Il discorso di insediamento
Il 5 luglio 1976, nella prima seduta della VII legislatura, Pietro Ingrao viene eletto Presidente della Camera al primo scrutinio, con 488 voti su 613 votanti, divenendo così il primo esponente comunista ad assumere la carica.
Nel discorso d’insediamento sottolinea l’importanza di una maggiore partecipazione delle classi lavoratrici alla vita democratica, per superare la crisi del Paese.
La sua Presidenza promuove un maggiore coordinamento dei lavori tra Camera e Senato e una più stretta collaborazione tra Parlamento e Governo, per evitare l’eccessivo allungamento dei tempi della decisione parlamentare; si preoccupa inoltre di stabilire un collegamento tra il Parlamento e la rete delle assemblee elettive regionali, titolari ormai della funzione legislativa.
La tensione crescente causata dagli attentati terroristici, primo fra tutti il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, faranno da sfondo a tutta la legislatura e agli sforzi per fare del Parlamento un luogo di sintesi degli interessi e di unificazione reale del Paese.
Storico capofila dell’ala di sinistra interna movimentista del Partito Comunista Italiano, chiamata per l’appunto Ingraiana, disposto ad abbracciare le tematiche dell’ambientalismo e del femminismo, oltreché simpatizzante dei movimenti studenteschi dell’epoca, Ingrao fu direttore dell’organo di stampa ufficiale del Partito, l’Unità, dal 1947 al 1957, ed ininterrottamente parlamentare alla Camera dei deputati tra il 1950 e il 1992. Dell’assemblea di Montecitorio fu anche Presidente dal 1976 al 1979.
Seduta del 5 luglio 1976
Il Presidente Ingrao, in piedi, pronuncerà il seguente discorso: “Onorevoli colleghi, esprimo il mio vivo ringraziamento per l’alto onore che mi viene fatto chiamandomi al difficile compito di presiedere questa Assemblea. Consentitemi di rivolgere il saluto deferente di tutta l’Assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica, che rappresenta l’unità del nostro paese, e di inviare un saluto cordiale al Presidente del Senato, al Presidente della Corte costituzionale, al Presidente del Consiglio. L’augurio mio di buon lavoro va a tutti i membri di questa Assemblea, a coloro che già sedevano in quest’aula, alle nuove elette, ai nuovi eletti, convinto che mi aiuterete ad assolvere alla funzione che mi avete affidato; funzione che adempirò nel rispetto assoluto del regolamento che disciplina i nostri lavori, nella tutela imparziale dei diritti di ciascuno di voi e innanzitutto delle minoranze che si formeranno nel corso dei nostri dibattiti.
Sono consapevole di quanto sia impegnativo succedere in questo incarico ad un uomo della statura morale e politica di Sandro Pertini (Vivissimi, generali applausi), al quale rivolgo un saluto molto affettuoso e rinnovo il ringraziamento di tutti per ciò che egli ha dato al prestigio e al funzionamento del Parlamento italiano, alla lotta contro il fascismo, per la democrazia e la libertà del nostro popolo.
Questa legislatura si apre in un momento grave. Tutte le cose intorno a noi sottolineano l’urgenza di procedere ad un profondo rinnovamento della vita economica e dell’apparato produttivo, indispensabile per ridurre il flagello dell’inflazione, per aprire una possibilità di lavoro qualificato per milioni di giovani e di donne, oggi senza prospettiva, per restituire forza, prestigio e stabilità all’Italia nell’economia mondiale e nel tormentato orizzonte internazionale. Ciò domanderà grande rigore e giustizia nelle scelte che compirete, severità nel costume politico, intelligenza innovativa e respiro democratico nella mobilitazione delle energie creative di grandi masse umane, chiamate a portare il Paese fuori dalla pesante crisi che lo percuote.
Non spetta in alcun modo a me di entrare nel merito delle soluzioni che dovranno essere date a questi bisogni. Penso però di poter affermare che questi problemi, vissuti oggi in modo spesso angoscioso e stringente da migliaia di famiglie italiane, chiedono a noi, al Paese, di camminare con nuovo slancio sulla strada maestra indicata dalla Costituzione, che fissa per noi tutti le regole della convivenza civile e politica e chiama le classi lavoratrici a partecipare finalmente alla direzione dello Stato, in questa Repubblica scaturita dal grande moto popolare e unitario della Resistenza.
Il nostro è un popolo forte, maturo, che può e sa affrontare le prove e i sacrifici necessari, e sa darsi una giusta e responsabile autodisciplina, a condizione di essere sempre più chiamato a conoscere, a partecipare, a controllare.
Sta a questo libero Parlamento di essere sempre più, come chiede la Costituzione, l’organo che promuove ed unifica questa originale democrazia di popolo che caratterizza il nostro Paese e che sta penetrando e radicandosi nei luoghi di lavoro, nei quartieri delle città, nella vita delle nostre campagne, nel mondo della scuola e della cultura. Ciò ci spinge a coordinare efficacemente il nostro lavoro con l’altro ramo del Parlamento, a stabilire collegamenti organici con i consigli regionali che partecipano con noi del potere legislativo, ad allargare i metodi, già felicemente avviati, di consultazione diretta delle organizzazioni sindacali e degli altri organismi sociali operanti nel Paese, delle forze del mondo della tecnica e della scienza, degli uomini e degli apparati che presiedono a settori decisivi della economia italiana. Così potremo trovare contributi e alimento non solo per seguire in modo continuo la dinamica di un Paese in continuo e anche tumultuoso mutamento, ma anche per dare forza e ricchezza alla presenza di questo Parlamento nel concerto europeo e prima di tutto in quella parte dell’Occidente in cui il nostro Paese è storicamente collocato, allo scopo di aiutare attivamente i processi di pace e di distensione, e di favorire le collaborazioni e le integrazioni nella vita dei popoli, indispensabili in questa nostra epoca di rivolgimenti storici, di emancipazione di popoli e continenti ancora fino a pochi decenni fa duramente oppressi od emarginati.
Il Parlamento è oggi la sede più alta e qualificata per adempiere a un tale decisivo ruolo di dibattito e di unificazione reale del Paese. Permettetemi – al di là di ogni valutazione di parte – di cogliere anche nella larghezza e varietà dei consensi che hanno portato alla mia elezione un segnale: il segno che sta avanzando fra le forze politiche l’esigenza di un rapporto nuovo, che – mantenendo a ciascuna di esse la sua fisionomia – porti ad un rinvigorimento e ad un arricchimento delle istituzioni democratiche.
Credo che questo ruolo del Parlamento sarà agevolato dalla presenza di un esecutivo stabile e forte, che governi in stretto collegamento col Parlamento e che sappia rinnovare e dare efficienza moderna al suo funzionamento; e sarà favorito da una cooperazione nuova con i corpi in cui si articola l’insieme della vita dello Stato. Per queste ragioni non è formale il mio saluto alla magistratura, alle forze armate, alle amministrazioni della Stato, ai corpi di polizia, a tutti coloro cui spetta di tutelare le libertà, i diritti e la sicurezza dei cittadini.
Abbiamo bisogno di conoscere meglio, in un dialogo diretto, il travaglio che pervade oggi il mondo della giustizia di fronte alle drammatiche novità emergenti nei rapporti sociali, nei principi etici e nelle concezioni del mondo. Abbiamo bisogno di conoscere a fondo i problemi e i bisogni che si presentano a chi è chiamato alla difesa della pace e della nostra indipendenza, in un’epoca che sopporta sempre meno una separazione tra popolo e soldati; e a chi deve misurarsi ogni giorno con la complessità delle funzioni di uno Stato moderno, impegnato ormai ad intervenire nelle varie ramificazioni dell’economia e nei tessuti molteplici e profondi della odierna società civile.
Su questi problemi, che toccano intimamente il funzionamento e il modo di essere di questa Assemblea, certamente torneremo a discutere insieme.
Mi auguro di avere il contributo di tutti voi. Sottolineo il carattere di collegialità che sempre più dovremo dare alla Presidenza nel suo compito di direzione. Sono convinto dell’aiuto essenziale che ci verrà da tutto il personale della Camera, dal Segretario generale dottor Maccanico, da tutti i funzionari e i dipendenti con cui discuteremo e lavoreremo insieme, in uno stretto impegno di ricerca comune.
Chiedo alla stampa che ci aiuti con il suo libero giudizio. La larghezza del dibattito nel Paese, la ricerca critica, il pluralismo e il confronto delle posizioni sono essenziali per la vita di un libero Parlamento. Il controllo dell’opinione pubblica ci farà forti, più legati alla gente. Perciò abbiamo bisogno del controllo delle masse e della trasparenza nelle nostre decisioni. Perciò siamo profondamente, direttamente interessati che sia garantita la vita della libera stampa e chiunque lavori nel campo dell’informazione giornalistica e radiotelevisiva possa conoscere pienamente la vita di questa Assemblea, di questa nostra casa.
Ci aspetta un lavoro duro. Spero che esso possa cominciare presto, come ci chiedono le grandi speranze con cui si guarda a questo nuovo Parlamento uscito dalla consultazione del 20 giugno. Invio da questa tribuna un saluto al popolo che ci ha chiamato ad interpretare le sue profonde ansie di cambiamento, alle grandi energie del mondo giovanile e femminile in movimento, a quella parte dell’Italia che nel Friuli in questi mesi è stata la più provata, ai milioni di italiani – di fedi e di ideologie diverse – ma che tutti hanno sete di rinnovamento, e chiedono per sé, per i loro figli, per il Paese, che si delinei finalmente una società di libertà e di giustizia.”
Vivissimi e prolungati furono gli applausi.
La maggior parte dei punti salienti del discorso di insediamento di Ingrao sono quanto mai attuali, e necessari da risolvere. Soprattutto, alcuni di essi, oggi il gruppo coalizzato di maggioranza sta cercando di smantellarli. In un contesto politico così precario e di apparenza più che di sostanza, sarebbe obbligatorio, da parte della esigua, vagante opposizione, riprendere saldamente in mano certe istanze.
Tra le sue frasi più famose: «Io sento penosamente la sofferenza altrui: dei più deboli, o più esattamente dei più offesi. Ma la sento perché pesa a me: per così dire, mi dà fastidio, mi fa star male. Quindi, in un certo senso, non è un agire per gli altri: è un agire per me. Perché alcune sofferenze degli altri mi sono insopportabili». (Pietro Ingrao)
Fonte: Camera dei Deputati
Sabato, 8 luglio 2023 – n°27/2023
In copertina: Ingrao eletto Presidente della Camera saluta dei deputati – Foto: Bruna Polimeni – Archivio fotografico del PCI