Una questione personale
di Laura Sestini
Il cuore della tragedia di Amleto, opera di William Shakespeare tra le più rappresentate al mondo, tratta di onore, potere e vendetta, sentimenti che, ahimè!, accompagnano l’essere umano a tutte le latitudini geografiche e di ogni ceto sociale.
Siamo alla corte di Elsinore, in Danimarca, il re Amleto-padre è stato ucciso per avvelenamento dal fratello Claudio, un uomo assetato di potere che sposa la regina Gertrude rimasta vedova, madre del Principe Amleto, che viene incaricato dallo spettro del padre di essere vendicato, richiesta accolta dal principe.
La Corte San Donnino, nel Comune di Olgiate Molgora in provincia di Lecco, un minuscolo borgo in mezzo alla natura nell’area del Monte Brianza abitato da soli due gruppi famigliari, è il palcoscenico dove viene accolta la Compagnia teatrale di Campsirago Residenza, che risiede poco distante, per portare in scena l’opera shakespeariana “Amleto” trasferita nella cornice naturale, teatro immersivo abitualmente praticato dall’omonimo centro di ricerca di performing art.
L’ambiente della messa in scena è ricavato nello spazio domestico che gli abitanti della piccola frazione hanno messo a disposizione agli attori ed ai numerosi spettatori, tra maestosi alberi di fico, gigantesche ortensie, querce, abeti, corbezzoli, alte pannocchie di mais, frinire di grilli e cicale, lucciole, e fiori in quantità.
Sulla scena naturale del cortile che offre la location, troneggia una scenografica gabbia di ferro – metafora della prigione interiore che si innesca nel cuore del Principe Amleto, alla richiesta di lavare l’onta subita dal padre, di cui era già intrisa la società aristocratica alle corti europee del 1600 – riferimento storico-temporale dell’opera – e per molti secoli ante e post, anche ai giorni nostri, fino ai più bassi ceti della scala sociale. Un ristretto perimetro mentale in cui gli uomini si auto-recludono, accecati dai sentimenti i più violenti.
Dopo che Amleto accoglie la richiesta del padre non è più lo stesso, cupo e pensieroso, in preda a inestricabili quesiti interiori, da qui il celebre dubbio “Essere, o non essere, è questo il dilemma. È forse più nobile soffrire, nell’intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall’oltraggiosa fortuna, o imbracciar l’armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e combattendo contro di esse metter loro una fine?” – cuore della tragedia del Bardo.
La scena iniziale della performance, nel cortile del borgo, inizia subito briosa, molto dinamica, su note danzanti latinoamericane gioiose, e poi vorticosi ritmi africani, indiani, rock, dove paiono intrecciate le nozze di Claudio e Gertrude, con la festa dedicata al principe per migliorare il suo morale, per cui sono stati chiamati a corte dei teatranti, ma non senza il sotterfugio di Claudio, su zio, per capire cosa egli abbia in testa, il suo prossimo agire dopo la morte del padre.
Amleto è schifato da ciò che ha tramato lo zio per sposare sua madre e divenire Re, dettagli che gli ha riferito il fantasma del padre; non si fida di nessuno a corte, neanche dei suoi migliori amici fatti arrivare appositamente per consolarlo, spinti da Claudio. Amleto non dorme sonni tranquilli, i dubbi lo assillano, ma, per consuetudine sociale, e tradizione, non può lasciare invendicato l’omicidio del vecchio Re.
Nonostante il quesito di Amleto, sempre in bilico tra il non agire e in senso della vendetta, la promessa fatta al padre innescherà una serie infinita di vittime – compresa l’amata, e promessa sposa, Ofelia, che finirà per impazzire e morire affogata in un lago.
Il format dello spettacolo in natura è itinerante, a stazioni, dove si dipanano le scene più importanti . Tra l’una e l’altra, cuffie in testa per ascoltare la voce fuori campo, gli spettatori camminano in fila indiana per i viottoli del bosco, godendo anche del panorama circostante. Ad ogni fermata un attore/attrice si esibisce dal vivo, portando passi in avanti la narrazione e la trama.
A differenza degli spettacoli al chiuso, le cui scenografie – minimali o ricche – sono allestite appositamente, il teatro in natura ha pochi oggetti di scena, solo alcuni estremamente essenziali, contornati, al contrario, da un ricco paesaggio mai uguale a se stesso, anche se la location rimane la solita; sono la flora e la fauna la vera scenografia. Nel caso di questa precisa replica di Amleto, la tomba di Ofelia, ricavata da un rigoglioso e profumato cespuglio di caprifoglio, nato in mezzo ad un mucchio di grandi pietre, è parsa davvero una cornice perfetta. Ma pure altre, il vecchio abbeveratoio trasformato in porto di partenza; un terreno terrazzato, puntuale pulpito; il baule nel bosco, casa di Amleto ridotto ad uno psicopatico, che tiene lontani gli estranei con il DDT.
Amleto è incastrato nel suo dubbio: saggezza o codardia? Neanche l’amore per Ofelia riesce a fermarlo dal seguire la sete di vendetta che gli ha imposto il fantasma del padre. Eppure adesso sarebbe tempo di dubitare, di incamminarsi su una strada diversa, invia un messaggio al presente, di attualità, la parte pedagogica della performance teatrale. Blocchiamo l’escalation!
“Volersi bene è una gran fatica, come lanciarsi al macello” cita l’intenso testo drammaturgico, proposto in un lessico contemporaneo, di sperimentazione. Ma la spirale di violenza, legata al potere e l’integrità dell’onore, infine la innescherà davvero l’escalation, poiché molti dei personaggi della tragedia, nel lavoro di Shakespeare, moriranno in duello, nel vortice della vendetta, e dalla pretesa di essere dalla parte della ragione, dalla parte del “giusto”.
Questa versione di Amleto ha debuttato al Giardino delle Esperidi Festival di due edizioni fa, con la drammaturgia di Sofia Bolognini, collettivamente e liberamente ispirata all’Amleto di Shakespeare, con la regia di Anna Fascendini, Giulietta de Bernardi e Michele Losi, prodotta da Campsirago Residenza. Quasi tutte le scene, dalla tragedia sono state rielaborate con differente registro drammaturgico, ironiche, leggere, veloci, molto contemporanee nel ritmo e nel linguaggio. Le attrici e gli attori, indaffarati anche in più ruoli, hanno dimostrato talento personale e professionalità.
Le sonorità e composizioni musicali, che incorniciano testi e interpretazioni attoriali, tenendo unite le molte parti della performance, hanno deliziato le orecchie dello spettatore, udite in cuffia, senza rumori di fondo o del pubblico. Unico brano dal vivo, una armonica a bocca sul sepolcro di Ofelia.
Un Amleto “differente”, divertente, che ha saputo sorprendere nelle variegate scene, dove la vendetta è accennata in virtù dell’opera originale di Shakespeare, ma lasciandone intravedere solo le tragiche conseguenze.
Una drammaturgia che, ispirata dalla tragedia, cerca una via d’uscita, dando piccole indicazioni sulla possibile strada da intraprendere: toglietevi la maschera, datevi la vostra epifania!. Se si agisce in maniera differente, anche il risultato sarà un altro. Si potrà sempre trovare un’alternativa, togliersi gli scarponi e calzare un paio di ciabatte a fiori, cercando un po’ di relax, un mood più rilassato e conciliante.
——————————————————————————-
Lo spettacolo è andato in scena in ambito del Giardino delle Esperidi Festival 2023 – presso la Corte San Donnino di Olgiate Molgora (LC), mercoledì 28 giugno 2023, alle ore 19.00.
Amleto – Una questione personale
regia Anna Fascendini, Giulietta de Bernardi, Michele Losi con Anna Fascendini, Barbara Mattavelli, Benedetta Brambilla, Giulietta de Bernardi, Liliana Benini, Marialice Tagliavini, Michele Losi, Sebastiano Sicurezza, Sofia Bolognini, Stefano Pirovano costumi Stefania Coretti musiche Diego Dioguardi, Luca Maria Baldini drammaturgia Sofia Bolognini drammaturgia collettiva liberamente ispirata all’Amleto di William Shakespeare produzione Campsirago Residenza
Sabato, 1 luglio 2023 – n°26/2023
In copertina: foto di ©Alvise Crovato (tutti i diritti riservati)