Le donne yazida terrorizzate dai jihadisti rischiano la vita per distruggere le trappole esplosive e le bombe che gli islamisti si sono lasciati alle spalle
Traduzione di Laura Sestini
Ogni giorno alle 4 del mattino, Hana Khider passa accanto a suo marito e ai suoi tre bambini che dormono, indossa un cappello di paglia con un fiore blu, indossa una giacca color kaki con una fascia da braccio che mostra il suo gruppo sanguigno – e va a rischiare la vita. Hana ha 27 anni e guida la prima squadra, per sole donne yazida, di sminamento delle mine (1) e ha il compito di disattivare alcune delle centinaia di migliaia di micidiali ordigni esplosivi lasciati dall’Isis nella loro terra natale a nord dell’Iraq (Sinjar in inglese – Shingal in curdo, di cui gli Yazidi fanno parte come etnia).
«So che questo lavoro è pericoloso», dice, scrollando le spalle, durante una videochiamata dal suo ufficio in Sinjar. «Un passo sbagliato può costarmi la vita. Ma sono orgogliosa perché è di aiuto alla mia comunità, alla mia città e alla mia gente, in modo che siano facilitati nel percorso per tornare a casa».
Sei anni dopo l’entrata dei combattenti dell’Isis nel loro territorio, dove hanno ucciso migliaia di uomini e catturato circa 7.000 tra donne e ragazze – alcune di soli nove anni – per trasformarle in schiave del sesso, circa 300.000 Yazidi vivono ancora nelle tende dei campi profughi, nonostante l’Isis sia stato costretto a lasciare l’Iraq nel 2017.
Solo circa un quarto della popolazione yazida è tornata in Sinjar, in parte perché la regione è ridotta in macerie, in parte perché i terroristi hanno lasciato l’area innescata di congegni mortali. Il team di Hana ha trovato mine nascoste in pentole, padelle e giocattoli per bambini, oltre a “fasce di mine” lunghe mezzo miglio. Si dice che l’Iraq sia il Paese maggiormente disseminato di ordigni sulla Terra. «L’Isis ha prodotto device antiuomo improvvisati su scala industriale per instillare terrore e minacciare vite innocenti per le generazioni a venire», afferma Portia Stratton, direttrice nazionale di Mag (Mines Advisory Group), un’organizzazione benefica britannica che è la più grande organizzazione di sminamento presente in Iraq.
Hana afferma: «L’Isis ha piantato IED [ordigni esplosivi improvvisati] ovunque. Dopo tutto quello che abbiamo subìto hanno lasciato dietro di sé stupide trappole ed esplosivi. Quindi, anche dopo la loro sconfitta noi continueremo a soffrire. Non c’è un giorno senza un’esplosione che uccida o mutili la gente. C’è terrore nella nostra comunità».
La sua squadra è composta da sei membri e comprende una madre di due figli, il cui marito è stato ucciso dall’Isis, ed ex schiave del sesso come Amsha, che aveva 16 anni quando venne catturata e portata in un mercato di schiavi. Amsha fu donata a un battaglione dell’Isis, torturata e violentata per 15 giorni. Venduta poi a un uomo affiliato all’Isis, a Mosul, e tenuta come schiava per 10 mesi, dovette pulire e cucinare per la moglie e i figli di quest’ultimo tra le percosse, le torture e gli stupri. Alla fine è riuscita a prendere in prestito un telefono per chiamare sua madre, che ha organizzato il suo salvataggio.
Ora Amsha si prende cura del cane della squadra, che fiuta gli esplosivi, e afferma che il lavoro l’ha aiutata ad affrontare il suo passato. Trentasei donne sono state addestrate come sminatori dalla Mag. Hana è una delle quattro caposquadra femminili – due yazida e due arabe. Da quando ha iniziato, nel 2016, il suo team ha rimosso 27.000 esplosivi. Di recente è stata promossa a supervisionare una seconda squadra, che include nove uomini.
Un nuovo film Into the Fire – diretto da Orlando von Einsiedel, ha decretato vincitori dell’Oscar i White Helmets, ossia gli operatori di soccorso in Siria (un’organizzazione privata istituitasi come protezione civile durante la guerra siriana) – documentando il loro pericoloso lavoro. La fotocamera cattura la tensione mentre indossano indumenti protettivi e camminano lentamente attraverso campi aridi o strade cosparse di macerie puntando un metal detector. Quando viene emesso un segnale acustico, le donne si fermano, segnano l’area con il rosso, quindi spostano cautamente la terra per rimuovere un dispositivo o gli legano un filo attorno per farlo esplodere, mentre Hana fa indietreggiare tutte. Lei – Hana – rimane straordinariamente calma, anche se le esplosioni scuotono il terreno e mandano fumo e polvere tutt’intorno.
«Hana e i suoi colleghi sono semplicemente alcune tra le persone più coraggiose che abbia mai incontrato», afferma von Einsiedel. «Stanno letteralmente sottoponendo le loro vite al pericolo ogni giorno per rendere di nuovo sicura la loro terra. E smantellano totalmente le percezioni stereotipate sul ruolo delle donne nella ricostruzione delle comunità dopo il conflitto».
Hana spera che il film ricordi alla gente la situazione degli Yazidi. I campi profughi (dove in decine di migliaia vivono dal 2014) hanno un alto tasso di suicidi, migliaia sono ancora dispersi e molte donne sono frustrate dalla mancanza di azioni legali contro i loro stupratori.
Sebbene l’Iraq abbia processato migliaia di combattenti dell’Isis, è stato solo a marzo che il primo jihadista è stato condannato per lo stupro e il rapimento di una yazida e solo dopo che una donna di 20 anni lo ha affrontato coraggiosamente in un tribunale a Baghdad. Il primo processo internazionale di un combattente dell’Isis per crimini contro gli Yazidi è in corso in Germania, con l’imputato accusato di aver rapito e ucciso una bambina yazida di cinque anni
La famiglia di Hana è tornata nella sua vecchia casa a Khanesor, in Sinjar. Sono fortunati che la loro casa non sia stata danneggiata. Solo il 10% degli abitanti del villaggio è tornato, temendo le mine e la mancanza di sicurezza. Hana è preoccupata per i suoi figli che percorrono due miglia al giorno per andare a scuola.
Lei e il suo team si spostano anche nei dintorni avvertendo i bambini di fare attenzione agli oggetti sconosciuti. In una località, un uomo ha raccontato loro che il nipote di 15 anni era appena saltato in aria mentre tirava fuori le pecore dall’ovile.
Il coronavirus ha fermato il lavoro delle squadre di sminamento. L’Iraq è stato molto meno colpito dal virus del vicino Iran – comunque – e non ci sono stati casi in Sinjar, quindi Hana spera di ricominciare a lavorare presto.
«Ogni giorno che non usciamo rischiamo di perdere più vite», afferma.
(1) Nel testo si usa spesso il vocabolo ”mina” che è un apparato specifico, ma sarebbe più appropriato tradurre con un più generico “congegno esplosivo” poiché, sotto i giocattoli, le lattine vuote, le pentole o altri oggetti che si prestano a essere raccolti o calciati, sono molto comuni i cosiddetti IED – Improvised explosive device, di cui sicuramente il Sinjar potrà essere disseminato, congegni diversi dalle mine antiuomo, strumento bellico in uso anche agli eserciti regolari oltre che di gruppi terroristici. https://www.difesa.it/Content/Pagine/IED.aspx
Testo originale di Christina Lamb: https://www.thetimes.co.uk/article/hunting-for-isis-mines-in-pots-pans-and-toys-55cvv5bvl
In copertina: Hana Khider al lavoro. SEAN SUTTON/MAG/@SEANSUTTONPHOTO