La propaganda sionista über alles
di Laura Sestini
Mentre da tutto il mondo aumenta il sostegno nei confronti dei Palestinesi massacrati a migliaia sotto il violentissimo attacco indiscriminato israeliano sui civili e le strutture nella Striscia di Gaza, e nei porti si boicottano le spedizioni di armi verso Israele, anche migliaia di pacifisti israeliani si aggiungono alle proteste contro la guerra e prendono parte a manifestazioni in tutto il Paese, chiedendo al Governo di garantire l’immediato rilascio dei ostaggi rapiti da Hamas e allo stesso tempo le dimissioni del Primo ministro Benjamin Netanyahu.
Sui cartelli in mano ai manifestanti si possono leggere frasi come “Israeliani per il cessate il fuoco”; “un massacro non ne giustifica un altro”; “salvate tutti i bambini, cessare il fuoco subito”; “bombardare gli ospedali, rifiutare l’acqua, fame forzata, massacrare i bambini, questa non è autodifesa”.
Come era accaduto precedentemente alla guerra su Gaza, contro le decisioni governative che avevano tolto potere alla magistratura, ancora una volta le proteste più consistenti si sono svolte a Tel Aviv, dove i manifestanti hanno marciato verso la sede generale delle forze di difesa israeliane – IDF – della città, mentre gli slogan accusavano Netanyahu di non garantire il rilascio delle persone rapite durante il 7 ottobre dai militanti di Hamas, e chiedevano lo scambio dei prigionieri: donne e bambini israeliani in ostaggio, ed il rilascio di donne e minorenni detenuti nelle prigioni dello Stato di Israele (dove sono permesse anche le torture sui bambini).
Da fonti non ufficiali, le trattative sul baratto dei prigionieri paiono sulla giusta direzione, ma non si può ancora dire con certezza, e nonostante Netanyahu non abbia molte altre alternative per recuperare gli ostaggi che, insieme ai Gazawi e le forze di resistenza di Hamas, sotto i bombardamenti israeliani hanno lo stesso scenario di morte e probabilità di rimanere vittime dei fuochi incrociati. Il patteggiamento è in corso, con il Qatar che funge da intermediario.
Da Tel Aviv è anche partita una marcia dei familiari degli ostaggi, dalla piazza ormai denominata “Piazza degli ostaggi”, nei pressi del Museo d’Arte della città. L’obiettivo della colonna di persone, che espongono le foto dei loro cari, è marciare per cinque giorni e concludere il percorso il18 novembre a Gerusalemme, davanti alla residenza del premier Netanyahu, in concomitanza della fine dello Shabbat – la Festa ebraica del Riposo celebrata ogni sabato – per chiedere la liberazione degli israeliani rapiti dagli uomini di Hamas e trasferiti nella Striscia di Gaza.
In una recente conferenza stampa, il presidente statunitense, Joe Biden, ha affermato che “dopo la guerra, la soluzione dei due Stati è l’unica risposta alla guerra Israele-Hamas”, ma allo stesso tempo da oltreoceano non si smette di inviare miliardi di dollari ed armi a Israele, Stato legatissimo agli Stati Uniti per l’intelligence e la fabbricazione di armamenti ad altissima tecnologia, sovvenzionato con 3,8 miliardi di dollari all’anno, oltre a fungere da trampolino di lancio per il controllo del Medio Oriente. Attraverso questa retorica, i piedi del Presidente Usa rimangono posizionati su più scarpe, poichè l’anno prossimo ci saranno le elezioni, ed è obbligato ad agire cautamente con la grande comunità ebraica statunitense, che sonoramente finanzia le campagne elettorali.
L’accerchiamento delle forze IDF dell’ospedale di Al-Shifa a Gaza City è qualcosa di disumano mai visto prima, mentre mancano carburante e ossigeno, ed i ricoverati – neonati, feriti, anziani, e persone che necessitano operazioni chirurgiche urgenti – sono obbligatoriamente lasciati a loro stessi dal personale medico, a causa dell’invasione dei militari israeliani dentro la struttura che ha bloccato le attività in molti reparti.
L’operazione militare contro l’ospedale è in fervente attività a causa della convinzione – o ciò che cercano di indurre a credere all’opinione pubblica mondiale i media locali, nella lunga sequenza di fake news e propaganda sionista (da non confondere con l’ebraismo e l’antisemitismo) dal 7 ottobre ad oggi, una su tutte i 40 bambini decapitati – che ci sia entro le mura del presidio sanitario un covo di Hamas. L’informazione è purtroppo limitata e di parte, poichè i giornalisti occidentali non sono ammessi dentro l’ospedale – solo un gruppo di operatori della BBC ha avuto un breve e parziale accesso – e riporta notize di ritrovamento di kalashnikov, qualche granata e alcuni computer con importanti file riguardanti informazioni sugli ostaggi.
Ci si deve chiedere perché i presunti miliziani fuggitivi di Hamas, di cui nell’ospedale non si è trovata traccia effettiva – che ha scaturito al momento solo arresti di uomini palestinesi come da routine quotidiana – avrebbero dovuto lasciare in quel locale sotterraneo proprio i loro preziosi computer. I casi plausibili potrebbero essere almeno tre: le informazioni ivi contenute non sono importanti; le informazioni sono un volontario depistaggio, sempreché realmente uomini di Hamas fossero rintanati sotto l’ospedale; una messa in scena israeliana per acquietare temporaneamente le proteste delle famiglie degli ostaggi o tout-court chi contesta l’efferata risposta bellica contro la popolazione civile palestinese, con il deterrente “Hamas”.
Di fatto, nell’ospedale, dei militanti di Hamas non c’è traccia; ma con totale certezza migliaia di persone, tra medici, personale sanitario, malati e famiglie di sfollati, sono rimaste lì intrappolate. Ancora più certi sono i degenti che continuano a morire per mancanza di cure e di corrente elettrica, insieme ai neonati prematuri. Nessuna compassione dei politici israeliani e occidentali, un silenzio inquietante avvolge l’estrema violazione dell’ospedale di Al-Shifa, di cui nessuno si presta a contestarne apertamente l’occupazione militare israeliana. Un simile movimento bellico è prevedibile nel prossimo futuro per i residui presidi medici ancora attivi a Gaza City.
E forse vedremo anche situazioni peggiori, poiché la politica israeliana non sa come gestire l’evoluzione del dissenso interno, su cui si lancia la task-force, appositamente istituita e guidata dal ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, per cui anche i cittadini israeliani non consensienti alla guerra, spinta dall’estrema destra e da Netanyahu contro Gaza, vengono arrestati e processati.
Tale è il caso di un insegnante di storia, Meir Baruchin, licenziato e condotto agli arresti per aver postato sui social messaggi contro la guerra sulla Striscia di Gaza e l’uccisione di civili palestinesi in Cisgiordania da parte dei coloni e delle forze IDF; oppure la retata di politici arabo-israeliani – tra cui Mohammad Barakeh – ex membro del Parlamento israeliano/Knesset – accusato di essere diretto ad un evento contro le operazioni militari, arrestato in virtù della censura sulle manifestazioni di condanna per la guerra in atto a Gaza, attuata dalle autorità israeliane.
Le principali accuse mosse agli arrestati, studenti universitari, sanitari e altre categorie di cittadinanza sono di incitamento o sostegno al terrorismo, e identificazione con Hamas.
Dal 7 ottobre, secondo il Committee to Protect Journalists – Cpj – sono stati uccisi 39 giornalisti, di cui 31 erano palestinesi, quattro israeliani e uno libanese. Una precisa strategia bellica israeliana contro gli operatori dell’informazione, il cui peggior nemico attualmente sembra Al-Jazeera.
Sabato, 18 novembre 2023 – n°46/2023
In copertina: slogan pacifisti israeliani contro la guerra a Gaza