmente – in Italia ci sono circa 500 mila stranieri irregolari – non possono essere assunti, seppur già in territorio nazionale. Oltre agli extracomunitari iscritti alle liste di collocamento, se i numeri sono sufficienti si vanno a richiedere lavoratori ai Paesi extracomunitari con cui l’Italia ha accordi precisi. Fatti arrivare dai Paesi di origine istantaneamente. Chi è “invisibile”, quindi, lo rimarrà a vita, o finché non verrà espulso.
E’ chiaro che, per chi non lo ha mai avuto un permesso di soggiorno – come i migranti di origine tunisina che da accordi politici bilaterali italo-tunisini – rinnovati recentemente dal ministro Piantedosi in visita in Tunisia in cambio di milioni di Euro di cui nel Paese maghrebino c’è tanto bisogno – quando giungono in Italia via mare ricevono istantaneamente un foglio di via valido sette giorni che intima di lasciare il territorio nazionale; oppure, a chi il permesso è scaduto o viene rifiutato, la situazione diventa insostenibile, ricattabile, come nel caso delle donne a cui vengono fatte avances sessuali, o comunque molestate in cambio di lavoro.
Di molestie parla Simonetta Bonadies, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Calabria. «Quando non sono aggressioni, sono comunque avances e minacce. Se pensiamo alla violenza come a una rete, quindi a un sistema fatto di violazioni di diritti e di soprusi, tutte le donne con cui ho parlato hanno subìto la minaccia di perdere il posto se non si prestavano sessualmente».
Sul lavoro che facesse Becky Moses, nel breve tempo trascorso alla baraccopoli di San Ferdinando non ci sono molte informazioni: voci riportano che lavorasse in agricoltura a giornata, avesse qualche lavoretto domestico e talvolta si prostituisse. Purtroppo è legittimo pensare che per sopravvivere praticasse tutte queste attività.
La salute fisica e mentale di Becky Moses, finché è rimasta a Riace, era buona. Domenico Lucano nel suo libro la ricorda come una persona sempre sorridente, molto attiva per i diritti dei migranti; appena poteva, offriva dolcetti e gelati ai bambini. Il 3 gennaio 2018 era scaduto il suo permesso di soggiorno per poter usufruire del Cas – Centro di accoglienza straordinaria. Ventiquattro giorni dopo la donna perì nel grande incendio che interessò la baraccopoli di San Ferdinando-Rosarno.
Per legge anche i migranti senza permesso di soggiorno hanno diritto alle cure mediche.
Al Sud Italia spesso questa normativa non viene applicata, per carenza strutturale del sistema sanitario, per discriminazione e razzismo dei singoli operatori.
Agli ospiti della baraccopoli di San Ferdinando, il servizio sanitario viene fornito dai medici di Emergency. A giorni alterni un presidio sanitario è aperto per le esigenze di salute dei migranti ed offre gratuitamente servizi di medicina di base, assistenza psicologica ed educazione sanitaria. Emergency e’ a Gioia Tauro dal 2011.
Alla data di agosto 2020 l’associazione riferisce di aver effettuato 39.380 prestazioni, di cui molte ai braccianti agricoli che soffrono di dolori muscolo-scheletrici, dermatiti e patologie gastrointestinali, problemi di salute dovuti alle difficili condizioni di vita e di lavoro.
Dalle righe del libro di Domenico Lucano: “Fa freddo nella Piana di Gioia Tauro a gennaio. Si sta in tanti, in vere e proprie baracche, tutti stretti in vecchie coperte e pochi fuochi a offrire calore. Forse gli amici di Becky avevano acceso un falò vicino alla sua tenda, forse non erano riusciti a tenerlo sotto controllo: i teli di plastica e gli scheletri di legno con cui sono costruite le baracche si incendiano facilmente.Becky è morta in un rogo dalle origini poco chiare il 27 gennaio 2018 poco prima delle 2, ed altre sue amiche, che erano con lei nella tenda, sono rimaste gravemente ferite e ricoverate all’Ospedale di Polistena, e una poi al Centro grandi ustioni dell’Ospedale di Catania.Tra i resti del rogo, che è dilagato fino a radere al suolo anche altre tende vicine, è stata ritrovata la sua carta di identità. Con la sua foto, gli occhi grandi, gli zigomi alti, i capelli mossi e lunghi a incoronarle il viso. E la mia firma. Le avevo consegnato quel documento solo un mese prima, guardandola sorridere per una identità riconquistata.”
La morte di Becky Moses, come di alcuni altri braccianti agricoli prima e dopo di lei nella baraccopoli, svela tutto il degrado in cui sono costretti a vivere molti extracomunitari, in specialmodo nel Mezzogiorno. Altri hanno condizioni di alloggio anche peggiori che nelle tendopoli ufficiali, che forniscono almeno l’acqua potabile e un po’ di elettricità. Nel catanese e nel siracusano tanti di loro vivono in baracche isolate in mezzo ai campi dove lavorano. Con l’alluvione di fine ottobre 2021 nelle campagne catanesi, la morte per annegamento è stato un grave rischio a cui i migranti sono andati incontro.
La causa di morte di Becky Moses è avvenuta ufficialmente per l’incendio che aveva avviluppato la sua tenda, non dovuta alla sua negligenza, ma per cause altre che non erano di sua responsabilità. In realtà, se si allarga lo sguardo, la giovane Becky è perita a causa delle disastrose politiche migratorie che applica l’Italia dal 2011, in particolar modo dal 2017, dal decreto Minniti-Orlando fino al decreto Sicurezza di Salvini ministro dell’Interno; all’indifferenza locale e statale, al razzismo e disumanità latente, stratificati anche nella società civile. E’ morta stritolata da un sistema per niente inclusivo, il razzismo istituzionale.
La sepoltura di Becky Moses, la cui salma è rimasta dimenticata quattro mesi all’obitorio, poiché nessun Ente pubblico voleva farsi carico dei funerali, è stato un ennesimo oltraggio alla sua memoria.
Riace, infine, nonostante le difficoltà economiche delle casse comunali, le ha dato degno commiato il 25 maggio 2018, tumulata nel piccolo cimitero in mezzo alla campagna che guarda il mare.
Prima parte: https://www.theblackcoffee.eu/neocolonialismi-e-schiavitu/
Sabato, 4 febbraio 2023 – n° 5/2023
In copertina: la tomba di Becky Moses – Foto: Laura Sestini (tutti i diritti riservati)