Il nuovo album Heavier Yet (Lays the crownless head) e il docufilm Fela – Il mio Dio Vivente
di Laura Sestini
La terza edizione della rassegna H/earthBeat – Battiti del cuore e della terra – il festival dedicato alle musiche del mondo, apre i battenti del Teatro di Fiesole, sulle colline di Firenze, con Seun Kuti “Meet The Legend” , il figlio minore di Fela “Anikulapo” Kuti, che incontra il pubblico, intervistato da Marco Zanotti, per presentare il nuovo album Heavier Yet (Lays the crownless head), uscito internazionalmente il 4 ottobre e dedicato alla classe dei lavoratori, i poveri, gli oppressi, la gente comune.
Zanotti – anch’egli compositore e percussionista, direttore della Classica Afrobeat Orchestra – racconta del suo rapporto di collaborazione musicale e amicale con l’artista nigeriano, che dura da parecchi anni, tra aneddoti passati e presenti, scherzi linguistici in inglese, e qualche tentativo in italiano di Seun.
La serata è ampiamente dedicata alla storia artistica, sociale e politica della famiglia Kuti e dell’eredità etica e intellettuale genitoriale che Kuti Jr. ha deciso di mettere sulle proprie spalle per continuare a divulgare il messaggio socialista del padre verso la popolazione del continente nero, verso tutti gli africani ed anche molto oltre.
Lungo soprabito morbido a fiori rosa, il gigante Kuti Jr. si presenta sul palco luccicante di perle e di collane, ricordando retaggi culturali dell’Africa che fu, ma anche l’odierno grande continente in forte fermento – il vero cuore pulsante della Terra – che si vuole disfare definitivamente dello sfruttamento colonialista di cui ancora molto soffre da parte dell’Occidente, per autodeterminarsi e diventare padrone almeno della propria storia futura.
Le domande a Kuti iniziano proprio sulla spiegazione del titolo del nuovo album, ispirato da un verso di William Shakespeare (Heavy Is The Head That Wears The Crown), una risposta alle élite rappresentate da Enrico VIII, re d’Inghilterra – nel dramma storico del Bardo di Avon – a cui egli ha ribaltato il significato, che in italiano suona come “Ancora più pesante (posa la testa senza corona)” . In effetti Kuti, che in qualche modo porta in testa anche la corona artistica che fu del padre Fela, crede che il carico più pesante della vita lo portino proprio i poveri e gli oppressi di ieri e di oggi, per vecchie e nuove schiavitù che si perpetuano. «Tutti i miei album sono dedicati alla classe lavoratrice, perchè mai dovremmo essere preoccupati per i re e i potenti? – sottolinea il musicista africano».
Il precedente album di Kuti risale a sei anni fa (anche a causa della pandemia) e, seppur il musicista risenta dell’influenza del padre, egli ha già quattro album alle spalle che seguono un loro percorso particolare, che lo hanno reso un artista a sé, che porta sì avanti la tradizione afrobeat – la musica che Fela ha creato – ma con uno stile totalmente dfferente. In tutti i suoi album si percepisce la sua personalità, la sua visione, sia nella musica che nei testi. Quindi, cosa ha questo album di diverso, di innovativo, in che modo progredisce rispetto all’ultimo album e agli altri che ha composto, e anche rispetto all’eredità che gli ha lasciato il padre? Intanto l’artista spiega che il “progresso”, nel significato sematico contemporaneo che gli viene attribuito, non fa parte del suo pensiero. Se il progresso è concepito nell’andare sempre avanti nel tempo e in linea retta, per Kuti il tempo ha un moto circolare, come una spirale, un sentimento che lui sente forte. L’album passato, infatti, si intitola “Circles”, perché a lui interessa più la verità che il progresso. E’ necessario rendere omaggio alla verità e al passato, e tenerlo in considerazione per guardare al futuro. Quindi in questo senso il progresso non è qualcosa di futuristico ma è proprio cercare un legame nel tempo tra passato e futuro. L’album Heavier Yet (Lays the crownless head) ha un produttore d’eccellenza in Lenny Kravitz, che ha collaborato con uno dei maggiori produttori di Fela Kuti, e due featuring d’eccezione, Damian Marley e la rapper di origini zambiane, Sampa The great.
Nell’orchestra di Seun Kuti, quella che fu del padre, c’è una maggioranza di musicisti nuovi, ma anche alcuni che suonavano con Fela, infatti la band non ha cambiato nome, rimanendo Egypt 80. «Penso che il passo più importante sia essere veramente se stessi – spiega Kuti agli spettatori presenti. Nella mia musica sento che ci sono molte influenze e suoni di oggi, non del mondo contemporaneo, ma nel modo in cui la musica africana dovrebbe suonare oggi. Alcuni miei pezzi rispettano l’afrobeat, e altri no, hanno differenti metriche e struttura. Nel nuovo album c’è una canzone intitolata “Emi Aluta”, che ha un metro che non è classico per l’afrobeat nel senso stretto. Ovviamente in Africa ci sono moltisime musiche che hanno metriche proprie, un fatto abbastanza raro, invece, nella discografia di Fela. Il questo album c’è qualcosa in più di africano, che fonde altri generi, e altre influenze africane. Per me è importante che il legame con l’Africa sia forte, che è anche un’innovazione».
A proposito di Damian “Jr. Gong” Marley, Seun Kuti ricorda che la sua famiglia, il padre, aveva importanti rapporti con la famiglia giamaicana di Bob Marley, ma non avevano mai suonato assieme, prima di questo album.
Un album che parla di virilismo capitalista, di rispetto della natura, di giustizia. C’è un brano il cui titolo è T.O.P. –Things over People – ma nel brano si sostiene che il concetto dovrebbe essere ribaltato a P.O.T. – People over things.
Seun da qualche anno ha riesumato e rivitalizzato anche il progetto politico che aveva suo padre, avviato sulla fine degli anni ’70, il Nigerian Movement of the People.
Al padre non andò molto bene perché gli vietarono di fare politica, e poi i militari incendiarono la Repubblica di Kalakuta, la comune che aveva fondato, dove vivevano i suoi familiari, amici, musicisti e tutti coloro che condividevano il suo messaggio politico di libertà e diritti – un’isola felice dentro la dittatura che vigeva allora in Nigeria. L’attuale Movement of the People non è proprio un partito, è considerato un movimento, poiché il governo nigeriano non ha ancora accettato la sua iscrizione. Un movimento di ispirazione socialista, ma non al marxismo. «Il socialismo in Africa esisteva ancor prima di Karl Marx – afferma Seun – è il socialismo panafricano”. Fela Kuti ne sarebbe stato il “Black President”, amato non solo nel paese di origine, ma in tutta l’Africa.
«Il movimento si dimostra un partito nazionale anche senza registrazione, perchè già rappresentato in 36 stati della Nigeria – precisa il musicista».
La serata prosegue con la proiezione di “Fela – Il mio Dio Vivente” – un film documentario composto e diretto da Daniele Vicari. Il film ripercorre la vita di Fela Kuti, attraverso spezzoni di riprese analogiche girate dal romano Michele Avantario, un cameraman che lavorava per la Rai, che artisticamente si innamorò del mito vivente di Fela, e frequentava la sua Repubblica afrobeat e i primi locali africani della capitale. Anche un regista ghanese aveva girato parti di un film sulla vita di Kuti. Durante l’incendio di Kalakuta furono salvate alcune delle sue bobine, trasferite in Ghana, e poi restaurate da Avantario: di trenta ore di girato ne rimanevano solo sette. Avantario non riuscì a realizzare il suo sogno della biografia cinematografica del musicista fondatore dell’afrobeat, sia perché Kuti si ammalò e scomparve in breve tempo nel 1997, a soli 51 anni, sia perché lo stesso Avantario lasciò precocemente la dimensione terrena nel 2003. Il chilometrico corteo funebre di Fela Kuti, per le vie di Lagos, attirò due milioni di ammiratori.
Vicari ha ripreso in mano il progetto del film biografico, uscito infine nel 2023. La sua opera è stata anche criticata, considerata troppo confusionaria e frammentata. In realtà, a noi appare come una grande sfida con interessanti risultati. Sintetizzare l’immensa vivacità del maestro afrobeat, la sua vita, 27 mogli, ovvero tutte le coriste della sua orchestra stuprate dai militari che saccheggiarono Kalakuta; oltre 100 album musicali; le istanze politiche; i suoi lunghi comizi contro la corruzione politica nigeriana prima dei concerti, e pure la sua eccentricità, sono un patrimonio immenso di storia dell’attivismo militante africano. Poter armonizzare una così intensa esistenza, estremamente rivoluzionaria, personaggio fuori dalle righe del consueto, nel breve tempo di un film, e solo con spezzoni di pellicola di vita realmente vissuta, a parte qualche inserimento di invenzione del regista, era mission (quasi) impossible. Kuti era considerato un vero Dio, uno sciamano che ascoltava e comunicava con gli spiriti, che praticava riti propiziatori.
Il film di Vicari è un viaggio supersonico nel cuore dello Stato più popoloso del continente africano, la Nigeria degli anni ’70/80/90. La visione del film catapulta in un mondo quasi surreale per un un bianco occidentale, che risucchia lo spettatore nella polverosa vita quotidiana di Lagos, fattà di povertà e piedi scalzi, ma anche di eccessi, di libertà nonostante tutto, di speranza, di lotta, di ricerca della giustizia.
Seun Kuti, attraverso la sua personale percezione della spirale del tempo, si fa portavoce delle sempre attuali lotte anticolonialiste e anticapitaliste di suo padre Fela, per la libertà della Nigeria dalle multinazionali occidentali in collusione con i corrotti locali, e soprattutto per il riscatto dei milioni di poveri nigeriani e del continente africano. La musica è uno degli strumenti più comunicativi che è riuscito a creare l’essere umano, un mezzo che oltrepassa culture e confini geografici. Se l’afrobeat e la black music potranno aiutare a liberare l’Africa, allora ci sarà speranza anche per il resto del mondo.
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L’evento si è svolto al Teatro di Fiesole, Largo Piero Farulli, 1 – Fiesole (FI), il 4 ottobre 2024 alle 20:30
Seun Kuti – Meet the Legend – https://www.eventimusicpool.it/h-earthbeat-festival-2024/
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Sabato, 12 ottobre 2024 – Anno IV – n°41/2024
In copertina: Seun Kuti. Foto: H/earthBeat Festival (tutti i diritti riservati)