Storia di un uomo…anzi due
di Alberta Candio
Sul palco del Teatro civico di Schio, c’è solo un vecchio scrittoio – davvero vecchio, ora che lo guardo bene – e un computer portatile.
Roberto Saviano entra dopo una breve presentazione – non troppo breve, ora che la ascolto bene. Jeans, camicia, giacca. Giacca?! Io sono seduta in sala con un vestito leggero come la serata di fine luglio richiede, e mi sto sventolando con un ventaglio d’annata – decisamente d’annata, ora che ci faccio caso. Sulle mie gambe ho il libro di cui stasera parlerà, un libro che ho divorato e amato.
Saviano ha un paio d’anni più di me, ma le nostre vite non potrebbero essere più diverse.
A 26 anni scrive un libro sulla Camorra e ne svela le dinamiche in una terra che conosce bene, perché è lì che è nato ed è lì che è cresciuto. Il libro “Gomorra” venderà milioni di copie, verrà tradotto in più di 50 paesi, diventerà una serie televisiva e, soprattutto, farà conoscere a tutto il mondo il sistema camorra, la sua capacità imprenditoriale oltre la sua connotazione violenta. Pochi mesi dopo, durante una manifestazione a Casal di Principe, Roberto fa i nomi di Francesco Bidognetti, Francesco Schiavone, Antonio Iovine e Michele Zagaria, nomi che tutti conoscono ma nessuno aveva mai avuto l’ardire di pronunciare. Sono tutti camorristi, e per la prima volta, qualcuno li chiama per nome, qualcuno parla direttamente a loro: “Voi non siete di questa terra! Smettete di essere di questa terra!”
Si dà un nome a qualcosa per distinguerlo dal resto, per qualificarlo rispetto ad altro e anche rispetto alle sue stesse, diverse forme: come la storiella degli esquimesi che usano più parole per definire la neve (quante siano e sulla polemica che ne è nata, ha qui poca importanza). Roberto fa i nomi, dice loro che sono “altro” rispetto alla gente di lì, rispetto a quella terra, e gli dice di andarsene.
Quelle poche parole scrivono la sua condanna. Da quel giorno comincia la sua vita sotto scorta: Roberto ha 26 anni e non è più libero nonostante non sia colpevole di nulla se non del suo coraggio, del suo “avere a cuore”, appunto, la sua terra.
E a proposito di questa virtù, il libro sulle mie gambe si intitola “Solo è il coraggio”.
È la storia degli ultimi anni di vita di Giovanni Falcone e del lavoro meticoloso del pool antimafia voluto prima da Rocco Chinnici e poi da Antonino Caponnetto. È la storia del lavoro di un gruppo affiatato che, partendo dalle piste finanziarie, arriva a inquadrare il fenomeno mafioso come un sistema unitario ben organizzato, e a scoprine le dinamiche anche grazie all’aiuto del primo pentito, Tommaso Buscetta. Un lavoro fatto anche per onorare il sangue e la memoria dei tanti colleghi uccisi per mano di Cosa Nostra in esecuzioni barbare o, come papà Rocco Chinnici, con un’auto bomba.
Dopo il maxiprocesso, Falcone è al culmine della sua carriera, ma viene accusato da più parti di protagonismo e progressivamente isolato. Saviano termina il suo racconto con la morte di Giovanni Falcone in quella che tutti conosciamo come la strage di Capaci che, insieme a lui, uccide anche la moglie Francesca Morvillo, e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Roberto Saviano ha il merito di andare oltre quello che tutti sappiamo sul magistrato Falcone per raccontarci l’uomo Giovanni: l’amicizia con i colleghi, l’amore per la moglie, la paura, la solitudine, il senso di impotenza.
Roberto Saviano racconta questa storia a una platea attentissima, ci lascia con un bagaglio di informazioni e suggestioni che impiegherò qualche giorno ad elaborare.
A fine serata, inaspettatamente per me, si siede a quel vecchio scrittoio e si prepara per un firma-copie. Mi metto in fila anche io, con la mia copia in mano, chiedendomi se non stessi esagerando.
Diciassette anni sotto scorta ma lui non nega, a chi lo voglia, un autografo, una stretta di mano, una fotografia. Dopo aver insegnato tanto con i suoi libri e con il suo racconto, si presta anche a dedicare del tempo a ognuno di noi. Mi aspetto un uomo ombroso, stanco dalla serata, accaldato (almeno, nel frattempo si è tolto la giacca). Mi avvicino, gli faccio una battuta, una delle mie solite, sfrontate, nel pieno stile della mia faccia tosta. Lui mi guarda e scoppia in una risata. Mi stringe la mano. Mi dice grazie. Lui a me.
Forse avrei dovuto parlarvi di più del suo libro, dell’impianto narrativo, del modo in cui è scritto che ti tiene incollato alle pagine pur parlando di cose difficilissime, o della documentazione fortissima che sorregge ogni capitolo. Forse vi aspettavate questo.
Al posto dello scrittore Saviano, vi ho dato uno piccolo scorcio dell’uomo Roberto, che ha un paio d’anni più di me, ma una vita molto diversa da quella di tutti noi.
Sabato, 19 agosto 2023 – n°33/3023
In copertina: Roberto Saviano – Foto: 2011©Giancarlo Belfiore CC BY-SA 2.0