Un’intervista con Amedeo Letizia
di Laura Sestini
Oggi, Amedeo Letizia è un produttore cinematografico, una professione che ha iniziato da molto giovane come attore, e la cui lunga serie Rai “I ragazzi del muretto”, durante gli Anni ’90, lo ha reso noto al grande pubblico. Se non si può scegliere dove nascere, ecco che Amedeo Letizia nasce a Casal di Principe, in provincia di Caserta, in quel feudo della malavita organizzata, dove hanno risuonato nomi di temutissimi e spietati boss della camorra come Antonio Iovine e Francesco Schiavone detto Sandokan, divenuto in quegli stessi anni il capofila del clan dei Casalesi, tra sanguinose faide che sterminarono le generazioni precedenti di mafiosi.
Nel 1989, a Casal di Principe, il fratello di Amedeo, Paolo Letizia, in un giorno che poteva sembrare uguale a tutti gli altri sparisce nel nulla. Aveva 21 anni, cresciuto in una famiglia perbene che niente aveva a fare con le malavite locali. Di Paolo non si è saputo più niente, finché alcuni collaboratori di giustizia del clan dei Casalesi non ne hanno rivelato dei dettagli. Una svolta alla vicenda, dopo oltre 20 di silenzio e grande sofferenza della famiglia, è arrivata con il volume che Amedeo Letizia ha scritto per ripercorre la storia del fratello e per non perderne la memoria. Il libro “Nato a Casal di Principe – Una storia in sospeso” ha dato spinta alla Procura per riaprire il caso rimasto nell’oblio per tutto quel tempo e giungere a quello che è venuto alla luce dagli interrogatori dei collaboratori di giustizia affiliati a Sandokan, come Francesco Bidognetti, braccio destro di Schiavone. Attualmente i malavitosi sono in prigioni di massima sicurezza a scontare le loro condanne, ma alla narrazione mancano ancora alcuni tasselli.
Nel 2017, ispirato dal libro, è stato realizzato il film, potente nel messaggio e nei sentimenti che scaturisce, semplice nella sceneggiatura, senza fronzoli, diretto, realistico, non solo nella verità che racconta, ma anche nei dettagli, e principalmente in dialetto. Un film che trasferisce senza mezzi termini nella ricostruzione del contesto, quello vissuto anche da Letizia, poco più grande del fratello Paolo. Un bel lavoro del regista Bruno Oliviero, prodotto dallo stesso Amedeo Letizia con Mariella Li Sacchi e Rai Cinema, che al 74° Festival Internazionale del Cinema di Venezia susciterà molta emozione e audience, e guadagna il Nastro d’Argento per la Legalità nel 2018.
Il film “Nato a Casal di Principe – Una storia vera”, prende ispirazione dall’omonimo libro da lei scritto nel 2012 insieme a Paola Zanuttini, dedicato a suo fratello Paolo scomparso per mano della camorra casalese nel 1989, vicenda che ancora riporta lati oscuri e non definitivi. Alla pubblicazione, il libro ha dato una spinta alla riapertura del caso da parte della Procura, da cui sono stati scoperti altri dettagli attraverso alcuni collaboratori di giustizia. Che effetto si immaginava potessero generare libro e film?
Amedeo Letizia: – Il film lo abbiamo presentato nel 2017 a Venezia ed abbiamo avuto delle critiche eccezionali, quasi un tripudio. Il fatto di aver raccontato la storia vera di una persona dello spettacolo, molti mi conoscevano, ha dato una forza maggiore al film. Anni prima era stato pubblicato il libro che aveva fatto riaprire il caso dell’omicidio di Paolo e portato alla condanna alcuni personaggi legati alla sua uccisione. Quindi c’è stata una chiusura del cerchio, in questa mia ricerca della verità, molto positiva e importante.
Il libro non immaginavo che arrivasse a tanto ed neanche il film, addirittura a Venezia. La scomparsa di Paolo ha mi indotto a una lunga riflessione, lunghi anni a pensare, tanti sensi di colpa, come sempre succede in questi casi. Eravamo molto legati con mio fratello, ci parlavamo molto, avevamo solo un anno e mezzo di differenza per età. Eravamo amici, oltre che fratelli. Di Casal di Principe conoscevo l’ambiente, conoscevo tutto, e non essere riuscito a salvarlo è stata sempre una ferita aperta che non voleva rimarginarsi. Non potendo fare niente di quello che si vede nel film, l’unica cosa era fissare la sua vicenda da qualche parte. Nonostante gli anni di silenzio, in famiglia avevamo la speranza che non fosse morto, se ne parlava tra le righe, anche per non ferire ulteriormente i nostri genitori. Una storia che rimaneva sospesa, senza ricordi. Il libro, un po’ ha funto da sfogo, ma voleva posare una pietra miliare sulla vicenda di Paolo, per farla conoscere, oltre che per ricordarlo. All’uscita del libro, il PM Antonello Ardituro, allora al DDA di Napoli – che ha arrestato tanti esponenti dei Casalesi – riaprì il caso e siamo arrivati a capire cosa era successo e alle condanne dei colpevoli che hanno confessato cosa avevano compiuto. Io ho partecipato a tutti i processi per guardarli in faccia. Naturalmente erano persone che conoscevo, del paese. E’ andata a finire così, abbiamo poi fatto il film e siamo arrivati pure al Festival di Venezia. Da allora posso dire di dormire sonni più tranquilli.
Lei è nato a Casal di Principe e ci ha vissuto fino alla scomparsa di Paolo. Ci può raccontare come vivevano allora i giovani nel paese della camorra per eccellenza, come si percepiva l’organizzazione malavitosa, se era amalgamata alla vita quotidiana, oppure era una coesistenza parallela, tra malavitosi e cittadini onesti che potevano anche non incrociarsi mai?
A.L. : – Noi adolescenti avevamo il mito di queste persone. Per noi non esisteva che il Paese, un microcosmo di persone che rappresentava l’ombelico del mondo. I nostri idoli erano loro, più che i cantanti. Ma non sapevamo effettivamente cosa ci fosse dietro. Vedevamo tutti questi personaggi che da poveracci diventavano ricchi, rispettati, con auto importanti, che facevano tutto quello che volevano. Anche noi ragazzi miravamo a quello. Per un periodo non ci sono stati omicidi a Casal di Principe, poi invece hanno iniziato a scannarsi in una maniera terribile. Allora c’era Francesco Schiavone, Sandokan, come boss dei Casalesi. Era uno forte, rispettato, che adesso è in regime di 41bis, e a noi ragazzi ci rispettava perché eravamo casalesi. Tutto ciò per noi adolescenti era un fascino irresistibile, perché non c’era cultura nel capire cosa c’era oltre quella cortina. Noi non immaginavamo tutti gli omicidi, ed anche i genitori, gli onesti, che conoscevano le famiglie, le radici di queste persone, le evitavano. Era però inevitabile non incontrali, il paese era piccolo, magari erano andati a scuola insieme ad Antonio Iovine. Sandokan e i suoi fratelli abitavano a pochi metri da casa di mia nonna, quindi ci conoscevamo tutti da bambini. Mio padre era un concessionario di una nota marca di gelato, e quindi aveva sempre contanti a casa. Soggetti del clan si approcciavano a lui con tentativi di cambio di assegni, per capire, per scherzare. Mio padre li cacciava in malo modo, sempre, non ha mai voluto avere a che fare con loro, ed era rispettato. Mio fratello purtroppo era si era fatto prendere da questi idoli. Io stesso ci stavo per cascare.
La sua famiglia si può affermare che fosse agiata, quindi lei e i suoi fratelli avevate abbastanza di cui godere della vostra gioventù senza problemi. Quanto il mondo della criminalità organizzata può attrarre i giovani, immaginiamo meno istruiti e meno abbienti, ma non obbligatoriamente? Forse ci si avvicina a quel mondo perché non si hanno alternative?
A.L. : – Antonio Iovine, che adesso è un pentito, era molto più agiato di noi, un proprietario terriero, quindi non aveva nessun bisogno di far tutto ciò che ha fatto. Una frase mi ha colpito molto di lui, quando ha detto che lo aveva fatto “per avventura”. Il problema era che a Casal di Principe non sapevi cosa fare, allora non c’era niente, ed ancora adesso non è che ci sia una gran vita. La malavita era qualcosa per uscire fuori dalla routine. Per altri invece era davvero un modo per guadagnare, per mangiare; fare il camorrista per non morire di fame.
Rispetto a quegli anni, le organizzazioni malavitose locali sono cambiate? Non solo in senso di clan o di boss, cui molti stanno scontando lunghe pene; si percepisce la stessa atmosfera di allora, qualcosa è migliorato oppure si alternano le generazioni, ma lo stile di società rimane uniforme?
A.L. : – Casal di Principe è un paese con delle caratteristiche agricole, quindi difficilmente cambierà. Lì ritroviamo una forma mentis molto particolare, nel senso che se il paese è ovunque quel microcosmo che serve anche come difesa, e non sai cosa c’è al di fuori, a Casal di Principe, non solo troviamo questo sentimento, ma c’è anche la presunzione di sentirsi migliori degli altri, di essere i più forti. Un po’ la legge del Far West, cercando di imporre la propria forza sugli altri. Anticamente, quando i Casalesi andavano a vendere il bestiame erano sempre quelli che si volevano imporre in questo modo. Con la camorra hanno trovato uno sfogo pazzesco, una attività che si è calzata perfettamente al modo di essere. Adesso che i camorristi non ci sono più, che lo Stato ha deciso di azzerare questi personaggi, che a Casal di Principe c’è il Commissariato di Polizia e il comando dei Carabinieri che tengono il territorio sotto controllo, nonostante tutto, il modo di atteggiarsi tende a rimanere sempre nel sentimento casalese. Le persone tendono a distaccarsi dalle logiche della camorra in senso di violenza, ma si sentono Casalesi, una caratteristica precisa. Per certi versi, a me questa cosa mi è stata utile, se non fossi stato un po’ così, forse non avrei avuto il coraggio di trasferirmi a Roma, di decidere di fare il produttore cinematografico e di arrivare a fare dei film impossibili, che nessuno voleva girare. Mi riferisco a “Il resto di niente” un film in costume . Seppur non venendo da una famiglia di cinematografari, c’è sempre qualcosa che mi ha fatto lanciare nelle missioni impossibili, e molte volte ci sono riuscito.
Oggi il mondo è globalizzato, trasformato. Secondo lei è ancora attraente quel tipo di ambiente per i giovani? Anche oggi si teme il potere dei clan e dei loro codici sociali, ma ci si sente forti, qualcuno, tanto da volerne far parte?
A.L. : – Su questo aspetto ci sono da valutare due lati: uno è l’ignoranza. Chi non ha cultura, chi non sa che facendo quella strada si muore, che si vive male, non sa neanche che andando al teatro o al cinema si vive molto meglio. Chi pensa che quella sia la strada migliore per affermarsi, da ragazzino segue quelle orme, perché è attraente. Dal lato opposto tutto questo vale anche per persone che hanno cultura, e sono le più spietate, perché vogliono fare soldi usando delle scorciatoie, pensando di usare le persone più ignoranti. Alla fine però sono loro stessi che vengono usati, perché è quasi impossibile fregare la ‘ndrangheta, la camorra, la criminalità organizzata. Da momento in cui entrano a casa tua, anche per chiederti una sciocchezza, magari una sigaretta, entrano e difficilmente escono. Per i giovani può essere affascinante, ma per gli altri, gli opportunisti, gli arrivisti che pensano di sfruttare quelli considerati inferiori a loro, non è così. Per certi aspetti è un mondo affascinante, per altri è molto pericoloso, ma tanti accettano comunque il rischio.
Una volta entrati nel giro è difficile uscirne, è verità oppure solo un luogo comune?
A.L. : – Quando entri nell’ambiente dei Casalesi, dei camorristi, fin quando fai un furtarello, o cose considerate minori, ne puoi uscire tranquillamente. Ma quando vuoi entrare, cominci a chiedere, ad avvicinare certe persone, cominci a sapere delle cose, allora sì è complicato. La manovalanza è la prima cosa, ma ciò che ti viene chiesto per capire se sei uno di loro è compiere un omicidio. Da ragazzo ti mettono una pistola in mano, e dal momento che ammazzi qualcuno sei fregato. Se non fai quello, ma comunque sei un soggetto marginale, sposti cose, sei a disposizione, se ne può uscire. Superata una certa linea, non si torna indietro.
Da uomo adulto, che ha vissuto un evento così tragico negli affetti più cari in giovane età, che messaggio vorrebbe lasciare a tutti i giovani che vivono dove le organizzazioni malavitose sono insediate?
A.L. : – Il mio messaggio è non farsi affascinare dai facili guadagni. Una persona deve sapere che i valori di rispetto e di amore verso gli altri sono la base della vita dell’essere umano. Dal momento in cui si entra in qualsiasi organizzazione, che sia la camorra, la politica, o altro ambiente dove non ci sono più questi principi, bisogna starne alla larga. La stella da seguire è il rispetto degli altri e l’amore. Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso. I soldi facili indicano qualcosa che non funziona, che nasconde qualcosa sotto. Mi auguro che la visione del film o la lettura di questa intervista, possano servire a qualcuno, a fargli prendere coscienza. Gli idoli terreni sono sempre una fregatura.
Sabato, 20 maggio 2023 – n°20/2023
In copertina: immagine dalla locandina del film “Nato a Casal di Principe – Una storia vera”