Modello penitenziario alternativo
di Laura Sestini
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” – articolo 27 della Costituzione. E’ questa la frase che si legge appena si arriva al porticciolo dell’isola-carcere di Gorgona, scritta a caratteri cubitali sul muro perimetrale del piccolo borgo colorato, unico esistente nella più piccola isola dell’Arcipelago Toscano, poco più di due chilometri quadrati di territorio, circondati da acque turchine, 37 miglia al largo della città di Livorno.
Le notizie che giungono dagli istituti penitenziari italiani sono allarmanti, già 15 sono i detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio del 2024, mentre il sovraffollamento è divenuto ormai una malattia cronica, tant’è che l’Italia è già stata ammonita dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Oggi i detenuti degli istituti penali italiani sono infatti 60mila, oltre 10mila in più dei posti realmente disponibili e con un tasso di sovraffollamento ufficiale del 117,2%, aumentati di 4000 unità nel 2023.
Nel tentativo di risolvere la questione, il Governo Meloni avrebbe intenzione di “spedire” i detenuti di origine albanese verso l’Albania – attraverso il recente Accordo siglato con il premier Edi Rama per la realizzazione di centri per i migranti in arrivo in Italia che verrebbero reindirizzati dall’altra parte del Mar Adriatico – e la possibilità di aprire altri edifici detentivi sul territorio nazionale.
Parlare apertamente di “istituzioni totali”, in Italia, è ancora un tabù, quasi niente di cosa succede realmente entro le mura carcerarie riesce a raggiungere all’esterno l’opinione pubblica con una informazione puntuale, non tendenziosa o criminalizzante nei contronti di chi sconta la propria pena.
Ma parlare di detenzione, della qualità della vita carceraria è indispensabile, e ancora di più cercare e/o applicare le misure alternative alla detenzione, come prescrive la legge stessa, per “rieducare” il reo alla società delle persone “perbene”.
“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione” – affermava già Alexis de Tocqueville, alla Camera dei deputati francese il 27 janvier 1848, dopo un lungo viaggio negli Stati Uniti. De Toqueville oggi è considerato uno di precursori della moderna sociologia.
Quindi quale migliore occasione, per uno spunto di discussione sul tema, ed anche una visione futura per misure carcerarie a dimensione più umana, se non il docufilm Gorgona, di Antonio Tibaldi, premiato come miglior documentario al Festival dei Popoli 2022, girato sull’isola-carcere di Gorgona? Un evento molto partecipato per la proiezione del documentario è stato organizzato recentemente dal Comitato “Libera” di San Vincenzo, presso il Teatro Verdi della cittadina livornese.
La proiezione è stata preceduta da un incontro pubblico con l’attuale direttore del carcere, Giuseppe Renna, dirigente anche dei carceri di Livorno ed Arezzo, con il suo predecessore, Carlo Mazzerbo rimasto in carica alla Gorgona per 15 anni, e con Beatrice Massaza – titolare dell’azienda Santissima Annunziata – la quale collabora da anni con il carcere dell’isola con progetti di formazione e reinserimento sociale dei detenuti.
La presenza in loco dei due funzionari del Ministero della Giustizia, Renna e Mazzerbo, ha dato modo agli spettatori presenti di porre numerose domande, e fruire di informazioni puntuali sul modello detentivo alternativo che viene praticato nella colonia penale di Gorgona, dove sono presenti circa 85 detenuti, che qui scontano la parte residuale della loro condanna, e 24 agenti di polizia penitenziaria, oltre a qualche residente autoctono.
Il modello detentivo vincente praticato sulla piccola isola toscana è tenuto insieme attraverso il senso di comunità che si viene a creare tra i detenuti, tutti di sesso maschile e di varie nazionalità e regioni italiane.
Nella colonia penale dell’isola di Gorgona una parte degli ospiti lavora all’aria aperta, nelle vigne dei Marchesi Frescobaldi, dalle quali, da qualche anno, vengono prodotti un vino bianco ed uno rosso consumati nei ristoranti a cinque stelle della Toscana.
Oltre alla produzione del vino, si produce miele, formaggio, olio, vengono coltivati ortaggi ed inizialmente anche allevati animali da macello e da latte, prevalentemente capre, mucche e maiali.
Carlo Mazzerbo racconta numerosi aneddoti della sua lunga esperienza sull’isola che, sebbene sia collegata regolarmente alla terraferma, rimane comunque un esperimento di ingegno e di sopravvivenza quotidiana alle potenziali evenienze che possono capitare, per esempio il dissalatore dell’acqua marina che improvvisamente smette di funzionare e lascia tutti all’asciutto. La narrazione dell’episodio compare anche sul docufilm.
Il modello detentivo alternativo di Gorgona – distaccamento della casa di reclusione di Livorno – cerca di essere autosufficiente, per quanto possibile, a se stessa. Ed è proprio questo il collante che riesce a far collaborare i detenuti ed anche gli agenti di polizia carceraria, al funzionamento di tutto ciò che è indispensabile. I detenuti, in maniera spontanea mettono a disposizione anche le competenze personali, per esempio di meccanica idraulica per far ripartire il dissalatore.
Mazzerbo ricorda come con la riforma del Regolamento penitenziario del 1975, poi attivato nel 1989, nessuno degli agenti penitenziari volesse essere trasferito sull’isola, perché se il paesaggio e il mare sono un paradiso, oltre questi non esiste un minimo frammento della vita in terraferma.
Ad oggi il senso di percezione di isolamento che può trasmettere questo gioiello roccioso in mezzo al mare si è invertito, e molti agenti vorrebbero passare qui un periodo di lavoro, a causa del caos in cui versano le carceri italiane e l’alto numero di soggetti psichiatrici che risultano negli istituti penitenziari toscani.
Tra le attività dei detenuti risulta la cura degli olivi, tra cui ritroviamo la rarissima varietà di Oliva bianca di Gorgona, solo circa 20 olivi in Italia, riscoperta una decina di anni fadall’agronomo livornese Francesco Presti, e censita tra le cultivar nazionali alla Banca Regionale del Germoplasma della Toscana. Attraverso gli olivi presenti sull’isola è stato attivato un progetto di reinserimento sociale, guidato da Beatrice Massaza, proprietaria di una azienda agricola che produce prevalentemente olio extravergine di oliva, e il Ministero della Giustizia. Talvolta, gli ospiti avviati a questo specifico lavoro agricolo, passano dei brevi periodi in azienda per uno stage a 360° sulla produzione dell’olio. L’azienda ha un frantoio interno per la lavorazione delle olive e la produzione in proprio dell’extravergine.
Il documentario di Tibaldi risulta molto interessante, un reale spaccato di vita degli ospiti della colonia penale di Gorgona. In un punto il filmato presenta dal vero la macellazione di una capra, a partire dallo scannatoio. La scena è molto forte, cruda, violenta, inaspettata. Una coppia si alza dalle poltrone ed esce dalla sala, forse con il timore di altre scene simili. Alla fine della proiezione l’attuale direttore Giuseppe Renna ci tiene a precisare che il mattatoio è stato smantellato. Se la riabiltazione dei detenuti deve avvenire tramite la pratica della non violenza, il mattatoio rappresentava un esempio errato, pensato alla soddisfazione alimentare ma non quella intima, verso un futuro più roseo.
Al posto del mattatoio è stato istituito uno spazio per discutere di pratiche educative non violente, utili anche alla vita delle persone libere.
Sabato, 10 febbraio 2024 – Anno IV – n°6/2024
In copertina: isola di Gorgona (LI) – Foto 2020©Laura Sestini (riproduzione vietata)