Cronache note e ignote sull’autore di “Norma”
di Cafe Arte/ Ognyan Stambolev
Il giovane Vincenzo Bellini era famoso non solo per il suo grande talento, ma anche per la sua bellezza.
La grande prima donna del XIX secolo, l’italiana Giuditta Pasta (1797 – 1865 ) fu musa ispiratrice, favorita e prima interprete dei ruoli principali nelle opere di Vincenzo Bellini, quali Norma, Il Pirata, Sonnambula, Beatrice di Tenda e Capuleti e Montecchi.
Nell’Ottocento fu autore di Casta Diva o Dea Immacolata, aria di Norma tratta dall’opera omonima, considerata una delle più belle di tutti i tempi. Vincenzo Bellini (1801-1835), detto il “Mozart di Catania”, debuttò come bambino prodigio, visse brevemente, creò intensamente e morì improvvisamente in circostanze misteriose. Si presume, ma tuttora non è stato del tutto provato, che sia un delitto per avvelenamento.
Rosario Bellini, padre di Vincenzo era l’organista della cattedrale di Catania; il bambino Vincenzo scrisse infatti la prima composizione sotto la sua guida, quando aveva solo sei anni. A diciotto anni si diplomò con il massimo dei voti al Conservatorio “Alessandro Scarlatti” di Napoli – nella classe di composizione dell’allora famoso maestro Zingarelli, e scrisse la sua prima opera Adelson e Salvini. Alla prima era presente l’onnipotente impresario Giuseppe Barbaja, e questa si rivelò essere la grande occasione per il maestro in erba, poiché il debuttante ricevette un lucroso contratto per la sua seconda opera.
L’opera, che si intitolò Bianca e Ferrando venne valutata allora la cospicua somma di 300 ducati d’oro e andò in scena al teatro San Carlo di Napoli. Nella prima metà del XIX secolo l’Opera fiorì e divenne un’arte maggiore, al centro della vita spirituale e sociale degli europei, in cui, fortunatamente, ancora non c’erano non ci sono televisione e campionati di calcio.
Il successo strepitoso di Bianca e Ferrando – meraviglioso melodramma – non salvò il giovane Bellini dalla prima grande delusione della vita, che lasciò una profonda ferita nella sua anima. Chiese la mano della bella Maddalena Fumaroli, unica figlia di un influente aristocratico napoletano. La ragazza condivideva i suoi sentimenti, ma il suo arrogante padre non accettava Bellini a causa della sua povertà e della sua bassa origine.
Quindi il giovane, ambizioso, giurò che sarebbe diventato un musicista famoso e ricco. Iniziò febbrilmente a lavorare su una nuova opera Capuleti e Montecchi, basata sulla tragedia di Shakespeare Romeo e Giulietta, con la quale ottenne un notevole successo non solo in Italia, ma anche in numerosi paesi dell’Europa occidentale. E dopo il successo mondiale di Norma, nel 1831, i suoi concittadini coniarono una medaglia con la sua immagine, sulla quale scrissero “A Vincenzo Bellini di Catania – Orgoglio dell’arte musicale”.
Bellini considerava Norma il suo capolavoro: un’alta tragedia con una trama antica basata sul libretto del poeta Felice Romani. Con tanto zelo non lavorò a nessun’altra opera. La famosa aria Casta Diva/Dea Immacolata venne scritta in otto variazioni per raggiungere la sua versione finale, che oggi conosciamo soprattutto dalla notevole, e finora insuperata, interpretazione della grande Maria Callas.
È interessante notare che per la prima edizione dell’opera l’aria non era ancora stata scritta e la prima fu un vero fiasco. Infine divenne l’emblema di tutta l’opera di Bellini. Ad oggi Casta Diva è una specie di successo eterno.
Foto: Giovanni Dall’Orto
I contemporanei del compositore affermavano nei loro ricordi di Bellini che fosse troppo modesto, ambizioso, mapiuttosto timido. Il successo e la fama che lo aveva raggiunto troppo presto, non lo aveva cambiato affatto. Con grande fatica e tenacia, i grandi impresari dell’epoca riuscirono comunque a convincerlo ad andare a lavorare a Parigi, allora capitale culturale e musicale d’Europa e del mondo. Nella città sula Senna fu accolto dal generoso e magnanimo suo giovane collega Gioachino Rossini, che divenne suo tutore e maestro.
L’autore dell’immortale Figaro decise di rivelargli alcuni segreti della composizione e, in particolare, dell’orchestrazione, per introdurlo allo stile della Grand-Opéra francese allora in voga. Il frutto di queste ricerche belliniane fu il canto del cigno – il suo undicesimo grande dramma musicale romantico I Puritani (1835), basato sull’omonimo romanzo di Sir Walter Scott. La prima fece scalpore a Parigi, ma nonostante il successo e il denaro, il compositore decise di tornare nella sua nativa Catania: era difficile per lui prosperare nel trambusto e nel rumore della città cosmopolita.
Il mistero che circonda la morte improvvisa del Mozart di Catania non è ancora stato risolto.
Proprio in quel periodo, il colera – allora una malattia quasi incurabile! – invase la Francia attraverso il porto di Tolone, giunto dall’Oriente, e questo gli impedì di viaggiare. Il giovane maestro accettò l’invito insistente e gentile di un suo ammiratore, l’agente di borsa Samuel Levy, a visitare la sua villa vicino a Parigi.
Levy, infatti, aveva affittato un piccolo castello nella cittadina di Puteau presso la sua amante, Olivia Cordet, ex cortigiana parigina. L’astuto Levy riuscì subito a coinvolgere l’inesperto Bellini nelle sue macchinazioni borsistiche, e così perse, abbastanza rapidamente, quasi tutta la sua fortuna duramente guadagnata, circa 30mila franchi.
Nell’autunno del 1835 Bellini si sentì molto male, si ammalò di una grave malattia allo stomaco di origine sconosciuta. Alcuni suoi amici e conoscenti, tra cui il poeta Heinrich Heine, chiesero di fargli visita per vederlo e aiutarlo. Ma Levy non permetteva le visite di nessuno. Il 23 settembre 1835 il giovane maestro morì senza essere stato preventivamente curato e visitato da un medico. Molti allora dissero che fosse stato avvelenato dal disonorevole e avido Samuel Levy, per i suoi averi, ma questa versione non è stata del tutto indagata e comprovata.
Fino ad oggi Maria Callas è rimasta l’insuperabile Norma di Bellini: la registrazione con la sua performance è stata un punto di riferimento ed ha continuato ad essere pubblicata ininterrottamente dagli anni ’50 fino ai giorni nostri.
Sabato, 10 febbraio 2024 – Anno IV – n°6/2024
In copertina: disegno per la copertina del libretto di Norma – Archivio Storico Ricordi