Il Kobanî case conferma la repressione politica di Erdoğan
di Laura Sestini
Nel 2014, con l’invasione dello Stato islamico sul punto di prendere il controllo della città di Kobane, in Siria di Nord-Est – città poi divenuta simbolo per aver vinto sui miliziani del Califfato – scoppiarono proteste massicce e democratiche in tutto il mondo, anche in molte città della Turchia. Durante queste proteste, 46 civili, 34 dei quali erano membri e sostenitori dell’HDP (oggi Dem Parti), furono uccisi da gruppi pro-IS, su provocazione delle forze di sicurezza turche.
Nonostante la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che ha chiarito che l’HDP non poteva essere considerato responsabile delle violenze, l’attuale Governo turco ha continuato un procedimento giudiziario contro i membri esecutivi dell’HDP, compresi i co-presidenti Figen Yüksekdağ e Selahattin Demirtaş, in carcere dal 2016, ed entrambi eletti al Parlamento turco: Yüksekdağ nel 2015 , mentre Demirtaş nel 2014 con il 13% dei voti, il terzo politico più votato, e confermato nel 2015.
Nel maggio 2016, il Parlamento turco revocherà l’immunità parlamentare a numerosi deputati di HDP, inclusa la leadership del Partito.
Gli imputati hanno sempre confutato tutte le accuse, ma la Corte turca ha proseguito i processi sotto chiara influenza politica. L’illecito giudiziario è stato evidente fin dall’inizio, ed è stato palese in ogni momento, quando si è scoperto che il primo giudice a cui era stato affidato il caso Kobanî era risultato membro di un’organizzazione criminale. La Corte ha ingiustamente condannato molti politici dell’HDP sulla base di accuse infondate. La maggioranza dei testimoni nei casi giudiziari turchi, sono anonimi.
L’udienza finale del caso Kobanî, in cui gli ex copresidenti dell’HDP Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, membri del Comitato esecutivo centrale, e politici curdi erano sotto processo, si è tenuta ad Ankara, Sincan: la lista dei condannati è ampia.
Questi i verdetti della Corte
1) SELAHATTİN DEMİRTAŞ (Co-presidente HDP) 42,5 anni di prigione
2) FİGEN YÜKSEKDAĞ (Co-presidente HDP) 30 anni e 3 mesi
3) ALP ALTINÖRS (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 22,5 anni
4) NAZMİ GÜR (Co-presidente per gli affari esteri e membro dell’APCE) 22,5 anni
5) ZEKİ ÇELİK (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 22,5 anni
6) ZEYNEP KARAMAN (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 22,5 anni
7) PERVİN ODUNCU (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 22,5 anni
8) GÜNAY KUBİLAY (Portavoce e Membro HDP del Consiglio esecutivo) 20,5 anni
9) İSMAİL ŞENGÜL (Membro HDP del Consiglio di amministrazione) 20,5 anni
10) DİLEK YAĞLI (Membro HDP del Consiglio Consiglio esecutivo) 20 anni
11) BÜLENT PARMAKSIZ (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 18 anni
12) ALİ ÜRKÜT (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 17 anni
13) CİHAN ERDAL (Membro HDP del Consiglio esecutivo) 16 anni
Durante il Califfato Islamico (2013 -2017), proclamato da Abu Bakr al-Baghdadi nella città irachena di Mosul, e poi allargatosi fino alla siriana Raqqa – dove ebbe sede il suo quartier generale – il confine turco-siriano fu lasciato volontariamente “molto flessibile” dalle autorità turche, per la libera circolazione dei miliziani dell’islam radicale provenienti da molte nazioni del mondo, non unicamente musulmane, che andarono ad unirsi all’IS. I foreign fighters europei furono 5mila, tra cui numerose donne e famiglie con bambini. Numerosi furono anche gli italiani, francesi, britannici che si convertirono e partirono alla volta del Califfato. Istanbul era la “capitale” dei documenti falsi, per passare la frontiera inosservati.
Nell’ottobre 2019 – dopo la sconfitta militare del Califfato di Al-Baghdadi a marzo 2018 per mano delle SDF curde e il sostegno aereo degli Usa – con l’istituzione della safe zone, un’area profonda 30 chilometri e lunga 400 in territorio nord-siriano a maggioranza curda, area fortemente voluta dal presidente turco, sostenuta dalla Russia il lasciapassare di Donald Trump, i labili confini siro-turchi furono praticamente ufficializzati. La zona-cuscinetto, più che una zona sicura è divenuta una fascia di attacchi mortali a causa delle molte milizie islamiste, amiche della Turchia, che la controllano, e per i più recenti bombardamenti di droni turchi. A pochi mesi dall’accordo turco-russo-statunitense (agosto 2019), in quell’area, a pochi chilometri dal confine turco verrà scoperta l’abitazione di Al-Baghdadi, ucciso il 27 Ottobre 2019 con moglie e figli, abitazione-rifugio bombardata dagli americani.
I condannati del caso Kobanî sono accusati di aver causato la morte di 37 persone e di aver voluto destabilizzare l’integrità territoriale dello Stato turco durante le proteste pro-Kobane – città a maggioranza curda – nell’ottobre 2014. Le manifestazioni scoppiarono quando l’HDP chiese il sostegno del governo turco contro lo Stato islamico (IS) che assediava la città di Kobane, dopo che già 200mila profughi siriani erano entrati in Turchia per sfuggire alle violenze del Califfato. Il governo turco e il Pubblico ministero sostennero che l’HDP avesse avanzato tali richieste su ordine del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), considerata un’organizzazione terroristica. Sebbene l’indagine sulle proteste sia iniziata nel 2014, per cui anche HDP richiese delle indagini che furono rifiutate, l’accusa è stata presentata nel dicembre 2019 e il processo iniziato nell’aprile 2021.
Sabato, 18 maggio 2024 – Anno IV – n°20/2024
In copertina: Selahattin Demirtaş