domenica, Novembre 24, 2024

Italia, Politica

SPECIALE SICILIA – Dall’Anti-Mafia all’anti-migrazioni

La Convenzione di Palermo 20 anni dopo

di Giorgia Mirto

Lo scorso venerdì 29 settembre si è tenuto a Palermo un incontro per il ventennale della ratifica della Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale, la cosiddetta “Convenzione di Palermo”. Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio e il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, hanno incontrato nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo – quella che i più attenti ricorderanno come l’aula del Maxi Processo alla Mafia –  le delegazioni di 34 paesi e il Direttore esecutivo Unodc, Ghada Waly, per celebrare “La Convenzione di Palermo e i suoi protocolli sulla tratta di persone e sul traffico di migranti: strumenti giuridici e operativi per affrontare le attività criminose nel contesto del Mediterraneo” – come celebra il titolo della conferenza. Cosa c’entra l’antimafia con la migrazione? Cosa è la Convenzione di Palermo e che uso se ne fa oggi? Quale significato politico ha la celebrazione di questo ventennale?

Il clima della conferenza di Palermo di venti anni fa, che portò alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, UNTOC, era ben diverso da quella attuale, organizzata di nascosto dentro l’aula bunker, senza annunciare l’evento se non a pochi giorni della cerimonia. La cerimonia di apertura di venti anni fa, invece, si svolse al Teatro Massimo, un teatro che funge da centro cerimoniale del rinnovamento di Palermo; gli oratori – da Kofi Annan ai presidenti di Italia e Polonia, fino a Pino Arlacchi, sottosegretario delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine –  hanno elogiato quello che fu definito il “Rinascimento di Palermo”; la città che un tempo era la ‘capitale della mafia’ ora si offriva al mondo come la ‘capitale dell’antimafia’, e i suoi abitanti avevano soppresso, secondo la retorica ufficiale, una ‘cultura favorevole al crimine’ di indifferenza e cinismo a favore di una ‘cultura rispettosa della legge’, di ‘orgoglio civico’, secondo quanto raccontano Jane e Peter Schneider nel loro Un destino reversibile. Mafia, antimafia e società civile a Palermo, edito da Viella nel 2003.

La Conferenza di Palermo è stata il punto di arrivo di una lunga operazione politica messa in atto dalle autorità italiane che hanno cercato di utilizzare l’eredità giuridica di Falcone e Borserllino in un palcoscenico internazionale.

L’UNTOC è l’unica convenzione internazionale che si occupa di criminalità organizzata transnazionale e rappresenta di fatto il risultato di un braccio di ferro tra il governo italiano e le Nazioni Unite, all’interno del quale il primo cercava di aumentare la propria influenza. Già allora si sollevarono parecchie voci contrarie, sia dalla classe della magistratura che dalla società civile, che in piena ondata No Global aveva la forza di protestare per un’antimafia sociale contro le passerelle politiche, come si evince dalla rassegna stampa curata da Libera nel 2022.

La Convenzione è ufficialmente tutelata dal neonato Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, UNDOC, il cui mandato è quello di assistere gli Stati membri nella loro lotta contro le droghe illecite, il crimine e il terrorismo.

Ai fini della nostra analisi, sono rilevanti i supplementi all’UNTOC, ossia il Protocollo contro il traffico di migranti per via terrestre, marittima e aerea e il Protocollo per prevenire, reprimere e punire il traffico di persone, in particolare di donne e bambini (TIP). Nel momento stesso in cui l’ONU si è fatta carico di creare una piattaforma contro il crimine internazionale, quindi, c’è stato anche un accostamento ufficiale tra la lotta alla mafia e la lotta al traffico di migranti.

Inoltre, i protocolli hanno inquadrato la relazione tra trafficante/trafficante e migranti come una relazione predatore-vittima (si veda l’articolo 2 di entrambi i protocolli).  Per quanto riguarda la tratta di esseri umani, secondo il Protocollo TIP (articolo 3), la tratta di persone consiste nell’atto di reclutare, trasportare, trasferire, ospitare o ricevere persone (actus reus) mediante la minaccia o l’uso della forza o di altre forme di coercizione, il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o il dare o ricevere pagamenti o benefici per ottenere il consenso di una persona che ha il controllo su un’altra persona a scopo di sfruttamento (mens rea).

È opportuno soffermarsi su due dettagli rilevanti. In primo luogo, la TIP sottolinea la condizione di sfruttamento, il cui spettro va dalla prostituzione alla schiavitù, e per la quale non solo il consenso del migrante è irrilevante, ma in cui lo scopo dello sfruttamento può essere ugualmente descritto come l’intenzione di sfruttare o la consapevolezza dello sfruttamento.

In secondo luogo, occorre tenere presente che la tratta può avvenire indipendentemente dall’attraversamento delle frontiere e, in effetti, la maggior parte della tratta (fino al 60%) non attraversa le frontiere internazionali, secondo il Rapporto globale sulla tratta di persone 2018 dell’UNODC.

Monumento in memoria del naufragio del 3 ottobre 2013
Foto: 2020©Laura Sestini (tutti i diritti riservati)

D’altra parte, il Protocollo contro il traffico di migranti per via terrestre, marittima e aerea definisce il contrabbando come: “il procurare, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un beneficio finanziario o altro beneficio materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente” (articolo 3).

Vale la pena sottolineare che il contrabbando di esseri umani può essere inteso come una “industria dei servizi” transnazionale che collega i “fornitori di servizi” (i trafficanti di esseri umani) con i loro “clienti” (i migranti contrabbandati). Inquadrato come un’economia di mercato che opera a livello internazionale, non emerge lo spettro del vittimismo, in contraddizione con il quadro della “tratta di esseri umani” in cui – pur essendo secondo la legge italiana – la vittima è, appunto, lo Stato, almeno per quanto riguarda la legge contro gli ingressi illegali.

In Italia, il traffico di migranti è criminalizzato dalla Legge 286/98 (modificata dalla Legge 189/02), comunemente chiamata Testo Unico sulla Migrazione, nominandolo però favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

L’articolo 12 della legge 286/98 definisce: “la promozione, la gestione, l’organizzazione, il sostegno o la conduzione del trasporto di un cittadino di un Paese terzo nel territorio di uno Stato di cui la persona non è cittadina né residente permanente, in contrasto con le disposizioni del Testo Unico”. (traduzione propria)

La codificazione italiana, quindi, non considera “il fine di lucro o di altro guadagno materiale come elemento costitutivo del reato”, come previsto dal Protocollo ONU, ma lo include solo come circostanza aggravante al comma 3 (b) della stessa legge.

Tuttavia, nel 2009, con la legge n. 94 del 15 luglio, intitolata Disposizioni urgenti in materia di sicurezza, il sistema penale italiano ha introdotto lo spettro di un nuovo reato a carico del presunto trafficante. L’articolo 416, comma 6, del Codice penale italiano (l’articolo sull’organizzazione criminale, “associazione a delinquere”) è stato adattato per includere un nuovo aspetto incentrato sul reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sebbene i contrabbandieri potessero già essere incriminati ai sensi dell’articolo 12 della Legge 286/98 – il Testo Unico sull’Immigrazione – questa nuova tipologia distinta di associazione a delinquere includeva una nuova variabile rilevante che consentiva che i processi contro i contrabbandieri fossero condotti dal Pubblico ministero dell’ufficio che si occupa dei casi di antimafia, la Direzione Distrettuale Antimafia (DDA).

È inoltre importante sottolineare la definizione emersa dalla conferenza di Palermo e come essa sia stata inquadrata in modo diverso nel contesto italiano e internazionale, ovvero il punto centrale dell’UNTOC, la definizione di organizzazioni criminali.

Prima del 2000, infatti, l’Italia era l’unico Paese a includere la definizione di “associazione a delinquere” all’interno della propria legislazione nazionale, basandosi sulle disposizioni dell’articolo 416-bis, che include una definizione di organizzazione criminale modellata sulla categorizzazione delle caratteristiche tipiche della mafia siciliana e di altri gruppi analoghi dell’Italia meridionale (ad esempio, omertà, sottomissione a una gerarchia, punizione per chi esce dall’organizzazione, ecc).

Grazie alla conferenza di Palermo, si è raggiunto un accordo internazionale su questa definizione e quella che in Italia era stata definita “associazione a delinquere” è stata tradotta nell’UNTOC come “gruppo criminale organizzato” che “indica un gruppo strutturato di tre o più persone, esistente per un periodo di tempo e che agisce di concerto allo scopo di commettere uno o più crimini o reati gravi stabiliti in conformità con la presente Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale” (UNTOC, art. 2, a).

Sebbene non sia possibile in questa sede entrare nel dettaglio delle due definizioni, vale la pena sottolineare che la definizione di mafia rimane al centro di un animato dibattito tra gli studiosi e che la categoria giuridica data dall’antimafia è solo una versione di queste (per approfondimenti, si rimanda al lavoro dello storico Salvatore Lupo).

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, poiché l’articolo 416 (6) si applica anche al reato di traffico di migranti – stabilendo pene specifiche per l’appartenenza a un’organizzazione criminale finalizzata alla commissione di determinati reati, tra cui la tratta di persone e il traffico di migranti – i casi di traffico di migranti e di tratta di esseri umani potrebbero essere indagati dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA), ovvero l’organo investigativo del Ministero dell’Interno dedicato alla prevenzione, al contrasto e al perseguimento della criminalità organizzata.

Le attività della DIA si concentrano principalmente sulla lotta alla mafia e ad altre forme di criminalità organizzata transnazionale e, a causa delle sovrapposizioni nel quadro della mafia e del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, è diventata anche l’autorità italiana incaricata di prevenire, combattere e perseguire i reati legati al traffico di migranti. Infatti, nel 2000 il Presidente della Commissione Antimafia, Giuseppe Lumia, ha descritto le operazioni di smuggling come attività criminali orchestrate da reti criminali transnazionali di stampo mafioso; inoltre, è stato evidenziato come l’approccio anti-smuggling adottato dalla DIA italiana sia stato fortemente influenzato da specifiche strategie tratte dall’approccio antimafia, come sottolineato dagli studiosi Vincenzo Militello e Alessandro Spena.

Ora che abbiamo notato l’operazione di framing effettuata dalle autorità italiane sia a livello nazionale che internazionale, al fine di incorporare le narrazioni del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina all’interno dello spettro di un’organizzazione mafiosa, ci vengono in mente una serie di domande. Quali effetti produce sulle indagini contro gli scafisti? Quali effetti ha sulla legge stessa? Quali sono le procedure e i processi attraverso i quali uno scafista viene definito come mafioso? Quali risultati ha prodotto? Queste domande aprono una ricerca interdisciplinare che intreccia studiosi di mafia e antimafia con ricerche sul traffico di migranti e sulla tratta di esseri umani, una forma di ricerca ancora da sviluppare. A livello micro, si cerca di capire la procedura di adattamento del sistema giuridico antimafia ai casi degli scafisti, mentre a livello macro si affrontano le questioni dell’uso strumentale dello spettro della mafia e delle organizzazioni criminali internazionali più in generale per diverse rivendicazioni in ambito internazionale.

Per approfondimenti su come il framing della lotto alla mafia venga utilizzato per criminalizzare le migrazioni, basti pensare ai processi contro le ONG, in cui finalmente i Procuratori credono di trovare delle organizzazioni internazionali. Un altro esempio è la persecuzione dei cosiddetti scafisti, ovvero i capitani delle navi dei migranti. L’analisi del quadro giuridico e le gravi violazioni dello stato di diritto riguardanti la loro persecuzione di possono trovare nel report Dal Mare al Carcere, prodotto dal Circolo ARCI Porco Rosso, in collaborazione con l’associazione Borderline Europe e Alarmphone.

Il ventennale della sigla della Convenzione di Palermo entra quindi dentro un lungo processo di riciclo della legislazione antimafia e della sua interpretazione in chiave anti-migrazione. Non sappiamo cosa sia avvenuto dentro l’aula bunker la scorsa settimana, le ricostruzioni giornalistiche del prima e del dopo scarse, e forse dovremo attendere per vedere gli effetti di questo incontro. Ciò che sappiamo però è che al centro dell’iniziativa è stata la questione degli accordi con i paesi di transito e di origine nella lotta contro l’immigrazione illegale. Da anni questi accordi si traducono nella collaborazione con autorità nazionali che non rispettano i diritti umani e non garantiscono alle persone migranti alcuna tutela di fronte agli abusi subiti dai trafficanti, ma anche dalle milizie e dai reparti militari impegnati nel controllo delle frontiere e nel contrasto dell’immigrazione clandestina. Per approfondimenti è utile leggere il blog del giurista esperto di migrazioni Fulvio Vassallo Paleologo.

Come denunciato dalle numerose organizzazioni che hanno promosso una azione di protesta in occasione del ventennale della Conferenza di Palermo “accordi come quello siglato con la Libia non contrastano la criminalità organizzata ma la favoriscono, finanziando direttamente, con le nostre tasse, autorità e milizie accusate di crimini contro l’umanità e che dal traffico di esseri umani traggono costante profitto. Accordi come quello con la Tunisia legittimano prove di dittatura e destabilizzano i Paesi incrementando soltanto la necessità di fuggire e le pratiche di sorveglianza violenta delle frontiere, con l’abbandono e le catture in mare e nel deserto. Questi accordi sono illegali e condannati dalle stesse Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa”.

 “I veri criminali organizzati siete voi” riportavano i cartelloni in piazza, perché non è nel nome della lotta alla mafia e nel suo portato politico e sociale che si può fare la guerra ai migranti.

Sabato, 7 ottobre 2023 – n°40/2023

In copertina: il monumento al naufragio di Steccato di Cutro (KR) – Foto: 2023©Laura Sestini (tutti i diritti riservati)

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