L’arroganza europea Vs la guerra dei poveri
di Laura Sestini
Nei primi mesi del 2011, la Tunisia promotrice delle Primavere arabe e della caduta del suo ventennale dittatore Ben Alì, accolse in brevissimo tempo tutti i subsahariani che fuggivano dalla guerra civile libica fomentata dagli alleati NATO – che portò all’uccisione di Muhammar Gheddafi ad ottobre dello stesso anno – contati circa in un milione di persone.
Di queste, molte transitarono dai campi profughi allestisti in fretta tra la frontiera libico-tunisina di Ras Jedir e la cittadina di Ben Guérdan – area divenuta famosa dal nome del suo campo più grande, quello di UNHCR denominato Choucha Camp – verso il porto di Zarzis, per raggiungere Lampedusa e l’Europa.
Molti altri furono rimpatriati nei loro Paesi di origine – per richiesta, non per espulsione – tantoché ad aprile 2011, a Choucha Camp, arrivò anche Angelina Jolie, allora Ambasciatrice di Buona Volontà dell’UNHCR, a salutare i profughi e firmare accordi ed assegni per i voli di rimpatrio nelle varie nazioni africane.
Sono passati oltre 12 anni da allora, di acqua sotto i ponti – politicamente – ne è passata in quantità, così come i migliaia di morti nel Mediterraneo, le numerose trattative italo-europee con il Governo ufficiale libico, gli arresti dei presunti scafisti, le leggi sempre più discriminanti nei confronti di chi cerca una vita migliore, fino alla recente novità dell’inclusione della Tunisia in questo violento vortice contro gli esseri umani che fuggono dai loro Paesi.
Sulla Tunisia – di cui la Presidente Meloni, in compagnia di Ursula Von der Leyen e l’uscente Premier olandese Mark Rutte, è ormai diventata assidua frequentatrice – dopo lunghi silenzi mediatici, improvvisamente si è scritto molto, forse troppo e, soprattutto, tutto molto uniformato, come se la fonte fosse unica per tutte le pubblicazioni italiane, che appaiono non preoccupate di approfondire oltre sulla questione dei migranti, non solo quelli tunisini che dal 2020 sono tornati a cavalcare i primi posti della classifica per nazionalità di arrivo, ma pure su quelli subsahariani che, da un giorno all’altro, pare abbiano scoperto l’esistenza della Tunisia come rotta migratoria.
La narrazione risulta piuttosto poco conforme ad una più significativa parvenza di verità che si avvicini il più possibile a ciò che davvero sta accadendo al confine libico-tunisino, per cui sui media nazionali non mancano le solite due-tre immagini (sempre le stesse) sui migranti lasciati nel deserto senza cibo ed acqua, mentre tutti puntano il dito sul “dittatore” Kais Saied, il Presidente tunisino.
Certo, anche lui ha le sue responsabilità, soprattutto dopo i potenziali accordi anti-migrante con l’Europa, ma per fare un po’ di luce sulla questione è necessario ampliare il contesto anche al di fuori delle linee di confine della Tunisia; è indispensabile soffermarsi sulla Libia, grande amica dell’Italia, che dona vedette alla violenta e arbitraria Guardia Costiera locale (e sonanti milioni di Euro) per i pattugliamenti in mare “a contenimento” dei barchini e barconi dei migranti che tentano di traversare il Mediterraneo.
Torniamo indietro di qualche anno, quando il Califfato islamico agiva tragicamente in pompa magna in Iraq e Siria e il Presidente Kaïs Saïed non aveva ancora idea di candidarsi alle elezioni, eletto poi nell’ottobre 2019, quando l’Isis era già ufficialmente sconfitto da circa sette mesi.
Prima dell’elezione di Saïed alla presidenza, la maggioranza di governo fino ad allora in Tunisia era nelle mani del partito islamista moderato Ennahdha – che aveva vinto già le prime elezioni libere post Ben Alì del 23 ottobre 2011. Il leader di Ennahdha, Rachid Ghannouchi, è stato arrestato a maggio scorso, a seguito di denunce del sindacato di polizia, e condannato dal Tribunale di Tunisi in contumacia, per apologia del terrorismo, ad un anno di reclusione. Ennahdha è sostenuto dal movimento dei Fratelli Musulmani, una delle più importanti organizzazioni islamiste internazionali. In maggior parte, la propaganda contro Saïed è fomentata dalle fazioni politico-islamiste del Paese.
Durante l’arco temporale della vita del Califfato Islamico (29 giugno 2014 – 18 marzo 2019) i foreign fighters tunisini accorsi per la jihad sono risultati tra le nazionalità più numerose, con circa 8mila unità, sul totale di 12milioni di abitanti della Tunisia. Un numero non irrisorio di giovanissimi combattenti hanno raggiunto la Siria, via Libia, per la loro guerra santa. La Tunisia, negli ultimi anni del conflitto civile libico tra il governo ufficiale scelto dalle Nazioni Unite e quello di Tobruk guidato dal generale Khalifa Haftar, ha fatto da sponda, dal porto di Sfax, al traffico di armi della Turchia verso la Libia e la Siria.
Il confine libico-tunisino di Ras Jedir è poroso, perché la corruzione scuote la società tunisina – e molto di più quella libica, dalle innumerevoli fazioni clanico-politiche – dall’alto verso il basso, fino al poliziotto di quartiere, di cui “il dittatore” Saïed sta tentando di far pulizia.
A soli 60 chilometri da Ras Jedir troviamo la citta libica di Zuara, nota per essere punto nevralgico del traffico di esseri umani, un territorio controllato da milizie locali, come ne troviamo ovunque in Libia, autonome, dopo la scomparsa di Gheddafi. A metà strada tra Zuara e Tripoli troviamo la città di al-Zawiya dove regna il comandante Bija (Abdurhaman al-Milad) ex-trafficante di esseri umani, armi e petrolio, promosso a maggiore della Guardia Costiera libica, dopo aver scontato solo sei mesi di apparente prigione, condannato dal Governo (ONU) di Fayez Al-Sarraj.
Dei subsahariani arrivati in Tunisia come profughi nel 2011dalla Libia, praticamente nessuno è rimasto sul territorio, mentre numerosi africani neri si vedono riapparire nel Paese maghrebino da circa 4-5 anni, in coincidenza della pandemia, i cambiamenti climatici sempre più estremi, a causa dei numerosi conflitti africani, ecc. In media questi hanno ricevuto accoglienza dalla Tunisia, hanno documenti regolari, si arrangiano a lavorare, e vivono come liberi cittadini.
Da anni sul confine libico-tunisino esistono traffici di esseri umani, dove agiscono anche i mercenari Wagner, che stanno “colonizzando” molte aree africane subsahariane, senza dimenticare il ruolo della Turchia – membro Nato – e dei suoi mercenari islamisti che vanno e vengono senza controllo sul territorio libico da molto prima della pandemia da Covid-19.
Il confine è una zona desertica e polverosa, dove si incrociano auto che corrono veloci e qualche mandriano di dromedari. Sono le milizie libiche che spingono in numero ingente i subsahariani che cercano di raggiungere l’Europa verso quei non lontani confini dalla città di Zuara e da altre zone limitrofe della Libia. I percorsi verso la Tunisia non sono solo via deserto, ma pure via mare – dalla Libia alla Tunisia, e poi verso Lampedusa. Sempre le stesse milizie operano questi circuiti, cercando di far apparire tanti barconi come appena partiti dalla Tunisia; non più da Zarzis come succedeva negli anni subito a ridosso della Primavera araba, ma da Sfax, la seconda città della Tunisia.
Sfax negli ultimi due anni è divenuta un crogiuolo di gruppi di migranti subsahariani che tenta la traversata per l’Italia, così come lo è divenuta Casablanca, in Marocco, per raggiungere la Spagna. Migliaia di persone che vivono per strada, attendendo il loro turno sul barcone.
Un problema che i neri hanno ovunque, in Italia, in Europa e pure in Tunisia, è il razzismo. Molti tunisini sono razzisti e nazionalisti – come tanti Italiani – coloro che votano per la destra tunisina. E difatti è successo “il fattaccio”, scontri violenti fomentati dai Tunisini che non vogliono tutti quei poveracci a gironzolare nella loro città, la sostituzione etnica fa presa anche in Tunisia, tantoché c’è scappato il morto – un uomo tunisino – e la situazione è totalmente degenerata. Sicuramente se la vittima fosse stata tra i subsahariani, i Tunisini si sarebbero calmati, la loro giustizia (arbitraria) si sarebbe compiuta.
Da quel tragico evento, il mondo mediatico ha scoperto la presenza degli subsahariani a Sfax, ma la narrazione che viene divulgata è distorta, conveniente alla politica europea, e alla frontaliera Italia.
Dopo lo scontro a Sfax tra tunisini e africani neri, di cui solo pochissimi hanno partecipato alle violenze, una fetta consistente di questi è scesa verso Sud, verso la regione di Tataouine, confinante con la Libia, spinti anche dalle autorità tunisine, una zona poco ospitale per la sua natura desertica. La tendopoli di Choucha Camp stessa, nel 2011, era stata posizionata alle spalle della frontiera libico-tunisina in un immenso spazio di terra riarsa e sabbia. Non ci sono le dune, ma è una zona predesertica.
Sui confini libico-tunisini, che abbiamo già citato come porosi, specialmente nelle aree meno popolate, cosa succede nella pratica dei fatti? Dalla Libia le milizie spingono i migranti, mentre i militari tunisini, dalla parte opposta, cercano di non farli entrare in territorio nazionale.
Qui serve un attimo di riflessione: cosa fanno di differente le autorità tunisine, nel respingimento dei migranti, rispetto a ciò che succede ai confini italiani, a Trieste per la Croazia o Ventimiglia e sulla rotta delle Alpi, a Oulx, verso la Francia? Niente di diverso, i migranti vengono respinti ovunque, e spesso ci lasciano la vita in questi frangenti; sulla rotta balcanica o di Melilla ne abbiamo sentite migliaia di esperienze tragiche. In Libia cosa succede ai migranti? Tutti sanno dei lager libici, ma il capro espiatorio adesso è il presidente tunisino Saïed, per i migranti lasciati morire nel deserto.
Nel deserto, abbiamo già spiegato che sono le milizie libiche che ce li recapitano, e coloro che in qualche maniera riesco a passare, sono già in ambiente desertico, e non hanno risorse di nessun genere. A cambiare la trama della “cattiva novella”, e all’unisono scrivere che è colpa di Saïed, è un attimo. Questo non ci esime dal rammarico che sentiamo per la morte, ai confini tra Libia e Tunisia, della donna ivoriana e la sua bambina Marie, e anche di altre possibili vittime.
Col dittatore Saïed, la presidente Meloni, accompagnata dalla presidente della Commissione EU Von der Leyen e il Premier olandese Mark Rutte, hanno trovato un pre-accordo per sbarrare i flussi migratori via Tunisia provenienti dalla vicina Libia – per l’ampliamento dell’esternalizzazione delle frontiere europee; a questi si aggiungono anche quelli interni, dei giovani tunisini che fanno collette di gruppo per acquistare una barchettina o un gommone – e un paio di vecchi motori – per raggiungere Lampedusa in autonomia.
La Tunisia non navigava in buone acque economiche ancor prima della pandemia, ma a causa di cui è caduta ancora più in basso. Il FMI, con cui ha trattato a lungo Saïed, non ha accordato il nuovo prestito per risollevare il Paese, dove spesso mancano generi alimentari di prima necessità, come il pane, lo zucchero, il riso. Ciò è dovuto alle scarse liquidità nelle casse del Tesoro, nonché alle importazioni estere di cui si avvale per tanti generi alimentari, come i cereali, provenienti dall’Ucraina e le speculazioni del mercato mondiale.
I milioni di Euro promessi dall’EU fanno ben comodo in questo momento alla Tunisia, e l’EU non ha perso occasione per tentare di sedurre il suo Presidente, secondo gli opportunismi e le mille facce delle sue politiche.
Quindi, Kaïs Saïed è o non è un dittatore?
E l’Unione Europea è o non è un’organizzazione politica sovranazionale che si basa sui diritti democratici?
Aggiornamento al 6 agosto 2023: A seguito delle violenze contro i subsahariani in Tunisia, alcuni Paesi africani, hanno rimpatriato decine di connazionali su richiesta volontaria. Tra Gambia e Senegal sono state rimpatriate da Libia, Tunisia e Marocco, circa 500 persone.
Inoltre, il Ministero degli Affari Esteri tunisino, in un comunicato ha reso noto che la Tunisia, relativamente alla questione dei migranti subsahariani, è vittima di una campagna di disinformazione. Il Ministero condanna le dichiarazioni rese dalle organizzazioni internazionali e dalla stampa sulla situazione dei migranti irregolari in Tunisia, definendola una campagna di disinformazione dannosa, con l’intento i diffusione di “voci”, condotta da soggetti noti.
Per approfondire: https://www.theblackcoffee.eu/libia-oggi/
https://www.theblackcoffee.eu/i-pirati-del-mar-mediterraneo/
Sabato, 29 luglio 2023 – n°30/2023
In copertina: Campo profughi UNHCR ‘Choucha’ in Tunisia/Ras Jedir – Foto di 2011©Laura Sestini – (Tutti i diritti riservati)