domenica, Dicembre 22, 2024

Ambiente, Lifestyle, Notizie dal mondo, Società

Acqua bene comune o elemento di ricatto bellico?

In violazione delle leggi internazionali e con il silenzio-assenso della comunità

di Laura Sestini

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2025, metà della popolazione mondiale vivrà in zone stressate dall’acqua, mentre attualmente 785 milioni di persone non hanno nemmeno un servizio di base per l’acqua potabile, e di queste 144 milioni dipendono dalle acque superficiali.

A livello globale, almeno 2 miliardi di persone (1/3 della popolazione mondiale) usano una fonte di acqua potabile contaminata da feci, mentre nei paesi meno sviluppati, il 22% delle strutture sanitarie non ha un servizio idrico, il 21% nessun servizio igienico-sanitario e il 22% nessun servizio di gestione dei rifiuti (che spesso finiscono nelle acque dei fiumi).

Parallelamente ai dati sul futuro riguardante l’elemento primario per la sopravvivenza della vita sul pianeta, le Nazioni Unite ci avvertono che ogni anno si perdono 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile, 13 milioni di ettari di foresta, oltre al fatto che due miliardi di ettari di terreni precedentemente produttivi sono degradati. Ma ciò ancora non basta e si riporta che oltre il 70% degli ecosistemi naturali è stato trasformato ed entro il 2050 questo dato potrebbe raggiungere quota 90%.

Infine, entro il 2030, la produzione alimentare richiederà ulteriori 300 milioni di ettari di terra utile alle necessità globali (dove rientra anche lo spreco di cibo dei paesi industrializzati).

A lato di questi numeri – senz’altro impressionanti – che dovrebbero allarmare non solo i Paesi a clima più caldo bensì la comunità mondiale a causa anche del global warming, gli stessi elementi sopra citati – terra e acqua – spesso vengono utilizzati come deterrenti di ricatto a scopo bellico.

Tra i Paesi che ricorrono frequentemente a metodi che violano i trattati internazionali, sia per quanto riguarda l’acqua che le terre, in barba ai diritti umani, appare la Turchia, dalle cui montagne nascono i due maggiori fiumi del Medio Oriente, ovvero il Tigri e l’Eufrate.

L’Eufrate compie un percorso lungo centinaia di chilometri in territorio turco prima di svoltare verso sud e infilarsi in terra siriana, dove attraverserà qui le regioni di nord-est per poi entrare in Iraq e dirigersi verso la foce nel Golfo Persico.

La regione del Nord-est siriano è vocata prettamente ad attività agricola, settore che sostiene i fabbisogni primari delle Confederazione Democratica Autonoma, istituita nel territorio a maggioranza curda durante la guerra civile siriana. In questa area l’agricoltura va avanti proprio grazie alla presenza del fiume Eufrate e dei numerosi canali di irrigazione paralleli costruiti dall’uomo.

Il territorio siriano di cui scriviamo è proprio ai confini con la Turchia e già da qualche anno la popolazione denuncia la sottrazione di acqua a monte, in territorio turco, che fa scendere il livello del fiume e li minaccia di siccità anche a causa delle temperature estive di quelle latitudini, che in questo periodo dell’anno già si aggirano sui 35 gradi.

Lo stesso succede al fiume Tigri il cui percorso – dalla Turchia – entra in Iraq, attraversandolo da nord a sud, per poi sfociare unitamente all’Eufrate.

Il Tigri, tra le sottrazioni idriche illecite da parte della Turchia, l’evaporazione per il clima arido iracheno, unito anche all’inquinamento dovuto alla guerra contro l’Isis degli anni scorsi con sversamenti impropri di petrolio, quando arriva nella capitale Baghdad, ha spesso l’acqua non più in condizioni idonee per essere potabilizzata.

Il fiume Tigri nei pressi di Baghdad
Foto – ©Mohammad Aladdyn

A conferma di quanto sopra riportato, senza andare oltre nei commenti, trascriviamo di seguito un articolo, tradotto dall’inglese e leggermente sintetizzato quando troppo ridondante a livello di informazioni, uscito in questi giorni sul sito del Centro per i Diritti Umani dei Curdi con base a Ginevra.

La Turchia ha ridotto il livello dell’acqua del fiume Eufrate che scorre in Siria del 60% dall’inizio di questo mese, per la seconda volta in 4 anni. Il fiume offre la salvezza a milioni di siriani nella regione della Siria di Nord-Est e in altre aree come Al-Raqqa e Deir Ezzor, oltre a fornire acqua potabile alla seconda città più grande del paese, Aleppo.

L’Eufrate irriga le pianure lungo un ampio tratto delle sue sponde nel bacino nella Siria nord-orientale stimate, secondo una serie di comitati agricoli delle differenti municipalità del territorio, in circa 400.000 ettari di terreno agricolo, laddove la più importane coltura risulta il grano unita ai frutteti e agli ortaggi.

Suad Damer, co-presidente del Consiglio distrettuale di Al Qanayah, a ovest del cantone di Kobani, afferma che la deliberata riduzione delle acque del fiume da parte dello stato turco minaccia la produzione locale di ortaggi che riforniscono diverse aree della Siria settentrionale e orientale.

Ridurre il flusso d’acqua direttamente dalla Turchia aumenta i timori di interruzioni di corrente, delle attuali 12 ore al giorno, poiché la Turchia pompa l’acqua a una velocità di 2000 metri cubi al secondo, in violazione dell’accordo del 1987 tra Damasco e Ankara, che stabilisce che la Turchia ne dovrebbe pompare 500 metri cubi al secondo, e il 58% fluire verso il territorio iracheno.

Quest’anno, il secondo incendio nel Cantone ha già divorato 80 ettari a causa dei bombardamenti turchi; gli incendi delle colture agricole si sono verificate per il secondo anno consecutivo, risultando devastanti in numerosi villaggi a ovest di Kobani – e per la precisione domenica scorsa (24 maggio) – dopo che le forze militari turche hanno deliberatamente sparato dalla città di Jarabulus verso le sponde orientali dell’Eufrate.

“I mercenari dell’operazione militare Euphrates Shield – Scudo dell’Eufrate, sostenuti dalla Turchia, hanno sparato 9 proiettili di mortaio domenica e lunedì, colpendo le colture agricole nella pianura di Poraz e causando incendi nelle terre coltivate a grano” – racconta  il co-presidente Damer – aggiungendo che ” ridurre la velocità dell’acqua e bombardare le colture agricole è un’altra arma turca sotto gli occhi del mondo indifferente, aggiungendo che tutto ciò che la Turchia fa è contrario alle alleanze e alle leggi internazionali. È possibile che il livello dell’acqua scenda di 2 metri entro due settimane, quindi il governo siriano e la comunità internazionale devono agire e porre fine a queste violazioni “.

Gli incendi hanno distrutto circa 5 mila dunum (unità di misura agricola traducibile in lotto) di grano e di orzo nell’area di Umm Midfa nella campagna settentrionale di Deir Ezzor in Siria di Nord-est. L’incendio, che ha bruciato anche alcune case della zona, è stato domato dopo alcune ore con l’aiuto dei cittadini unito all’azione delle autopompe.

Gli abitanti dei villaggi nella campagna di Nord-ovest nel distretto di Tel-Tamr, che vivono lungo la linea di confine con aree occupate dalla Turchia (la safe-zone istituita a novembre 2019 con il consenso di Usa e Russia) sostengono che l’esercito turco di occupazione brucia deliberatamente i loro raccolti mentre al contempo prende di mira le squadre antincendio che non sono in grado di estinguere i roghi.

Campi di grano incendiati in Siria di Nord-Est dai colpi di mortaio turchi

Il cittadino Aboud al-Mizar, residente nel villaggio di Sheikh Ali, ha dichiarato: “Abbiamo piantato colture ma sono state bruciate dall’esercito di occupazione turco e dai suoi mercenari”; aggiungendo che tutte le terre civili sono state arse nell’area senza risparmio, precisando che le bande turche sono vicine a loro, a solo 1 km di distanza, quindi non hanno potuto spegnere gli incendi che hanno divorato i raccolti davanti ai loro occhi poiché sono esposti ai bombardamenti degli occupanti turchi e dei loro mercenari.

Nello stesso contesto, Ahmed al-Wajry, residente nel villaggio di Qabur al-Qarajneh, ha dichiarato: “Domenica, i mercenari hanno bruciato le nostre coltivazioni agricole e quelle dei villaggi vicini”. Sottolineando che l’esercito di occupazione turco e i suoi mercenari mirano – dando fuoco alle colture agricole – a indurre l’evacuazione della gente da quei villaggi per occuparli, e cambiarne la demografia (normalmente sostituiti con le famiglie degli stessi mercenari).

Wajry conferma che durante gli incendi, le squadre antincendio sono andate a spegnere i fuochi, ma sono state prese di mira dai mercenari che cercano di impedire loro di estinguerli e che la popolazione della regione dipende principalmente dall’agricoltura, dalla cura del bestiame e dai comportamenti e dalle violenze dei mercenari che bruciano le loro colture agricole; quindi invitando gli organismi internazionali a interessarsi fermando le violazioni perpetrate dall’occupazione turca e dai suoi mercenari, ricompensando e tutelando la cittadinanza di questi territori.

Testo originale: http://kurd-chr.ch/turkey-starts-fire-and-water-war-against-syrians/

Nota a latere. Il Centro Curdo per i Diritti Umani è stato istituito a Ginevra nel 2000, in accordo con l’articolo n. 60 della Costituzione Civile della Svizzera, in risposta al genocidio, crimini di guerra e violazioni dei diritti umani che si verificano in tutte le regioni curde di Turchia, Iraq, Iran, Siria.

In copertina: L’Eufrate nei pressi di Deir Ezzor.

Condividi su: