domenica, Dicembre 22, 2024

Economia, Italia, Politica

Acqua bene comune, ma non per i cittadini

Avanza la privatizzazione con le multinazionali

di Laura Sestini

“L’acqua è vita, si dice spesso. Ma l’acqua è anche libertà, è anche un diritto. E bisogna ricordarlo a chi vuole privatizzarla. Ritengo sia ingiusto voler trarre profitto da una cosa imprescindibile come l’aria che respiriamo, eppure oggi questo bene primario è nelle mani di poche multinazionali, che considerano l’acqua un prodotto vendibile, sul quale costruire profitti, debiti e accordi per la commercializzazione. In Calabria la gestione dell’acqua è affidata quasi interamente alla So.Ri.Cal.(Società risorse idriche calabresi), una società mista di cui è proprietaria la Regione Calabria al 53,5 per cento e al 46,3 una S.p.A, Acque di Calabria, emanazione di una multinazionale francese, la Veolia, che ne è unica proprietaria. Dal 2004 la So.Ri.Cal. gestisce l’acqua nella quasi totalità dei Comuni calabresi, decidendo il prezzo delle tariffe in autonomia, gestendo l’intera filiera, inclusi la gestione e l’ammodernamento degli schemi idrici – un’impresa titanica mai effettivamente portata a termine. Non si può fare a meno dell’acqua e le tariffe dell’azienda sono state, a mio parere, la principale causa delle strette finanziarie subite da centinaia di comuni calabresi. Questo ce lo ricorda – nel volume ‘Il fuorilegge – la lunga battaglia di un uomo solo’ (Feltrinelli 2020) – l’autore Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace.

Nella sua visione di ‘Riace Villaggio globale sostenibile’, Lucano aveva previsto – e per metà il sogno si è realizzato – di liberarsi dalla schiavitù dell’acqua privatizzata e delle bollette, a Comuni ed abitanti, a prezzi neoliberisti oltremisura. Secondo lui l’acqua dovrebbe esser un bene gratuito per tutti i cittadini – e questo era il suo scopo finale nel territorio comunale che amministrava da Primo cittadino. Certo, ciò si può realizzare solo grazie a polle e corsi d’acqua entro il perimetro comunale, che non siano già in mano alla S.p.A delle risorse idriche, altrimenti si è destinati a rimanere vincolati alle privatizzazioni e ai prezzi imposti dal mercato. In questo a Riace, sono quantomeno fortunati, sperando che le preziose risorse idriche non se le aggiudichi qualche società finanziaria con la complicità delle autorità statali.

Mentre da un lato qualche animo coraggioso tenta di divincolarsi dalle strette delle holdings, al lato opposto – infatti – ovvero nel PNRR nazionale approvato da Mario Draghi, ciò che riguarda le risorse idriche nazionali va verso una maggiore privatizzazione, in particolare al Sud Italia, incoraggiando accordi multinazionali e grandi gruppi.

Giusto per aggiungere informazioni su Veolia – citata da Lucano – la multinazionale francese gestisce attraverso i suoi partner, non solo le acque calabresi, bensì – in Italia – è presente anche in Toscana, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Piemonte e Sicilia. In sintesi – sommariamente – è ‘proprietaria’ del 25 per cento delle risorse idriche italiane.

Quello che in Italia sembrava dovesse essere il punto di svolta, fu il referendum popolare contro la privatizzazione del prezioso liquido primordiale – svoltosi nel 2011 con larga partecipazione dei cittadini, trasversali a tutti i gruppi politici, che chiedevano la ri-pubblicizzazione dell’acqua, nonché l’annullamento dei profitti dai ‘beni comuni’.

L’acqua, bene primario e imprescindibile – in alte percentuali in mano a poche multinazionali – sarà tra quegli elementi essenziali che, in un futuro non remoto, decideranno della vita una persona, di un popolo e finanche di un territorio, a causa del surriscaldamento climatico.

Nei fatti – secondo le bozze del rapporto 2020 sul riscaldamento globale delle Nazioni Unite – la situazione è vicina all’irreversibilità e l’umanità è drammaticamente in pericolo e a rischio di estinzione se non verranno rigorosamente osservati gli Accordi di Parigi : “Il nostro pianeta cambierà e lo farà in tempi rapidi ed imprevisti. Se la temperatura globale salirà oltre i limiti previsti, tra 30 anni, il globo sarà completamente differente da come lo conosciamo.” Il percorso ‘verso la distruzione’ – a medio termine – porterebbe decine di milioni di persone ad emigrare in cerca di acqua e cibo, nonché gravate da molte malattie.

Dall’era pre-industriale la temperatura è salita globalmente di 1,2 gradi, ma in molte aree Sud del mondo gli effetti sono già evidenti, altresì al Polo Nord, dove i grandi ghiacciai continuano inesorabilmente a sciogliersi. 

Mentre l’Europa tenta di ridurre le emissioni dei gas serra del 50 per cento entro il 2030, secondo gli esperti la misura non è ancora idonea a contenere la ‘nostra parte’ – in senso di cittadini e istituzioni europee – di riscaldamento globale. In altre aree industrializzate del mondo, le pratiche di attenzione verso il clima e l’ecologia sono anche meno coscienziose, talvolta volutamente ignorate. Trump stesso era uscito dall’Accordo di Parigi sostenendo che il climate change è tutta una farsa. 

Ed è legittimo preoccuparsi se finora troppo pochi sono i cittadini italiani che si interessano ai ‘beni comuni’, al cambiamento climatico e alla transizione ecologica – come se ciò non sarà in seguito un problema tangibile ed urgente anche per chi al momento pensa ad altro. Dal canto loro le istituzioni statali – che altrettanto avrebbero il dovere di proteggere a pro della comunità le proprie risorse idriche territoriali – non agiscono in maniera migliore. Però hanno grandi interessi verso privatizzazioni ed accordi finanziari. Naturalmente il ‘bene’ acqua è già da tempo entrato in Borsa – attraverso le quotazioni delle multinazionali che lo gestiscono, e anche in differenti prodotti finanziari. Solo questo dovrebbe indurre ad una attenta riflessione, a ragion veduta se gli stessi organi di studio finanziario internazionale (CME) ammettono che con la progressiva scarsità, l’acqua futura rappresenta una grande possibilità di guadagno e ancor prima di investimento.

E se a seguito del Referendum 2011 nacquero numerosi movimenti per l’acqua come bene pubblico, la volontà popolare è sempre rimasta inascoltata e le richieste del vittorioso referendum – 27 milioni di sì – mai attuate.

Che dire poi dello spreco, degli acquedotti fatiscenti e il disinteresse a migliorare il sistema di distribuzione – ma anche di raccolta o di riutilizzo – di chi gestisce l’acqua privatizzata? 

Sabato, 26 giugno 2021 – n° 22/2021

In copertina : Pioggia – Foto di ©Laura Sestini (tutti i diritti riservati)

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