Dalla lumaca marina al botrillo per scoprire i meccanismi chimici della mente
di Nancy Drew
Nel 2000, Eric. R. Kandel è stato insignito del Premio Nobel per le sue ricerche sulle basi fisiologiche della conservazione della memoria nei neuroni. La mole di libri e articoli da lui pubblicati sull’argomento, hanno aperto la strada alle neuroscienze moderne.
Nato nel 1929 a Vienna da una famiglia ebrea, nel 1938, come tutti gli altri bambini ebrei della sua scuola, fu trasferito in una scuola speciale gestita da insegnanti ebrei; da pochi mesi Hitler era entrato trionfalmente a Vienna. La fortuna di avere uno zio espatriato negli Stati Uniti una decina di anni prima, fece sì che la famiglia Kandel potesse emigrare oltreoceano, giusto qualche giorno prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale.
Professore di biofisica e biochimica, ha insegnato dal 1974, per moltissimi anni alla Columbia University di New York ed è considerato uno dei maggiori neuroscienziati del XX secolo.
Kandel, nonostante i suoi 93 anni, è in buona salute e ancora abita nella metropoli statunitense.
La Aplysia californica, un lumacone marino con neuroni molto limitati nel numero, è stata la compagna di viaggio di Kandel, lungo tutti gli anni della ricerca sulla memoria, da cui sono state tratte importanti scoperte sul suo funzionamento.
Tra le righe del suo libro “Alla ricerca della memoria”, pubblicato nel 2006 e tradotto in Italiano nel 2010, Kandel fa riferimento a come si era impressa nella sua memoria di bambino la tragica Notte dei Cristalli del 1938, tanto da poterla rivivere ancora a moltissimi anni di distanza. La sua carriera di biologo e neuroscienziato inizia con questa domanda. Decenni di ricerche dimostreranno poi che il consolidarsi della memoria produca modificazioni fisiologiche nel cervello umano, sviluppando e consolidando nuove connessioni sinaptiche tra i neuroni. Kandel lascia un messaggio ai suoi lettori: «Se vi ricorderete qualcosa di questo libro, è perché dopo che avrete finito di leggerlo, il vostro cervello sarà leggermente diverso».
Dalle Americhe all’Italia, alla Laguna di Venezia, altre buone notizie per la ricerca sulla memoria e le malattie neurodegenerative sono in arrivo.
Ancora una volta la natura viene in aiuto all’umanità attraverso un altro piccolo animale invertebrato marino, il Botryllus schlolleri, che cresce e si riproduce a basse profondità in mari quali il Mediterraneo e, in particolare in zone ricche in nutrienti e calde dell’Adriatico, come l’area lagunare dove poggia Venezia. Si tratta di un essere vivente molto semplice che dispone di un cervello abbastanza rudimentale, costituito da poco meno di un migliaio di neuroni. Tuttavia tale organismo – che nella forma ricorda un fiore – appartiene al gruppo di animali considerati parenti prossimi ai vertebrati, al cui gruppo appartiene anche l’uomo, motivo per cui i ricercatori lo stanno studiando da tempo.
Un team internazionale di ricerca – coordinato da Lucia Manni, professoressa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, ha pubblicato lo studio Multiple Forms of Neural Cell Death in the Cyclical Brain Degeneration of A Colonial Chordate sulla rivista scientifica “Cells” che evidenzia come questo invertebrato contenga tutti i geni coinvolti nelle malattie neurodegenerative umane e, durante il suo ciclo vitale, le sue cellule nervose invecchino esattamente come nell’uomo. Tra i ricercatori ci sono Chiara Anselmi dell’Università di Stanford in California e Alberto Priori e Tommaso Bocci dell’Università Statale di Milano.
Gli esseri viventi marini sono pressoché sconosciuti ancora alla scienza, catalogati solo in circa 250mila specie, a fronte di una potenzialità di oltre 3 milioni.
Ad oggi, le cause di malattie degenerative come l’Alzheimer o il Parkinson, le più comuni, non sono ancora state scoperte, pertanto le terapie a disposizione non sono purtroppo in grado di arrestare o rallentare il loro corso.
«Il botrillo, che abbiamo studiato attraverso la microscopia elettronica e l’analisi dell’espressione genica, va incontro naturalmente a neurodegenerazione secondo modalità che potrebbero aiutare la ricerca nell’uomo a trovare strategie, o farmaci, per fermare gravi malattie neurodegenerative – spiega Lucia Manni, autrice referente dello studio. In particolare, i neuroni del botrillo mostrano diversi tipi di morte cellulare, così come avviene nelle malattie neurodegenerative umane. Inoltre, geni criticamente coinvolti in queste malattie sono espressi nelle diverse fasi del ciclo vitale del botrillo secondo tempistiche che ricordano molto il progredire delle malattie nell’uomo. Per esempio, geni tipici dei disordini conformazionali, come l’Alzheimer e il Parkinson, sono espressi nel botrillo in tempi che richiamano nell’uomo il passaggio della malattia da una fase di degenerazione pre-clinica alla comparsa di sindromi specifiche nell’uomo.»
«Questi risultati potrebbero aprire inediti scenari sia nell’identificazione di un minimo comune denominatore fra patologie umane molto dissimili fra di loro, sia nell’impiego di nuove metodiche di stimolazione elettrica cerebrale non invasiva per la prevenzione e la cura della neurodegenerazione» – commenta Alberto Priori, professore del Dipartimento di Scienze della salute dell’Università Statale di Milano e co-autore della ricerca.
Se il futuro della ricerca neuroscientifica è – come dimostrano queste due esperienze in Usa e Italia – la migliore conoscenza dell’ambiente marino sommerso, allora abbiamo molti motivi in più – e già ne avevamo tanti – per preservare l’ambiente dal decadimento a cui è sottoposto, dal logorio della vita moderna e dalla immensa impronta ecologica che questa imprime sul delicato equilibrio ecologico del nostro Pianeta.
Sabato, 20 maggio 2023 – n°20/2023
In copertina: Botryllus chlosseri – Foto: Wikipedia