mercoledì, Dicembre 11, 2024

Società

Indovina chi viene a cena?

Mister P.

di Samanta Giannini

Solitamente i miei più grandi ispiratori, tra una lacrima amara e l’altra, sono i TG e i Talk show, ma questo giro ci ha pensato uno dei colossi gastronomici della tipicità italica. Penserete mica alle Farfalle che..  dove c’è “lei” c’è anche casa? No, ma è uno che con le “farfalline” va molto d’accordo.

Pare che questa prelibatezza sia tra i prodotti più esportati nel mondo; negli ultimi anni il suo apprezzamento è schizzato ad un +20% in Asia, mentre in Europa a risultarne il più ghiotto è il popolo spagnolo. L’avreste mai detto? Io no, per nulla! Chi mi conosce sa che ho una certa predilezione per la cucina, ma riflettendo e scandagliando tutti i file della memoria, arrivo alla conclusione di non averlo mai comprato, mai mangiato né, tanto meno “cucinato” però, or che mi sovviene, più di una volta, nella vita, l’ho incontrato! Toh, c’ho fatto pure la rima.

La sua storia è quella classica, dell’emigrato dal Sud che si è fatto da solo nel grande e nebbioso Nord; per esistere, a lui occorrono grandi quantitativi di latte, di conseguenza tante, tantissime vacche da mungere. Giusto per farvelo sapere le più adatte sono le Frisone. Germaniche per genoma, da qualche centinaio di anni gradiscono i più miti climi italiani; nonostante l’imponente stazza che arriva a sfiorare il peso di una tonnellata, l’altezza sopra la media le rende, di fatto, longilinee e gradevoli alla vista (ehm, beh, son crucche!). Come tutte le femmine di spessore hanno un caratterino decisamente poco mansueto, diciamo pure che sfiorano il nervosetto andante, ma è questa loro vivacità che le fa così particolarmente produttive.

Le cascine dell’oltre Po e quelle di qua dal Po, diventano alla metà dell’Ottocento, la Mecca dei piccoli produttori del meridione e fanno di  lui l’American Gigolò della Bassa Padana. Questo gran bel pezzo di produzione casearia è il figlio prediletto della modesta formaggella campana: la provola, dalle cui umili origini materne differisce per dimensioni e stagionatura. Parliamo proprio di lui, l’unico vero, inimitabile figlio di provola: il “Provolone”.

C’è chi lo definisce, testuali parole, un prodotto “capace di stagionare a lungo senza stancarsene”; in poche parole invecchia, si, ma solo esternamente e neanche troppo. Con la complicità di madre natura e di qualche additivo, fa di tutto per mantenersi in “forma”. Luccica, brilla e volteggia nel tempo; un tempo che per lui sembra non passare mai. Nel corso della sua stagionatura, lui non conta i minuti,  le ore, i giorni, manco i mesi; lui non ha fretta, butta il tempo oltre l’ostacolo, è uno che sa attendere, e l’attesa, si sa, aumenta il desiderio della cuoca, una qualsiasi, l’importante è che se lo compri e lo cucini nel migliore dei modi!

Il vero provolone lo riconosci dal marchio, che ovviamente deve essere bene in vista; la griffe in bella mostra è di fatto il suo tratto distintivo, senza quello risulterebbe un formaggione Laqualunque.

Nella setta degli slow, “Monaco”, lo è solo di nome, la clausura non fa certo per lui! Complice un marketing spinto ed un paio di certificazioni che, almeno sulla carta, ne comprovano la autenticità, per lui la cosa più importante è non uscire dal mercato, mai.  Rimanere in commercio, sulla piazza, è il suo obiettivo, costi quel che costi ; farsi vedere, presenziare in più vetrine, orbitare, lanciare un’offerta speciale,  tutto è lecito purché sia notato, del resto la pubblicità, si sa, è l’anima del commercio!

Sarà per la dimensione, sarà per quello splendere di luce propria, sarà per quella forma tipica, sarà per quell’anima fresca nonostante lo scorrere del tempo, lui, Garibaldino Dop, unisce tutte le cuoche e fa l’Italia, da Nord a Sud. La sua è una mission. Caparbio come pochi, se non entra nella cucina di qualche femmina, almeno una volta a settimana, ne va del suo nome. Per lui è una questione di virilità culinaria, di orgoglio, insomma un vero latticino italico.

Forma di provolone
Foto: Luisella Planeta/Pixabay

Il provolone può essere dolce o piccante, dipende dal menù. Ottimo con tutte le paste, lunghe, corte, fresche, secche, “chiatte” e colorate; non è uno che bada troppo alle forme o alle dimensioni, l’importante è che lo si mangi, tanto lo stomaco non ha mica occhi, giusto? La sua fama non gli fa, però, dimenticare le sue umili origini e all’occorrenza, se il piatto piange, si immola anche alla causa dei ritagli, degli scarti di pastificio: le “pastine”. In poche parole a lui vanno bene anche quei formati che i grandi Chef non degnerebbero di uno sguardo.

C’è da dire, però, che per quanto si voglia spacciare per formaggella di valore, la sua capillare diffusione lo rende di fatto molto inflazionato e nonostante si venda a caro prezzo non lo si può certo definire un prodotto di nicchia. Niente a che vedere con quei rari, rarissimi formaggi di malga, di alpeggio, di maso, quelli che per averli devi andare a scovarli e, attenzione, non è detto che tu li trovi, la loro disponibilità è sempre più limitata.

Mister P. lo trovi ovunque, sia nella grande distribuzione che al dettaglio, ma è solo grazie ad Internet, che, da quasi un ventennio, presenzia capillarmente in ogni dove. Questa Era digitale lo ha avvantaggiato e non poco. Se un tempo presenziava, de vivo, alle cene di gruppo o a qualche evento pubblico, ora ti appare in ogni angolo del globo internauta.

Maestro indiscusso del marketing social, si sponsorizza ovunque: Instagram, Facebook, Tik Tok,  ma è su Tinder che dà il meglio di sé! Lo possino! Oh del resto, in questo mondo globalista, non vorrai mica che l’unico a porsi limiti e confini sia proprio il “bell’Antonio della produzione casearia”? Ben confezionato e pronto all’uso, come fai a dire di no a cotanto pezzo di cacio??? Impossibile.

Di color dorato, impera su tutti i banconi d’Italia come un bel principe, si, ma mai “consorte”: inutile farsi illusioni. Lui sta lì, solitamente appeso, con quell’aria di quello che ti ammicca ma non troppo, di quello che si fa desiderare ma con limiti, di quello che si espone apparentemente molto ma alla fine se lo vuoi veramente, come dicono a Livorno “ti devi frugare”, ovvero devi pagare.

Mister P. è quello che “non deve chiedere mai”. Complice questa sua veste impeccabile, si vende come il buon padre di famiglia della gastronomia 3.0 attaccato alle tradizioni, come un cocker da divano; ma non fatevi  prendere da facili entusiasmi, purtroppo, ahinoi, nel Dna ha inciso il gene dell’infedeltà. Sornione come un aristogatto ti illude che sia adatto solo per alcune preparazioni, ma poi scopri che se la fa con una vastità di pietanze.

Il Provolone, che sia dolce o pungente, non fa differenza, lui è molto versatile, versatillissimo, praticamente se la fa un po’ con tutto quello che c’è in commercio. Tu lo vorresti gratinare sulla patata?  Ti giri per prendere la teglia   e lui è già pronto a stendersi su una pagnotta, così, schietto, a crudo e senza neanche un goccio d’olio. 

Mister P.  ha il fiuto di un cane da penna e la tenacia del provinatore seriale, ti spinge in cucina anche sei avvezza a bruciare l’acqua del tè.

“Signora? Gradisce?” , “No grazie, gentilissimo” ,“Ah, signora non sa cosa si perde.” “Via su, oh allora fammelo assaggià”. Te lo avvicini al naso, il suo profumo ti inebria, ti avvolge, non puoi resistere, lo assaggi e taaacccc, ora lui lo sa, sa che tu non vedrai l’ora di cucinarlo. Cara fanciulla dalla cucchiarella argentata, sei avverita, ti salvi solo se hai una forte, fortissima e certificata intolleranza al lattosio!

Spostiamoci ordunque ai fornelli e proviamo a lavorarlo, che sarà mai sto Provolone? Sempre di formaggio stiamo a parlà, eh! Facile cucinare un provolone? Eh no, non proprio.

Dall’aspetto integro, sodo, insomma tutto d’un pezzo, quando lo apri, dentro lo trovi abbastanza morbido, ma non cadere nella truffa, ho detto semi-morbido, non molle. Se la durezza della buccia è pura apparenza, anche la tenerezza interna vi può trarre in inganno. Ad ogni modo, una volta scartata la crosta, non edibile, accese le fiamme, scopri che a fuoco  basso o vivace, poco cambia, lui “fila”, fila molto,  soprattutto all’inizio, ma guai a farlo raffreddare eh! Se non lo gusti subito, così nel pieno del suo struggimento, si irrigidisce e ciao bella (non bella ciao!) non te se fila più!

A conclusione di questo trattato caseario, forse, e dico forse, la cosa migliore da fare è non andarselo propriamente a cercare. Nel caso in cui però te lo dovessi ritrovare tra le mani, in cucina, che ne so nel cesto di Natale,  taglialo a tocchetti, meglio piccoli perchè in bocca allappa e mangialo subito, che ne so, con un filo di miele e per non fare proprio apetristezza, butta tutto giù con un bel bicchierotto di vino!  

Non stare a spignattare gioia mia,  ma se proprio vuoi farlo devi essere cosciente che, lex dura lex, un Provolone…. non può filare per sempre!!

Sabato, 13 gennaio 2024 – Anno IV – n°2/2024

In copertina: immagine dal film di animazione “Ratatouille” di Brad Bird e Jan Pinkava

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