Temperature altissime in primavera e grandine a fine estate
di Annalisa Puccioni
Dai dati rilevati dalla Commissione Europea emerge che il prezzo dell’olio di oliva ha subìto un consistente aumento rispetto agli ultimi cinque anni.
A incidere sul rincaro sono i costi fissi, logistica e trasporti, caro bollette e altri olii, a causa, per questi ultimi, della guerra in Europa. A subire il colpo sarà anche l’export che con la ripresa dei consumi potrebbero far diminuire le scorte.
La situazione non va meglio in Europa dove si sono registrati aumenti della produzione nella stagione 2021-2022 rispetto all’anno precedente, ma che adesso con l’aumento dei consumi e l’incidenza dell’aumento dei costi dovuti in particolare alla guerra in Ucraina prevede anche una riduzione delle esportazioni.
La Spagna è il primo produttore mondiale in quantità – distaccando notevolmente l’Italia e la Grecia.
A pesare sulla prossima produzione anche la siccità, le temperature troppo calde in alcune zone d’Italia a primavera e la scarsa piovosità. La mancanza di piogge potrà influire negativamente in particolare su alcune regioni produttrici dell’Italia, della Spagna e del Portogallo con conseguente calo della produzione di olio dell’Unione Europea, sebbene sia stata prevista una ripresa per la Grecia.
La conseguenza è lo stabilizzarsi dei prezzi in ascesa anche per i prossimi mesi. Il calo previsto della produzione nell’Ue si dovrebbe aggirare sul 9,8% – circa 2,02 milioni di tonnellate – stessa cosa per l’export intorno al 6%, mentre per rimane stabile l’importazione sullo 0,18%.
Secondo la Coldiretti Unaprol, in Italia si è passati da 670 mila tonnellate di olio prodotte tra il 1990 e il 1993 ad appena il 360 mila tra il 2018 e il 2021. Tra le cause il clima pazzo, l’abbandono degli uliveti, lo scarso ricambio generazionale e l’assenza di una politica per il rilancio del settore. Il clima ha inciso in particolare in alcune regioni: Puglia, Calabria, Toscana, e Sicilia che non hanno visto il turnover delle piante, cosi come in Lombardia, Friuli Venezia Giulia o Trentino Alto Adige.
Il consumo medio di olio di oliva in Italia si aggira intorno alle 500/600 mila tonnellate annue, quindi l’importazione da altri Paesi, principalmente dalla Spagna, è obbligatoria per sopperire alle necessità interne.
Una contrazione è prevista anche sui consumi europei in diminuzione del 16% circa.
In Italia le cause principali sui cali di produzione sono il clima, con il caldo e la siccità, e la carenza di risorse per gli investimenti, perdendo quasi la metà della produzione di olio (-46%) negli ultimi 30 anni.
Il nostro Paese era il primo per la produzione nel mondo fino agli anni ’90, quando la Spagna ha fatto importanti investimenti nel settore, crescendo del +180%, passando da 630 mila tonnellate alle attuali 1,8 miliardi, inserendo la coltivazione intensiva e meccanizzata. Attualmente l’Italia si posiziona al secondo posto di produzione al mondo.
Questo dimostra quanto sia necessaria una politica di investimenti e di un piano strategico dell’olivicoltura nazionale che interessi nuovi impianti produttivi da coniugare con sostenibilità, reddito e anche il recupero degli impianti abbandonati.
A levare il grido di allarme è Davide Granieri, Presidente di Uniprol e vice presidente nazionale di Coldiretti, che sottolinea “come il recupero del Parco del Colosseo sia un esempio di cosa serve al Paese per la ripartenza”.
Oggi, più di otto italiani su dieci cercano prodotti italiani per la genuinità, per sostenere l’economia e il lavoro del territorio.
Occorre mettere un freno al crollo verticale della produzione e pensare su basi nuove ad una ripartenza per un settore trainante tutto italiano.
Sabato, 3 settembre 2022 – n° 36/2022
In copertina: foto di Ulrike Leone/Pixabay