domenica, Novembre 24, 2024

Società

Rotocalchi: il testo spiega, l’immagine dimostra

Un italiano su cinque non ha fiducia nella carta stampata

di Alessia Fondelli

Sappiamo quando é nata la stampa e chi era Gutenberg, sappiamo dell’invenzione dei quotidiani e probabilmente qualcuno saprà anche quando e come sono nati i settimanali. Ma come siamo arrivati ad un totale disinteresse della lettura di quest’ultimi ? Colpa della TV o del pubblico? Colpa dei giornalisti? O colpa delle notizie trasmesse? Cerchiamo di capire, partendo dall’origine di tutto.

Com’è noto, “rotocalco” è originariamente una tecnica di stampa, inventata nel 1914, che è particolarmente adatta alla resa delle fotografie, soprattutto se si stampa su una carta di qualità. Negli stessi anni è messo a punto un metodo di trasmissione a distanza delle fotografie da parte del francese Edouard Bélin: la telefoto.

La fotografia, rapidamente soppianta altre forme di raffigurazione: il disegno e anche il collage.

Queste novità si affermano ovunque, ma con modalità e gradi di innovazione assai diversi nel tempo e nelle varie culture nazionali; in Germania ricordiamo il “Berliner Illustrierte Zeitung” e la “Münchner Illustrierte Presse”, a cui si ispira il settimanale illustrato militante francese “Vu” (Visto), dalla grafica innovativa, fondato e diretto dal fotografo e editore Lucien Vogel, nel1928, che attraverso una serie di immagini documentava il fatto accaduto.

Nasce così un nuovo mestiere, il fotoreporter, e si comincia a parlare di fotogiornalismo. La guerra di Spagna fu il primo esempio di conflitto illustrato sia a scopi informativi che propagandistici. Sarà Robert Capa a scattare le indimenticabili icone della guerra civile, fino al passaggio in Francia degli ultimi resti delle armate repubblicane sconfitte.

Nel 1936 nasce negli Stati Uniti, il settimanale illustrato “Life”, fondato e diretto da Henry Luce, che insieme a Briton Hadden fondarono il magazine “Time” (1923), un giornale nazionale di opinioni, aperto anche alla politica internazionale, in un paese in cui si leggevano soprattutto i quotidiani locali.

Robert Capa scattò per “Life” le famose foto mosse dello sbarco in Normandia, del 6 giugno 1944, e sempre per il giornale stava lavorando in Indocina, dove morì nel 1954.

La concorrenza della televisione cominciò a farsi sentire negli anni Sessanta. Le imprese spaziali americane e la guerra del Vietnam – nella quale il settimanale progressivamente assunse posizioni coraggiose di critica – riempirono il giornale nel suo ultimo decennio, insieme alle vicende delle star di Hollywood, alla grande politica, particolarmente negli anni di Kennedy, e alla questione razziale, soprattutto attraverso le foto del fotografo nero.

Il declino della carta stampata non fu sancito da un abbandono del pubblico, che continuava a gradire le foto anche se passava molto tempo davanti al televisore; quanto, più prosaicamente, dal fatto che la televisione faceva incetta di pubblicità. “Life” sarà pubblicato settimanalmente fino al 1972, mentre “Look”, aveva sospeso le pubblicazioni un anno prima.

E in Italia? A causa del regime dittatoriale e nazionalistico un rotocalco moderno vede la luce solo nel 1937. Si chiama “Omnibus”, è diretto da Leo Longanesi, fotografato da Cesare Barzacchi ed edito da Rizzoli. Sarà soppresso due anni dopo, perché al ministro della Cultura popolare non era piaciuto un articolo di Alberto Savinio su Leopardi. Rizzoli sarà allora autorizzato a lanciare, senza Longanesi, “Oggi”, che ne sarà un pallido riflesso, pur ampliando lo spazio dei reportage fotografici, mentre Mondadori pubblicherà “Tempo”, con Alberto Lattuada e la grafica di Bruno Munari.

I concorrenti “La Tribuna illustrata” e “La domenica del Corriere” detengono saldamente il centro della trattazione giornalistica per immagini, utilizzando per la copertina illustrazioni disegnate accompagnate da un testo molto più semplice e comprensibile.

Anche nel caso italiano, la televisione fece strage dei giornali illustrati mentre riuscirono a sopravvivere più a lungo i news magazine. Fu questa la sorte dell’Europeo che cessò le pubblicazioni nel 1993. “Tempo”, un settimanale, finisce già nel 1976. “Epoca”, edito da Mondadori, decade progressivamente e viene chiuso nel 1997. Rimangono i grandi reportage di Federico Patellani, su “Tempo” ed “Epoca” di Mario De Biasi, Walter Bonatti, Sergio Del Grande, Fulvio Roiter, Giorgio Lotti.

Oggi le categorizzazioni di riviste sono varie: cucina, sport, gossip, politica, scienza, ci sono le riviste per bambini e per adulti, ma quella più venduta in assoluto tratta di gossip. Come mai?

Perché conosciamo le vicende del gossip dei nostri politici e non sappiamo di cosa succede nel mondo? Perché non conosciamo la storia mentre sappiamo dove è andato in vacanza Ronaldo e con chi?

Forse è perché il pubblico di riferimento, solitamente femminile, ha l’innata curiosità e il bisogno di nutrirsi dei segreti di personaggi famosi, di indiscrezioni, di storie d’amore per cui parteggiare e, perché no, di piccole e grandi malignità. Secondo uno studio le motivazioni sono varie dall’inconscio tentativo di rendere le persone famose più vicine a noi, simili alla gente comune, alla spontanea ricerca di momenti rilassanti e evasivi. Qualunque sia la ragione, una cosa però è certa. In un mondo dominato dalla crisi, le riviste di cronaca rosa continuano a viaggiare a vele spiegate.

O forse perché il 90% della popolazione, o forse più, non va a cercarsi le notizie ma si fa bombardare dai mass media.

A volte non c’è tempo, non c’è voglia e soprattutto la società non ci ha educati abbastanza alla sana curiosità e alla ricerca della verità. Troppa curiosità oppure troppo poca.

La vera motivazione sta nel mercato dell’informazione e nell’interesse all’informazione.

Il mercato dell’informazione tende a pubblicare le notizie più importanti per il pubblico, dove lo stesso è più coinvolto emotivamente, perché appunto l’interesse è di mercato. Sull’interesse all’informazione rientrano in campo gli spin doctor, che tendono a manipolare l’informazione secondo le esigenze del loro committente e cercando di controllare il flusso dell’informazione a vari livelli.

Rimane invece un gran numero di pubblico che non si fida dei giornali e preferisce riporre la propria fiducia in rete.

Il giudizio negativo nei confronti del mondo del giornalismo viene peraltro da cittadini civicamente attivi che considerano la democrazia come un valore importante e che, paradossalmente, leggono spesso i quotidiani.

In particolare, uno studio recente evidenzia come la stampa, in momenti di crisi, dia visibilità anche al punto di vista delle élite democratiche messe sotto accusa. Viene così garantito uno spazio per ribattere alle critiche e la diffusione delle contro-argomentazioni permette, in determinate circostanze, di contrastare il generale distacco da parte dei cittadini, fino a ripristinare, in modo sorprendente, un più alto grado di sostegno alla democrazia.

In rete, al contrario, tende a prevalere il risentimento verso le istituzioni colpite dagli scandali. Si finisce in altri termini per dare spazio a opinioni e notizie “negative” che spesso producono una sorta di “effetto eco” che va ad alimentare i sentimenti antipolitici e la generale disaffezione – anche in chi all’inizio non lo era.

Rimane il fatto che il giornalismo, che sia su carta stampa o che sia in rete, ricopre un ruolo fondamentale nelle democrazie e in generale, nella vita di tutti i giorni.

Sabato, 11 marzo 2023 – n°10/2023

In copertina: Marilyn Monroe sulla copertina del Time, “Donna dell’anno” nel 1954

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