L’Italia con il referendum si schierò contro l’energia nucleare
di Maurizio Marchi – Medicina Democratica Livorno
Il 26 aprile 1986 – 38 anni fa – saltava la centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina: se ne accorsero per primi i lavoratori di una centrale nucleare svedese, di fronte al silenzio delle autorità sovietiche, che misurarono il carico radioattivo della nube tossica, trasportata dal vento. Dopo il loro allarme, anche in Italia il ministro della Protezione civile Zamberletti cominciò ad emettere misure sugli alimenti vegetali, sui formaggi, ecc.
Ma nessuno, nemmeno il PCI, voleva mettere in discussione il piano di nuove centrali nucleari da costruire in Italia, tra cui candidate – nella provincia di Livorno – erano anche San Vincenzo, Piombino e Pianosa; né chiudere le quattro centrali in funzione a Trino Vercellese, Caorso (PC), a Latina e a Sessa Aurunca (CE). Ci volle l’impegno determinante di Democrazia Proletaria e degli ambientalisti, con in testa Legambiente, per raccogliere le firme per il referendum nazionale – circa un milione e mezzo, quando ne sarebbero state sufficienti 500mila – che si svolse l’8-9 novembre 1987, con la vittoria di oltre l’80% dei voti in Italia.
La raccolta di firme partì nel livornese il 22 maggio ad opera di DP-Partito radicale-FGCI, con i banchetti nelle piazze, e i notai pagati profumatamente. Nei primi 21 giorni, nella zona 14 – Rosignano-Cecina, Castagneto e i piccoli comuni collinari – ”ben 432.000 firme furono apposte per tre referendum antinucleari, dimostrando di voler chiudere per sempre l’avventura nucleare che minacciava da vicino la Toscana, con il reattore sperimentale al plutonio del Brasimone (vicino alla recentemente nota Suviana), la centrale nucleare di Montalto di Castro e il deposito di scorie radioattive del CAMEN di Pisa” – come da comunicato di DP del 16 giugno 1986.
I tre quesiti referendari su cui si raccolsero le firme furono:
Quesito 1: «Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidano entro tempi stabiliti?» La norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante “la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento”, previste dal 13° comma dell’articolo unico legge 10/1/1983 n.8).
Quesito 2: «Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone?» La norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante “l’erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi” – previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge.
Quesito 3: «Volete che venga abrogata la norma che consente all’Enel (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero?» Questa norma è contenuta nella legge n. 856 del 1973, che modificava l’articolo 1 della legge istitutiva dell’Enel.
Sul quotidiano Il Tirreno, datato domenica 8 giugno 1986, si lesse dell’inquinamento radioattivo da Iodio 131 e Cesio nel comune di Rosignano: “Il provvedimento (di analisi ndr) fu intrapreso a seguito dei problemi insorti fra il personale addetto ai tagli d’erba in varie zone del Comune che manifestava perplessità a procedere alle operazioni, visti gli elevati livelli di iodio presenti in più zone del territorio comunale. Nella mattinata di ieri pertanto sono giunte le prime notizie: i risultati sullo Iodio 131 sono abbastanza confortanti. Gli esami infatti hanno messo in evidenza la presenza di 6.2 nano-curie per chilogrammo d’erba prelevata a Nibbiaia; 8,5 n-c per kg a Vada, e 7,6 n-c per kg a Rosignano Solvay. Nessun esame invece è stato eseguito a carico del Cesio, le apparecchiature non sono opportunamente tarate …”.
Quante furono le vittime del disastro? Probabilmente non lo sapremo mai esattamente.
Per quantificare gli effetti a lungo termine, si possono fare solo stime, e quelle più prudenti, elaborate dal Chernobyl Forum, indicano che alla fine si avranno 4mila morti fra le circa 600mila persone più esposte alle radiazioni. Si tratta soprattutto della popolazione evacuata o residente nelle aree a maggior rischio e dei cosiddetti liquidatori, militari e civili impiegati per bonificare il territorio intorno alla centrale.
Spinta dai venti, la nube radioattiva contaminò inoltre una superficie di oltre 200mila chilometri quadrati – pari a circa due terzi dell’Italia – abitata da cinque milioni di persone. Le piogge distribuirono però la radioattività in modo disomogeneo, imponendo di evacuare località distanti anche 400 chilometri dalla centrale.
Secondo il Chernobyl Forum, si potrebbero avere altre 5mila vittime tra gli abitanti delle zone contaminate in misura minore: un’area molto estesa che include diverse zone dell’Europa e anche dell’Italia. In tutto, quindi, le vittime potrebbero essere 9mila.
Sabato, 27 aprile 2024 – Anno IV – n°17/2024
In copertina: entrata alla zona di alienazione attorno a Chernobyl – Foto: Slawojar CC BY-SA 3.0