domenica, Novembre 24, 2024

Letteratura, Teatro & Spettacolo

Elena Arvigo: dare voce alle donne

“I Monologhi dell’Atomica” – L’impegno civile del teatro indipendente

di Laura Sestini

Il 26 aprile del 1986 fu il tragico giorno dell’incidente nucleare di Chernobyl. Con l’occasione, la Compagnia di Elena Arvigo è tornata in scena al Teatro Argot di Roma con “I Monologhi dell’Atomica” – tratti da “Preghiera per Chernobyl” di Svjatlana Aleksievič – premio Nobel per la letteratura 2015 – e da “Racconti dell’Atomica” di Kyoko Hayashi, per ricordarne il XXVII anniversario.

Artista e drammaturga indipendente, Elena Arvigo, dal 2009, dopo un percorso di attrice teatrale nei circuiti istituzionali, si crea spazi di libertà poetica e di impegno civile, libertà che si è concessa – come dalle sue stesse parole – iniziando anche un percorso artistico autonomo e totalmente autoprodotto.

Entro le sue ricerche ed i suoi testi troviamo voci di donne famose, ma soprattutto c’è la necessità di far parlare i sentimenti ed i pensieri di persone meno conosciute, le storie femminili chi è rimasto sempre fuori dalla narrazione storica.

Lei stessa ci racconta la sua esperienza teatrale di attrice e drammaturga.

Perché la necessità di scrivere e portare in scena due tragedie nucleari, come Hiroshima e Chernobyl? Tra l’altro in tempi non sospetti, poiché la prima rappresentazione de “I Monologhi dell’Atomica” esce nel 2016.

Elena Arvigo: – La premessa per iniziare questa intervista e rispondere a questa domanda è che questo spettacolo, come gli altri del progetto “Le Imperdonabili”, sono stati tutti autoprodotti, ovvero sono degli spazi di libertà che io mi sono concessa. Questo significa che non ho chiesto permesso a nessuno di studiare e di portare in scena queste storie. In effetti tutto nasce ben prima del 2016, e con uno spettacolo che apparentemente non c’entra molto: sto parlando di 4:48 Psicosis e della sua autrice Sarah Kane. Studiando nel 2009 i materiali della Kane ho trovato un’intervista in cui lei diceva questo: “per me la funzione del teatro è quella di rappresentare delle cose anche in maniera cruda in modo poi da non doverle vivere direttamente nella nostra vita; io penso che la gente può cambiare, penso che come specie possiamo avere un futuro, ed è per questo che scrivo quello che scrivo”. Queste parole hanno cambiato radicalmente il mio modo di stare in scena, se prima ero un’attrice, grazie a questo spettacolo sono diventata una teatrante, nell’accezione più verticale e scomoda di questa parola. Ho continuato a lavorare come interprete anche per le grandi produzioni, ma sotto traccia continuavo a sognare e a sentire la necessità di raccontare altre storie. Così arrivò “Maternity Blues From Medea” di Grazia Verasani, la storia di quattro infanticide, che mi ha portato fino all’OPG di Castiglione delle Stiviere dove abbiamo potuto passare un po’ di tempo e parlare con alcune delle recluse. Anche questa esperienza fu un tassello importante per un altro passaggio: quello da attrice/teatrante a testimone. Testimoniare in una sorta di staffetta, dare voce a chi non ce l’ha. Andare contro gli stereotipi, mostrare che le cose non sono come sembrano. E’ facile pensare che ci siano dei mostri da tenere lontani, più difficile è accettare che sono essere umani, proprio come te. Che poteva succedere anche a te. E’ dopo questo spettacolo e dopo questa esperienza molto intensa che nacque il progetto “Le Imperdonabili”. Avevo pensato che sarebbe stato interessante partire dal mito e dalla Regina di Sparta, Elena, che sarà eternamente e ingiustamente marchiata come la causa della guerra di Troia, per legarla attraverso un filo rosso ad altri personaggi femminili, reali ed irreali, della storia, della letteratura e del giornalismo. Il filo a cui mi legai era il racconto della guerra, vista attraverso gli occhi delle donne.

Il primo spettacolo su Elena di Troia rimase uno studio, il secondo fu più fortunato perché mi imbattei nel testo di Massini “Donna non rieducabile”. Questo spettacolo mi ha portato in giro tanto e fino al teatro Doc di Mosca, e ad incontrare molte persone che mi aprirono a loro volta altre porte. Penso alla giornalista Lucia Sgueglia, al documentario Grozny Blues e a Massimo Bonfatti – dell’associazione Mondo in Cammino – che venuto a vedere lo spettacolo mi regalò moltissimi libri sull’argomento e mi accompagno a Kiev. Rimasi folgorata da Preghiera per Chernobyl, senza mezzi termini lo trovai un capolavoro. Decisi a Milano, al teatro Aut-Off, dopo le rappresentazioni di “Donna non rieducabile” di rendere il palco una sorta di zona franca, libera, in cui attori e amici potevano leggere brani di altri “testimoni scomodi”. Così nacquero le prime letture su “Preghiera per Chernobyl”. Quando poi nel gennaio 2016 alla rassegna “Una stanza tutta per lei” mi chiesero di partecipare alla rassegna di drammaturgia al femminile pensai fosse una buona occasione per formalizzare le letture in spettacolo. Decisi di aggiungere anche la testimonianza di Kyoko Hayashi perché non volevo che lo spettacolo potesse sembrare fazioso rispetto alle moderne contese politiche. Che cosa accomuna il racconto di Nagasaki a quello di Chernobyl? Due cose. La prima, come disse Günther Anders, che si occupò ampiamente e approfonditamente di entrambe le tragedie, “l’uomo della civiltà tecnologica, come un novello prometeo, è subalterno alle macchine da lui stesso create”. La seconda è che i governi mentono, sempre, tutti.

Da queste circostanze nasce questo progetto “I Monologhi dell’Atomica”. Da questa connessione tra le varie esperienze e fatti della vita.

Elena Arvigo
Foto: Compagnia Elena Arvigo

Oggi il suo lavoro di ricerca filosofica e teatrale si può ricollegare al timore di una futura tragedia, a causa della guerra in Ucraina, dove in definitiva si scontrano per procura le due maggiori potenze nucleari al mondo?

E.A.: – La riflessione vuole essere sui meccanismi della guerra, di tutte le guerre, nel tempo e nello spazio. Il fatto che oggi ci sia una guerra più vicina a noi non modifica la riflessione sull’universalità dei meccanismi del potere. Tanto più che le potenze nucleari e a capitalismo avanzato sono settant’anni che si scontrano per procura per determinare la propria egemonia in un circolo vizioso fatto di competizione capitalistica a scapito delle popolazioni di metà del Pianeta.

La storia è un flusso di gravi avvenimenti di cui i popoli subiscono sempre le peggiori conseguenze, come possiamo trovare una formula per invertire questa tendenza?

E.A.: – Di fronte a meccanismi di morte così macroscopici e interconnessi fra loro non credo possa esistere una “formula”. Tuttavia credo che ognuno a modo suo e con gli strumenti che ha a disposizione, nel mio caso il teatro, il raccontare, sia possibile provare a innescare – prima di tutto in se stessi – una maggiore presa di coscienza rispetto alle dinamiche che causano guerre e oppressione.

Lei chiama in causa la voce delle donne, soggetti femminili dalla personalità forte, indomabile, come la giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa dai servizi segreti, oppure Marguerite Duras ed i suoi racconti sulla guerra. “Le Imperdonabili” è il titolo del suo progetto, donne che decidono di essere scomode, audaci e controcorrente, di non tacere l’evidenza.

E.A.: – Come citato prima, mi interessava la Testimonianza. Non intesa solo come racconto degli eventi ma come relazione fra essa, la coscienza e il coraggio. E poi una cosa precisa che accomuna molte di queste testimonianze: la capacità di ascolto, le donne non fanno la guerra la ascoltano, la vedono. La guerra delle donne è resistere nell’attesa. Marguerite Duras è immensa nel restituirci quel periodo così oscuro che intercorre tra la liberazione e il ritorno dei soldati e degli internati. Senza Anna Politkovskaja non si saprebbe quasi nulla di quanto è accaduto in Cecenia negli anni ’90, ad un certo punto lei non era più solo una giornalista. Era diventata anche una questione personale, morale. Perché questo è quello che succede ad un certo punto: è il livello di compromissione che siamo disponibili ad accettare che ci rende testimoni. E questo vale sempre, per tutti.

Alle donne dedica le sue riflessioni, lo studio delle loro storie, sentimenti e azioni da trasferire nei testi drammaturgici e in scena. Cosa ha trovato di diverso, di maggiormente peculiare o eclatante, rispetto alle narrazioni comuni, anche in confronto a quelle più prettamente maschili?

E.A.: – Ci sono molti autori uomini che amo visceralmente e ho avuto la fortuna di interpretare i loro personaggi, archetipi, come Ophelia, Giocasta, Andromaca, ecc. Personaggi che sono disegnati in modo articolato e verticale. Tuttavia quando ho dovuto scegliere come regista, spontaneamente la mia preferenza è caduta su penne che sentivo più vicine alla mia sensibilità e spesso si tratta di donne. Non solo, credo che sia anche importante dare voce a storie meno conosciute, penso per esempio alla storia delle impressioniste. In qualche modo mi sento anche un po’ la responsabilità di mettere in scena chi per millenni è vissuto nell’ombra.

Le donne coraggiose di far sentire la loro voce non sono mai state numerose, seppur significative a tutte le epoche, proprio a causa di aver subito e continuare a subire società patriarcali e maschiliste che sopprimono le loro idee ed anche, troppo spesso, le loro stesse vite.

E.A.: – La storia delle donne nel corso dei secoli è sempre stata una storia da leggere fra le righe. Come dice il luogo comune “la storia la scrivono i vincitori” e dunque non appartiene mai alle “categorie” oppresse. Ma è proprio fra le righe che si può immaginare e riscrivere una contro storia, un’altra narrazione, che può – magari – far scorgere altri futuri possibili.

Come convincere anche tutte le altre donne ad uscire allo scoperto, costruire una visione differente per l’esistenza umana futura sulla Terra? Il fallimento della società guidata dalla controparte maschile è evidente, non più condivisibile, violenta, avida e corrotta, indirizzata all’estinzione della vita sul Pianeta.

E.A.: – Credo che più di “convincere” si tratti di aiutarsi a prendere coscienza. Anche delle propria forza e del proprio potere. Il discorso è molto complesso, complessa è la questione di genere e ancor più complesso è il discorso sulla natura del potere. Sicuramente sentire le storie degli altri, ascoltare le storie di chi ha avuto il coraggio di raccontarle aiuta a prendere forza e far passare un po’ la paura. Che poi è tutto lì..

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I Monologhi dell’Atomica

da “Preghiera per Cernobyl” di Svetlana Aleksievich

e “Racconti dell’atomica” di Kyoko Hayashi

Uno spettacolo di e con Elena Arvigo

Aiuto regia: Virginia Franchi

assistente alla regia: Francesco Biagetti

Luci : Luca Giacomini

con la presenza in scena della traduzione in consecutivo in lingua russa dell’attrice Monica Santoro

Produzione: Compagnia Elena Arvigo

Sabato, 29 aprile 2023 – n°17/2023

In copertina: Elena Arvigo durante lo spettacolo “Monologhi dell’Atomica” – Foto: Compagnia Elena Arvigo

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