Intervista con Michele Losi, direttore artistico di Campsirago Residenza
di Laura Sestini
Il 23 giugno si è inaugurata la XIX edizione del Giardino delle Esperidi Festival, una manifestazione itinerante che si nutre del paesaggio circostante, festival teatrale e culturale di performing art, dislocato in sette comuni della provincia di Lecco, a cura di Campsirago Residenza.
Michele Losi è il Direttore Artistico del Centro di ricerca e sperimentazione, anche regista e performer.
Gli ultimi anni, per gli artisti, sono stati particolarmente difficili, da Nord a Sud Italia, a causa della pandemia prima, ma anche per un rinnovato e malcelato disinteresse – post Covid – della politica nazionale nei confronti della cultura non mainstream e del suo comparto.
L’occasione del Festival Il Giardino delle Esperidi 2023 è un’ ottima circostanza per scambiare quattro chiacchiere con Michele Losi, che ben spiega a che punto siamo con la cultura teatrale in Italia e quella delle realtà indipendenti.
Prima di chiederle del presente, uno sguardo al passato che già appare come mai esistito, dimenticato: come ha superato la pandemia Campsirago Residenza? Cosa ha generato quel lungo momento di chiusura delle attività artistiche al pubblico?
Michele Losi: – Se si ripercorre indietro il momento della pandemia, è chiaro che per Campsirago Residenza è stato un momento difficile, come per tutti, penso, ma paradossalmente allo stesso tempo è stato un periodo di grande riflessione e di evoluzione dal punto di vista dei contenuti artistici, come se essere in un luogo “altro” dalla città, dallo spazio urbano ed essere in natura, ci avesse consentito di continuare a ragionare e a lavorare. Dall’altra parte, l’obbligatoria distanza dal pubblico, per noi non è stata una mancanza di pubblico. Con Favole al telefono, nei tre mesi del primo lockdown, quello duro, abbiamo fatto più di mille repliche, in tutta Italia e anche all’estero. In realtà era come se si fosse costituita una comunità virtuale da una parte, mentre dall’altra si continuava a lavorare con le produzioni in natura, e proprio perché queste sono in parte di teatro immersivo in natura, outdoor, già nel 2020 siamo riusciti a rilanciare il nostro lavoro con molte repliche. Il Festival delle Esperidi del 2020 è stato uno dei primi Festival teatrali a riaprire in Italia, solo due giorni dopo la fine del lockdown. L’avevamo già pensato e programmato. Abbiamo tenuto duro, pensando che fosse una possibilità fattibile, e siamo stati premiati. Il primo giorno di Festival fu una grande emozione vedere tante persone arrivare per gli spettacoli, in specifico il lavoro del Teatro della Contraddizione di Milano, Weiss, Weiss – L’essere del non essere. Sulla sparizione di Robert Walser, e lo spettacolo di Silvia Gribaudi, Tre – Quanto vale un corpo umano?
Tutto il dolore pandemico noi lo abbiamo vissuto in maniera attenuata perché abbiamo continuato a lavorare e siamo riusciti a fare il nostro Festival, a rimanere in produzione; ed è come se le tematiche, sia sulla distruzione della natura che adesso è stata completamente sostituita da evidente green washing di massa, sia rispetto a nuove forme di produzione in natura, fossero diventate ancora più radicali, entrate in maniera più forte nel nostro Dna creativo. Quindi il nostro Festival è diventato sempre di più di performing art nel paesaggio, è questo il suo cuore nella relazione con le comunità e i luoghi, con le piante, i sentieri, con la luce del sole, il suono, il camminare e tutti gli aspetti della natura. A questo si aggiunge l’attenzione per la drammaturgia contemporanea, altro tema centrale.
Campsirago Residenza, centro di ricerca delle arti performative, sta ampliando le proprie proposte artistiche e si sta trasformando anche negli spazi: un futuro immaginato più roseo e sostenibile?
M.L.: – In questo momento il futuro che immaginiamo è roseo, ma siamo anche presi tra mille bandi, legati anche al PNRR, che ci mettono in difficoltà. Purtroppo in Italia abbiamo una macchina burocratica e amministrativa che non funziona, a rilento. Quindi a fronte di enormi investimenti, sia in termini di azioni culturali che di ristrutturazione, siamo al palo, anche se in maniera contingente, in prospettiva, no. Questo è anche uno dei nostri temi importanti. Per quanto riguarda il Centro per le attività, gli spazi si stanno trasformando. Già adesso si può chiamare “centro” in maniera più compiuta, con spazi sia all’interno che all’esterno. Abbiamo una foresteria, una cucina, una sala da pranzo, la falegnameria, luoghi che fino ad oggi esistevano solo in parte, non così completi e forniti dal punto di vista tecnico e tecnologico. La trasformazione in atto è molto forte con la prospettiva futura di avere anche un Ostello dell gioventù, una chiesa che si trasformerà in una nuova sala, luogo di ricerca e di lavoro, più un altro spazio che si chiamerà Il granaio delle idee, destinato a progettazione e co-progettazione di relazione tra artisti e artigiani, intellettuali, studenti e cittadini. Ciò che avevamo immaginato sta diventando una realtà buona, rosea, ma non è di semplice gestione nel presente. Il tema per noi è sempre della relazione multidisciplinare tra linguaggi, è ciò che da sempre facciamo, ed anche di apertura verso altre culture, in particolare per questo 2023 con realtà giapponesi, olandesi e francesi. Ma anche con tradizioni di chiara impronta sudamericana, come il Festival di Salvaterra, per noi importanti e fecondi.
La Residenza si trova nella omonima località di Campsirago, un borgo con qualche decina di residenti. Una scelta molto coraggiosa, a cui però il pubblico sembra rispondere bene, nonostante si trovi sulle pendici del Monte San Genesio.
M.L.: – Non so se si tratti di una scelta coraggiosa. Noi la reputiamo “una chiamata”, poiché il Monte San Genesio è luogo di pellegrinaggio da 3mila anni e forse è rimasto tale, in questo senso. Il luogo ha una sua dinamica e una dimensione naturale molto forte. Un luogo dove esiste anche una tradizione teatrale di almeno 30 anni. Quindi, sì, è una scelta coraggiosa perché siamo in un posto fuori dal mondo, però è anche un luogo molto apprezzato dagli artisti che giungono in residenza, uno spazio protetto, altrove, che ti consente di stare in un ambiente di creazione importante, non perché Campsirago Residenza sia un’istituzione importante, ma come luogo che ti accoglie, dove sempre di più ci sono spazi accessibili per produrre e fare arte. Questa prospettiva il pubblico la coglie; è come se ogni spettacolo, concerto, laboratorio, performance riacquisisse una dimensione artigianale e non artificiale, che la rende unica come esperienza. Qui non è come scendere dalla metropolitana e andare al teatro in città, e poi ripartire. Questo aspetto lo colgono tutti, in qualche modo un’esperienza trasformativa che bilancia la fatica dell’isolamento.
Quali sono le sezioni artistiche su cui puntate di più? Quali fasce di età rispondono meglio alle attività proposte?
M.L.: – Tradizionalmente, sia a livello produttivo, che quello di programmazione, abbiamo una grande attenzione per le famiglie, la primissima infanzia e l’infanzia in generale, e per tutto ciò che riguarda il performativo e la ricerca. Per cui abbiamo due filoni principali di pubblico, uno legato più alle famiglie e i bambini piccoli, e l’altro che chi ama di più il teatro di ricerca contemporaneo, la performing art. Inoltre anche chi ama la natura, trova nel nostro Festival la possibilità di continuare a fare dei percorsi che hanno al centro l’ambiente naturale, con in più dei contenuti artistici. Questi sono i nostri nuclei fondamentali, insieme all’attenzione per la drammaturgia contemporanea, la danza e la musica contemporanea che attraggono ulteriori fasce di pubblico.
Campsirago Residenza è una organizzazione culturale indipendente? Come riesce a portare avanti i propri obiettivi in tempi così bui, istituzionalmente, per quanto riguarda la cultura?
M.L.: – Come dicevo inizialmente, i tempi bui sono legati a questione di carattere politico che, penso, non ci aiuteranno soprattutto negli anni futuri, poiché ancora gli effetti non sono evidenti. Il male oscuro italiano è la burocrazia, in maniera palese. In questo momento siamo un Ente che ha più di 20 anni di storia, che ha partecipato e vinto progetti europei, ha lavorato sul PNRR e viene finanziato dalle Province, dalle Regioni, da numerose istituzioni. Produciamo spettacoli che girano l’Italia e l’Europa, quindi c’è anche l’aspetto della circuitazione degli spettacoli, importante in termini di bilancio. Se un Ente ha un bilancio solido ed è abbastanza grande, è in grado di fare dei progetti che non possono essere di stampo volontaristico, siamo tutti dei professionisti. Invitiamo e lavoriamo con altri artisti o professionisti, ed è giusto che ognuno venga retribuito. Il fatto di avere un’ampia possibilità di finanziamento da differenti Enti, è una condizione a cui siamo arrivati un passo alla volta, qualcosa che dà sostenibilità al nostro progetto. E’ evidente che ci siano delle difficoltà, per gli enormi ritardi nei pagamenti, e la burocrazia oggettivamente complicata, deficitaria anche dal punto culturale e delle procedure. Per il 2023 noi abbiamo un bilancio di previsione in attivo, ma al momento ci troviamo in enorme difficoltà per almeno 300mila Euro da parte della pubblica amministrazione. E’ chiaro che essere un Ente indipendente è fondamentale e importante, per portare avanti la reale ricerca che vogliamo, la sperimentazione, andare in profondità alle nostre cose. Siamo riusciti ad aprire un centro di produzione teatrale in un borgo di 36 abitanti. Non è semplice, né scontato, anzi è difficile.
Non ha l’impressione che l’ambito culturale italiano, sia al contempo troppo mainstream ed anche poco tutelato, svilito dalla poca attenzione che gli viene concessa dallo Stato, quest’ultimo focalizzato in attività completamente opposte alla cultura?
M.L.: – Questa ultima domanda è già una risposta pienamente condivisibile. Tolti i teatri di tradizione, tolti i teatri stabili nazionali, i Tric, ciò che non passa dal mainstream, dal televisivo, ciò che passa da altri canali è sostenuto in maniera assolutamente marginale, praticamente insignificante, pochi milioni di Euro all’anno complessivamente. A livello produttivo, noi siamo al livello 13.3, le compagnie di ricerca e sperimentazione, l’ambito in cui c’è la Raffaello Sanzio per intendersi. Siamo tra le 12-15 compagnie maggiormente finanziate in Italia, la cui Societas Sanzio, quella che riceve di più, non percepisce oltre 400-500mila Euro all’anno di finanziamenti, per gestire un teatro importante, la produzione e il resto. Le compagnie di ricerca e sperimentazione prendono finanziamenti ben lontani dai 100mila Euro. Questo dà l’idea di come siano considerate marginali.
Politicamente, in Italia c’è chi va a Sanremo, Amadeus e Fiorello nel migliore dei casi, o altri nel peggiore dei casi, mentre l’Italia degli Anni 70-80, delle Biennali di Venezia con Grotowski o Kantor, l’Italia di Pontedera dei tempi buoni, l’Italia della ricerca e della sperimentazione è stata seppellita. L’Italia della Romagna felix è stata sepolta dal ventennio televisivo.
Siamo marginali, delle avanguardie, o delle retroguardie, dipende dalle situazioni, però ci sono diverse realtà che continuano a fare questo lavoro di ricerca; molti sono i Festival, che hanno la maggiore attenzione per la sperimentazione del contemporaneo; in alcuni casi sono le Residenze, in altri ancora i Centri di produzione. Non sono molte le realtà italiane che fanno questo tipo di lavoro, ma fortunatamente ce ne sono ancora. E’ evidente che sono delle scelte totalmente indipendenti o legate alla tenacia di singoli o di gruppi di persone, più che una scelta istituzionale, statale, che non va di certo in questa direzione.
Sabato, 24 giugno 2023 – n°25/2023
In copertina: Michele Losi – Foto: ©Alvise Crovato (tutti i diritti riservati)